Con Gedda – seguito da Pavarotti, Merritt e Kunde – arriviamo agli unici tenori che, in tempi recenti, hanno affrontato con cognizione di causa il ruolo (e gli unici, in assoluto, ad averlo affrontato senza sconti, anche in teatro, almeno gli ultimi due). L’ascolto proposto – la prima incisione in studio dell’edizione integrale e in francese (seppur nella classica edizione Troupenas, non esistendo ancora l’edizione critica) – mostra un approccio del tutto particolare: Gedda non si riporta al cosiddetto modello Nourrit e al tenore “contraltino”, ma risolve gli acuti prevalentemente di petto, non rinunciando mai, però, ad un canto ricchissimo di sfumature e mezze voci. In tal senso esemplare è l’esecuzione dell’aria resa con estrema facilità e naturalezza, sfumato di malinconia e trasognato lirismo. Purtroppo la cabaletta che segue, anche per colpa della bacchetta del solito burocratico Gardelli, appare più pesante e faticosa: il ritmo squadrato con metronomica indifferenza e una certa indulgenza verso il “parlato” più plateale, compromettono l’equilibrio del brano, lasciando emergere unicamente gli acuti che, per quanto luminosi e belli, messi così sono solo note: sgradevolissimo l’acuto finale, invece, non perché mal emesso, ma perché musicalmente orrendo (come la pausa che lo precede: ovviamente Rossini ha scritto tutt’altra conclusione). Ma ahimé è il prezzo di certo divismo. Nel complesso migliore l’esecuzione fiorentina del ’72.