ARNOLD V: MARIO GILION

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Marsigliese di nascita, italiano di gusto e di carriera (almeno per buona parte della stessa, come dimostra anche la nutrita discografia) Marius Gilion, che dal 1901 alla prematura scomparsa (1914) affrontò con sistematicità il repertorio del tenore di forza e da grand-opéra: Riccardo, Radamès, Manrico, Tannhäuser, Guglielmo Ratcliff, Eleazaro, Vasco da Gama, ma soprattutto Raoul de Nangis e ovviamente Arnoldo, cantato tra l’altro al Costanzi di Roma (nel 1911 al fianco, o meglio al cospetto della Matilde di Giannina Russ), alla Fenice di Venezia e all’Opéra di Parigi. La grande scena del quarto atto smentisce, come già per i tenori proposti nelle giornate precedenti, che la grandezza di questo cantante risiedesse esclusivamente negli acuti, pure impressionanti per nitore e robustezza (fin dal primo si bem3 di “ieri felice”): almeno altrettanto notevoli sono il crescendo su “invan egli non m’ode più”, che prepara il ‘forte’ di “fuggir quel tetto io bramo” (peccato per la interposta ripresa di fiato) e la mezzavoce alle battute che precedono la ripresa del tema principale (“che caro un dì mi fu”), frutto di un ideale controllo del suono tanto nella zona che prepara gli acuti (sol3-fa3) quanto nel registro centrale (sol2-sibem2).

Un pensiero su “ARNOLD V: MARIO GILION

  1. Impressionante. Non conoscevo questo tenore ma posso affermare che di fronte a Gillion (ed anche agli Arnoldo dei giorni precedenti) i divastri dell’odierno star system regrediscono allo status di semidilettanti (seppure).

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