Interrompiamo per un giorno la nostra sequenza di grandi Arnoldi per proporre la versione di un tenore che non rivestì mai in scena i panni dell’amoroso, e in seguito patriota, elvetico, anche perché la carriera, pur lunga e fortunata, di Vittorio Lois si svolse in massima parte in teatri, che ben difficilmente avrebbero potuto disporre dei mezzi per allestire decorosamente un titolo in tutti i sensi oneroso come il Tell. In assenza del suddetto decoro, si preferiva (o tempora o mores) allestire altri titoli, ad esempio il Trovatore, di cui Lois fu acclamato interprete, al punto da dover per consolidata prassi ripetere, spesso anche più volte, la cabaletta che chiude il terzo atto, ovviamente accessoriata delle puntature di ordinanza. E davvero l’incisione della scena di Arnoldo lascia ammirati per la qualità della gamma superiore della voce (meno impressionanti e un poco schiacciati i primi acuti, invece – vedi gli ultimi “oggi fatal così”) e per il timbro, eroico e argentino, che fa quasi passare in secondo piano la qualità perfettibile del legato in zona medio-acuta (“ahi quanto felice” e “fuggir quel tetto io bramo”). Intendiamoci bene: davanti a certi annaspanti esempi del nostro presente, quello di Lois non è solo buon professionismo, ma autentica ARTE e soprattutto ottimo servigio reso all’autore e alla sua musica.