Sorella Radio – Festival di Bayreuth: il Ring(hio) del bicentenario (Parte I).

bayreuth_43564728Giubilo sia in tutto il regno! Le celebrazioni wagneriane hanno raggiunto il loro punto culminante con l’allestimento dell’attesissimo “Ring del bicentenario” sulla verde collina che ospita il Festival di Bayreuth.
Evento che melomani e wagneriani nello specifico aspettavano soprattutto per ascoltare la direzione del maestro russo Kirill Petrenko ed assistere alla messinscena già discussa prima ancora della pubblicazione delle prime immagini del discutibile regista Frank Castorf.
Un “genio” Castorf, ma di quelli veri, eh! Uno che definisce il Ring “Un’operetta!”, uno che voleva tagliare intere sezioni per sostituirle con proclami politici, letture filosofiche o canzoni di varia provenienza intellettuale. Cose rivoluzionarie, eh!
Le sorelline, però, pare che non abbiano preso molto bene queste esternazioni: perché lasciare rovinare il Ring solo a Castorf, quando già ci pensiamo noi due a demolire la memoria musicale del nostro ingombrante Bisnonno?
Così Castorf ha deciso di ambientare il tutto tra la Route 66 americana, strada del petrolio, l’Eurasia con i suoi fabbricati e la DDR attraverso la ricostruzione di Alexanderplatz e negozietti di Kebab.
Ora: a parte il francamente orrido “Golden Motel” con stazione di servizio e vaschetta apparso nel “Rheingold”, le scene, prese singolarmente, hanno anche una certa suggestione, e suscitano anche ammirazione per l’apparato tecnico; il problema è che la loro identità è talmente sfuggente che andrebbero bene per “Fanciulla del West”, “Wozzeck”, “Die Soldaten”, “Lulu” e altre millemila opere novecentesche e non solo. Alla fine il tutto si riduce a: il petrolio è il nostro Oro del Reno e assieme a Wall Street ed alla DDR, sono brutti e cattivi. Idee che circolano da almeno, almeno cinquant’anni! Che il Walhalla fosse Wall Street lo diceva già Wieland Wagner; che una stazione di servizio fosse scenario ideale per il Ring lo faceva notare già Kosky ad Hannover; che il petrolio fosse il nostro oro lo aveva già detto Carsen almeno 10 anni fa; che la DDR fosse cattiva, lo hanno fatto notare un po’ tutti.
Vedere Fricka con il frustino sado-maso, abiti da Las Vegas e Brunnhilde intenta a maneggiare esplosivo sono cose imparate a memoria e di recente rispolverate anche all’ENO. E che dire delle puttane? Se non ci sono, non gioco più!
Si, ok, non si giudica una regia dalle foto e dalla radio, ma Oscar Wilde amava dire: “Solo le persone superficiali non giudicano dalle apparenze”, e quindi.
Insomma, secondo le sorelline, tutto questo doveva dircelo Castorf, che infatti è stato punito dal pubblico, che, secondo certi acutissimi inviati radiofonici, è sciocco e ignorante perchè non si arrovella il cervello per decifrare ogni simbolo castorfiano ed è “disabituato” (sic!) al teatro di regia: è il colmo! Il pubblico, di Bayreuth, il pubblico tedesco, che ha visto proliferareil teatro di regia sarebbe disabituato… al teatro di regia! Quando si vive in dimensioni parallele.

media.media.2a7f48d5-0906-489b-8c32-c4c167c0dfc0.normalizedDivide nei giudizi la direzione di Kirill Petrenko, trovata da una parte ancora troppo acerba, dall’altra una lettura maestosa del mito wagneriano.
Per quanto mi riguarda, per ora, tenderei ad analizzare il caso del “Rheingold” e quello della “Walkure”.
Nel prologo si comprende immediatamente come la visione del direttore, il suo gesto sia ampio e ricchissimo di vigore: la prima scena ha davvero sonorità fluide, luminose, trasfigurate dalla tensione e da piccoli toni delicati; eppure i temi esaltati nello strumentale e fatti emergere in primissimo piano, sono incastonati nel fluire sinfonico della musica e accolgono con vivo successo il cambiamento dei fraseggi orchestrali.
La scena di finta seduzione delle figlie del Reno contrasta magnificamente con lo spaventoso abisso rappresentato dal furto dell’oro, come i timbri lattiginosi dell’alba divina si contrappongono all’arrivo dei giganti in cui l’orchestra è scatenata oltre il parossismo tellurico: Fasolt e Fafner? No! Questo è l’arrivo dei Titani! Splendido poi è l’episodio di Loge con il ritmo che lascia spazio ad un languore quasi sensuale sulle note di una danza maliziosa, o ancora il Nibelheim, i cui colori orchestrali cambiano continuamente creando situazioni sospese nel continuo senso di minaccia. Gli interludi si stagliano come momenti di puro virtuosismo orchestrale e non soltanto come legante tra le varie scene, in cui la bellezza sonora romanticamente diretta si arricchisce dell’asprezza dei temi che richiamano ai momenti topici già ascoltati o ancora da venire. La maledizione di Alberich possiede un rigore analitico che stupisce, come lo schianto prodotto dall’ingresso degli dei nel Walhalla: un arcobaleno di liscissimo solidissimo marmo.
Di fronte ad una prova così matura, opulenta mi aspettavo medesimo trattamento nella prima giornata.
Il primo atto è diretto letteralmente al calor bianco, con un sapiente uso del crescendo e dei pianissimi che aumentano con efficace teatralità il continuo trasalimento della tensione scenica, ma perfettamente bilanciati sia nella brutalità di Hunding, sia nel misteriosissimo riconoscersi dei fratelli; culmine il duetto respirato dall’orchestra con un’urgenza spasmodica ed un fraseggio maestoso e frastagliato.
Il secondo e terzo atto sono sicuramente suonati bene e con partecipazione; eppure a parte un annuncio di morte che vuole richiamare in maniera inedita al funerale di Siegfried, nella sua essenzialità cromatica, il resto scorre senza particolari colpi d’ala in una amarissima routine. Si, bello, eppure tutti gli episodi più importanti scorrono senza commozione, senza stupore, senza palpito, senza magia. L’incantesimo del fuoco è semplicemente un falò di metà estate.
Due sono i problemi di Petrenko: degli ottoni non proprio precisi ed immacolati; il suo andare avanti ad oltranza dissociandosi completamente dalla compagnia di canto sul palcoscenico, senza cercare di aiutarla o mascherare le colossali insufficienze delle voci. L’eccessiva ricchezza dei colori nel “Rheingold”, ad esempio, sottolinea con cinica disinvoltura la povertà canora e interpretativa che agisce sopra al Golfo mistico. Si viene a creare una dicotomia che disturba non poco: da un lato un “Ring” per sola orchestra; dall’altra una canea che rompe continuamente l’incantesimo.

Catherine-Foster_w_2624246bQuest’anno si è finalmente compreso il criterio grazie al quale vengono scelti i cantanti presenti al Festival di Bayreuth.
Perduto oramai definitivamente il suo prestigio artistico e curriculare, le due pestifere responsabili del Festival scelgono i cast non in base a critici provini; non in base ad un’idea vocale; non in base alla filologia; non in base alla concezione interpretativa del direttore d’orchestra; non in base all’idoneità o meno di una voce nei confronti della tessitura del ruolo, o della peculiarità del fraseggio o del carisma: sarebbe già qualcosa su cui lavorare. Nulla di tutto ciò. La scelta nasce in base alla disponibilità di taluni individui che si spacciano per cantanti, ed a volte riescono nell’intento di farsi passare come tali insultando mortalmente la categoria, di farsi allegramente umiliare all’interno dell’ennesimo allestimento spazzatura messo in scena  sulla sacra collina dal povero complessato di turno chiamato a “fare” il regista.
Che poi, diciamo la verità, alla fine tra un “Fliegende Hollander” allestito all’interno di una fabbrica di ventilatori (Gloger), un “Tannhauser” ricostruito all’interno di una centrale del gas (Baumgartner), ed un “Ring” ambientato tra i pozzi petroliferi americani e dell’eurasia, nelle fabbriche annesse e nella sempre sfruttabile DDR, alla fine sempre della stessa zuppa si tratta, sempre un’industria vedremo in scena declinata in base alla bruttezza che il povero complessato regista di turno vuole infliggere al pubblico con annessa la morale: il petrolio, il denaro, la DDR, la globalizzazione, sono brutti e cattivi e ammazzano l’ammmore e l’emozzzione. Che profondità di pensiero, che alta considerazione della moralità, che messaggio all’avanguardia, che ideologia rivoluzionaria.
Quanti ammassi di nullità intellettuale da emporio di capi copiati male.
Ma torniamo a quegli individui che si spacciano per cantanti wagneriani.
Ascoltare il Wotan di Wolfgang Koch e l’Alberich di Martin Winkler fa venire in mente una sola parola: schifo!
E la uso, perché entrambi emettono suoni che in nulla sono compatibili al canto o quanto meno avvicinabili alle note, o lontanamente accostabili all’idea di personaggio o di fraseggio.
Ciò che scrive Wagner, le note sul pentagramma, non sono minimamente rispettate dai due pseudo cantanti in questione: Koch è un Wotan talmente innovativo che inventa “note” che Wagner mai scrisse: e note è una parola grossa giacché tale Wotan è un ammasso informe di suoni rauchi, indietro, rantoli, urla, berci, muggiti, ragli e non me ne importa di capire o conoscere dove essi siano appoggiati o con quale organo emessi, perché certamente sono più vicini alla digestione che alla musica! Un equivoco vuole che Alberich si esprima con voce grifagna, da strega Marzapane, accento rozzo, grossolano, volgarissimo assieme all’armamentario già preso in esame con Koch. Ma perché? Io sinceramente non capisco! Ma dove è scritto?
Lasciamo perdere il concetto di fraseggio associate a due calamità del genere: non esiste.
E’ francamente ben poco interessante analizzare tecnicamente gli altri membri del cast: Norbert Ernst e Burckhard Ulrich sono solo un Loge ed un Mime di voce incolore, pallida, smunta, gorgogliante; il Fasolt e Fafner di Gunther Groissbock e Sorin Coliban bofonchiano dall’alto delle loro voci grigiastre e gonfie qualcosa di assimilabile al cuneiforme; Lothar Odinius e Oleksander Pushniak sono un Donner ed un Froh non pervenuti e quasi inudibili anche solo in radio; delle figlie del Reno si apprezzerà solo la voce squisita di Okka von Damerau, mentre si eviterà di infierire sulla secchezza e stridore delle altre due; Claudia Mahnke è una Fricka di bel timbro chiaro e personale, buone intenzioni espressive, ma di emissione traballante nel “Rheingold”; mediocre, vetrosa, di anemia incomparabile nella “Walkure” in cui affossa la scena con Wotan in una esasperante monotonia isterica; penetrante, ma tirata in alto la Freia disperata di Elizabeth Strid; intubata e frammentata l’Erda di Nadine Weissmann.
Quando si è cercato di liricizzare un ruolo per far emergere con maggiore intensità il lato più impulsivo, ardente, giovanile, ci si è sempre affidati, anche a Bayreuth, a timbri chiari, ma tecnicamente (o per natura) robusti. Prendiamo nel caso specifico Brunnhilde: penso alla Ligendza, alla Knie, alla Behrens, alla Evans, alla Herlitzius.
Quest’anno si voleva puntare sulla semplice follia di proporre il nome di Angela Denoke, che saggezza e prudenza, hanno voluto che declinasse l’invito; si è giocoforza dovuto trovare una sostituta: Catherine Foster. Dagli ascolti live sembrava possedere uno strumento interessante che poteva risolvere il personaggio di Brunnhilde nelle sue sfaccettature più intimiste e femminili. Ponendoci all’ascolto ci siamo resi conto di trovarci di fronte all’ennesimo scherzo delle due sorelline: mi è venuta in mente Eugenia Ratti, con rispetto parlando, chiamata ad interpretare Boris Godunov!
Ascoltare Brunnhilde da una voce a malapena adatta a sostenere Zerlina, Despina, Serpina, Barbarina ha dell’incredibile oltre che del comico! Una Brunnhilde formato tascabile, non una dea, ma una intimidita subrettina smancerosa uscita fuori da un intermezzo comico, di voce piccola e chiara, falsettante nella seconda ottava, vuota in basso e al limite dell’intonazione in alto, senza che i registri siano risolti nel passaggio. L’accento non esiste o è troppo timido e spaurito per venir fuori. L’annuncio di morte sembrava “Una donna a quindici anni”, la scena con le valchirie “Giovinette che fate all’amore”, la sublime scena con Wotan “L’ho perduta, me meschina”. Esilarante!
Meglio, si fa per dire, ascoltare la voce lugubre e orchesca di Franz Josef Selig in Hunding che nel suo grottesco Daland, mentre la schiera delle Valchirie era costituita da fanciulle fiori sfiorite e spampanate.
L’unica nota positiva era, in parte, rappresentata dalla coppia incestuosa Siegmund e Sieglinde: Johan Botha, già Siegmund a Bayreuth nel 2010, è un Siegmund liricizzato, questa volta con costrutto.
Dimostra di trovarsi a suo agio in ruoli come questo, Walther o Lohengrin, risolvendolo nelle sfumature, in un canto gagliardo soprattutto nel registro centrale e senza sforzare, tranne nell’acuto del tutto schiacciato.
Un Siegmund cantato decorosamente ed intriso di una componente melanconica adeguata al ruolo, che da solo regge l’annuncio di morte ridotto a monologo per tenore.
Ho ascoltato molte volte Anja Kampe e l’ho sempre trovata un soprano mediocre: le sue Leonore, Senta, Elisabeth, stridule, gessose, senza spessore, gridano ancora vendetta. Sieglinde è un ruolo che ha cantato in molte occasioni, anche prestigiose, ma in maniera sciatta e del tutto superficiale oltre che in permanente difficoltà nel gestire i fiati corti ed una emissione deficitaria degli acuti.
Questa Sieglinde credo sia la sua prova migliore: misterioso e impetuoso il fraseggio, gradevole il timbro soprattutto al centro, discreta stavolta la gestione del fiato e delle brillanti sfumature; eppure permane  parecchio avventurosa la salita all’acuto, il più delle volte risolto in ballamenti metallici duri e spinti. Rispetto alla sua scipita e noiosissima interpretazione nella “Walkure” diretta da Gergiev un passo decisamente in avanti.

Attendiamo con animo colmo di continenza, espiazione, digiuno la seconda e la terza giornata di questa festa.
Tanti auguri Richard!

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33 pensieri su “Sorella Radio – Festival di Bayreuth: il Ring(hio) del bicentenario (Parte I).

  1. Ci aveva già provato Cosima a distruggere l’opera del marito, per fortuna senza riuscirci. Ora tocca a queste pronipoti. Probabilmente sarebbe utile introdurre, per la direzione del Festival, la legge salica……..

  2. E come potrebbe essere precisa un’orchestra con strumenti di legno che cuociono a 39 gradi? E un cantante come fa ad emettere suoni a 35 gradi senza avere problemi di respirazione? Fate funzionare l’aria condizionata in quella baita di legno malsana!!

    Tommy Edison morto

  3. una volta m hanno invitato a una generale per cui era fine luglio. Potei girare liberamente in teatro e certo nel golfo mistico fa caldo ma non a livello d condizionare strumenti e cantanti. Bayreuth non e’ mai caldissimo per mia esperienza diretta

  4. Non capisco perchè per Bayreuth le serate NO si debbano imputare al caldo o ad altre amenità. La nuova direzione delle nipoti non è niente di più di quella dei nostri direttori artistici “una ciofeca” Si tratta di gente invasata, autolesionista, ignorante… che pretende che il mondo musicale li segua….dove non è ancor chiaro a loro, ma a noi sì! :il baratro. Non esagero, cerco di analizzare il presente dimenticando di esser melomane. Una qualsiasi impresa che non capisca che il suo prodotto non piacerà, finirà in bancarotta.
    L’educazione musicale nelle scuole è finità da un tempo, quella famigliare anche, solo amatori sfegatati resistono, ma alle delusioni anche loro si disamoreranno, e io pronostico in tempi rapidi il vuoto nei teatri, in molti teatri.Qualcuno che ha qualche anno, ricorderà ad esempio le code alla scala per un biglietto di galleria costo 100/120 lire i posti nelle due gallerie erano 400 fra seduti ed in piedi. Oggi quanti sono in vendita e quelli effettivamente occupati da paganti ?

    • Tranquillo Rigoletto, non è colpa del caldo, non è mai stato il caldo a Bayreuth; ma piuttosto è colpa di chi sceglie i cast e di chi approva la robaccia decomposta che questi giorni stiamo ascoltando e che il pubblico, mai così unito, ha unanimamente rifiutato e sonoramente contestato di brutto. Meritatamente!

  5. ma se togliete i commenti di edison chi cavolo capisce la questione del caldo. Bisogna almeno ricordare a chi legge che il Sig. Edison Thomas Alva ha sostenuto che l’insuccesso unanime del Siegfried (di cui adesso mi riascolto il secondo atto) fosse dovuto al caldo che c’era in sala e nel golfo mistico (39°) che sfiatava i cantanti e scordava gli strumenti. Forse prendeva tutti in giro ma tant’é o si cancella tutto il dibattito o si lascia anche i suoi commenti

    • Risolto il problema.
      Fossi in te riascolterei anche i Siegfried diretti da Krauss, Knappertsbusch, Kempe, Boehm, Maazel, Stein etc, registrati in quella sala, d’estate, al caldo afoso, con Windgassen, Nilsson, Varnay, Hotter, Neidlinger, Kuen, Greindl, von Ilosvay, Thomas, Stolze, etc. che tutto sommato il caldo lo reggevano piuttosto bene visti i risultati.
      Ah, anche il golfo mistico reggeva bene il calore, quindi il nostro Edison, smentito anche stavolta, “meglio fora se avesse taciuto” come sempre 😉

  6. Insomma, una volta è la radio che registra male, un’altra volta è il calore che impedisce agli strumenti di suonare bene e ai cantanti di emettere suoni degni di questo nome… la prossima volta quale causa di forza maggiore verrà evocata per giustificare la mediocrità delle esecuzioni? Dèmoni maligni e dispettosi che si sono impossessati di cantanti e direttori?

  7. Ci mancava anche la storia del caldo.
    A San Pellegrino Terme, a Sassuolo, a Mali Losini, a Pinarella di Cervia, a Varage, a Mexilouera do Caricasao, a Rab (e potrei anche
    andare avanti con tanti altri luoghi), ho visto spettacoli messi insieme in condizioni climatiche, logistiche e artistiche penose.
    Certamente condizioni che il Festival bavarese non conosce.
    Se questo Sigfrido ha cantato in questo modo, non e’ per il caldo,
    no cari, puo’ solo cantare in quel modo.
    Il mese scorso alla Scala, cantava esattamente nello stesso modo.
    Come canti lo lascio giudicare adesso agli altri, visto che quel che penso della sua arte l’ho gia’ piu’ volte dichiarato.
    E non c’e’ bisogno di scomodare nessun artista del passato, dove certamente i cani non mancavano. Non mitizzo nessun periodo.
    Non si canta cosi’ per il caldo, e neppure per il freddo, e neppure per
    l’umidita’, e neppure perche’ la ripresa e’ distorta, e neppure perche’
    il regista e’ un cretino, e neppure perche’ le luci son troppo intense,
    e neppure perche’ non sei in parte, e neppure perche’ il direttore e’ antipatico il sovraintendente cattivo e il costumista capriccioso.
    Si canta cosi’ quando non si puo’ che cantare cosi’.

    • Giusto Miguel. Stavolta è colpa del caldo, la volta precedente era il soprano che aveva il ginocchio della lavandaia, quella prima il basso aveva il gomito del tennista. Prossimamente qualcuno arriverà qui a scrivere che al mezzosoprano è morto il gatto e che al direttore avevano telefonato prima della recita che il figlio o la figlia avevano fatto indigestione…e basta con ste scuse patetiche per una produzione costata milioni di euro e che non ha saputo offrire altro che una delle peggiori prestazioni mai ascoltate da quando esistono testimonianze registrate!

  8. Signori, qui in Germania i registi ormai hanno fatto tutto il possibile tranne che (almeno finora) far vedere la gente che si ammazza davvero sulla scena. Già i registi tedeschi si prendono normalmente libertà incredibili, ma poi a Bayreuth vanno a chiamare anche gente come Schliengensief o Castorf… cosa si pretende? Vuol dire che le nipotine cercano lo scandalo, non mi do altra spiegazione e secondo me il livello modestissimo del cast deriva anche dal fatto che molti cantanti si saranno rifiutati di lavorare con un regista che in Germania si sa bene chi è e cosa fa. Bel rispetto per l’ antenato, comunque… è proprio in buone mani!

  9. Mozart Non imprecare! umiliati!…il mondo è paese, a guidare le sorti del festival non sono persone che cercano lo scandalo, il vero scandalo è che siano loro a guidare il festival… Nel loro piccolo (si dice klein? ) cervello c’è la prosopopea di ri-chiamarsi Wanger e di pensare che SOLO loro possono… quello che ad altri comuni mortali non è concesso. Ne mio precedente intervento li avevo accomunati agli attuali direttori artistici di teatri e festival..Vi invito a leggere quanto scrive di se stesso il direttore artistico del festival della Valle d’Itria, e vi sarà chiaro come poi si comporterà. Una quantità di incenso (immenso) da lui usato per dire: solo io posso esser bravo! Con costoro alla guida dei teatri non si va da nessuna parte.

  10. Alla fine ho ceduto e ascoltato qualcosa pure io: un Ring sgradevolissimo che si colloca davvero agli ultimi posti dopo i già non entusiasmanti Ring degli ultimi anni. Pensavo che il fondo fosse stato sfiorato dall’ultimo di Thielemann – per via del pessimo cast – ma devo ricredermi. Qui, poi, non c’è neppure la direzione a salvare il salvabile: Petrenko, per quel che ho sentito, pare avere le idee un poco confuse…sembra procedere “a braccio” senza una vera linea interpretativa (ora scopiazza Boulez, ora Karajan, ora cerca di dare una tinta “russa” con scarso successo, ora strizza l’occhio alla tradizione locale). Per il Ring del bicentenario si doveva e si poteva fare meglio: e qui la colpa se la assumeranno le sorelline Wagner che, se non sbaglio, sono a fine mandato (e spero chi di dovere non rinnovi loro la fiducia). Prendere un regista come Castorf che già in partenza dichiara di essersi sempre tenuto lontano dall’opera, deluso per non aver potuto tagliare e modificare (inserendo testi filosofici e canzoni politiche), e che ammette di essere lì a Bayreuth per una forma di egocentrismo…beh significa aver sbagliato tutto. Idem per il direttore, evidentemente troppo giovane e inesperto (e la cui pretesa “genialità” mi pare tutta da dimostrare).
    Insomma se le sorelline volevano ripetere i fasti del ’76 con la scommessa Boulez/Chereau, qui hanno giocato i cavalli sbagliati. Non sto a fare i nomi (anche perché non ho idea di come sia gestita contrattualmente la fiera di Bayreuth), ma certo un McVicar o un Jones o un Guth avrebbero probabilmente fatto discutere con maggior costrutto; allo stesso modo un Rattle, un Salonen, un Pappano avrebbero potuto portare un po’ di novità in buca, con ben altre garanzie. Un bicentenario sprecato in modo imperdonabile! Ma, attenzione: al danno potrebbe seguire la beffa, perché si vocifera che nell’imminente Lohengrin, all’indisposto Nelsons potrebbe subentrare Carlo Montanaro….

    • Pare che il CdA si esprimerà in merito alle due sorelle tra settembre e dicembre.
      Il CdA in questi anni ha chiesto ripetutamente alle due delle stagioni di successo e l’unico successo ottenuto è stato Thielemann, per questo mi auguro che dal 2016, anno del rinnovo, si possa cambiare finalmente quest’aria malata e vergognosa.
      Personalmente a dirigere il Ring avrei chiamato McVikar il quale è riuscito in passato a mettere in scena un ciclo con pochissimi mezzi, ma tantissime idee, salutato con vivo successo.
      Per le bacchette concordo in toto e aggiungerei Simone Young, Jordan e Jurowski.
      Il Lohengrin diretto da Montanaro sarebbe l’ennesimo colpo di grazia su un festival macellato e triturato già ampiamente.

  11. Sono entrato tredici volte nella Bayreuthner Festpielehaus ,mai ho sofferto per il caldo eccessivo , semmai soffrivano i miei glutei per le famose seggioline . Sul palcoscenico avvenivano azioni , si vedevano immagini e si sentivano voci che solo li avevano luogo privilegiato . Poi venne Schliegensief ( pace all’anima sua )…… Ancora vedo l’aria smarrita e disastrata del povero Boulez , anche lui sommerso dai fischi , ad onta di una direzione mirabile.

  12. Credo sia interessante, a proposito delle regie, questa dichiarazione appena postata da Francesco Maria Colombo, intelligente critico musicale e adesso ottimo direttore d’ orchestra.
    Francesco Maria Colombo ha postato su facebook quanto segue. Io sottoscrivo in pieno le sue parole.

    “Allora, visto che è IMPOSSIBILE vedere il Ring o il Rosenkavalier o qualsiasi cosa senza la solita, rancida “provocazione” (=puttanata) del regista di turno (ciò che gli sprovveduti considerano moderno e che è vecchio, morto e decomposto), mi viene una domanda. Cinquant’ anni di filologia musicale non ci insegnano niente? Il rigore con il quale si è cercato di definire uno stile esecutivo deve limitarsi alla musica, tanto in scena succede quel che succede? E perché? La messa in scena non è parte dell’ esecuzione? Le corde di budello sì, ma i moduli scenici del teatro così come li ha concepiti l’ autore no? E chi l’ ha detto?”

  13. Non so come andava negli anni 30-40-50 ma dal 60 in poi almeno il settanta per cento delle regie é sempre stato criticato e ha fatto storcere il naso agli “intenditori” oppure li ha divisi. Questa mattina ho aperto una rivista d’opera del febbraio 1997 e il tasso di scontentezza era pari a quello odierno. Per cui a mio avviso sotto il profilo “macroperistico” nulla é cambiato.-

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