Pauline Viardot presenta: A proposito de “La Muette de Portici”, seconda puntata. I ruoli di Elvira e Masaniello nelle rappresentazioni parigine del 1828 e 1837

muetteOltre ai bellissimi cori (riconosciuti sin dalla prima rappresentazione come esempio di altissimo livello formale) e ai momenti “sinfonici” che accompagnano e commentano il gioco scenico di Fenella (la muta, personaggio concepito per una ballerina), i ruoli più interessanti e significativi della partitura di Auber sono quelli di Elvira e Masaniello.

Il ruolo di Elvira, composto per la diva rossiniana Laure Cinti-Damoreau, è abbastanza breve (si tratta infatti del ruolo di una seconda donna, la prima essendo la muta) e richiede una voce leggera dotata di un centro sontuoso e di buoni gravi. Due sono sostanzialmente le arie nelle quali si cimenta Elvira. La prima, Plaisir du rang suprême… À celui que j’aimais… Ô moment enchanteur! (atto primo), è un’aria virtuosistica tipicamente rossiniana composta di un prologo, di un Andante e di un Allegretto. Già Castil-Blaze, nella sua recensione della prima rappresentazione dell’opera (29 febbraio 1828), sottolineava il tributo pagato da Auber a Rossini, notando però come non sia tanto la melodia della cavatina di Elvira a ricordare il Pesarese, quanto invece il ritmo dell’aria di Auber, simile all’«inizio di una cavatina di Zelmira, di quella di Ermione, e dell’ultima aria cantata da Cenerentola». In occasione della ripresa del 1837 Berlioz dirà invece che è proprio il grazioso tema della cavatina a ricordare un’aria di Rossini, tratta però da Ricciardo e Zoraide.

Decisamente drammatico e patetico è invece il secondo momento solistico di Elvira, la cavatina in Mi bemolle maggiore Arbitre d’une vie (quarto atto), di cui in occasione della prima venne tuttavia criticata l’eccessiva lunghezza, inadeguata secondo Fétis alla concitazione del momento scenico (Elvira e Alfonso sono in pericolo di vita, Fenella li potrebbe salvare, e davvero non ci sarebbe troppo tempo da perdere in suppliche, per quanto sublimi…).

Il ruolo di Masaniello è molto più complesso e articolato; concepito per il grande tenore Adolphe Nourrit, si tratta del vero protagonista dell’opera, che infatti avrebbe dovuto intitolarsi proprio Masaniello. Come ricorderanno i lettori della prima puntata dedicata alla Muta, il titolo della fatica di Auber fu cambiato all’ultimo momento per distinguere la nuova produzione dell’Opera da quel Masaniello ou Le Pêcheur napolitain di Michele Carafa, andato in scena con grande successo all’Opéra-Comique solo due mesi prima. Il tenore, la cui tessitura è sostanzialmente centrale, ma viene sollecitata anche nei settori grave (sporadicamente), acuto e sovracuto (spesso), deve cimentarsi con l’espressione dei più diversi stati d’animo. Masaniello entra infatti in scena con l’allegra barcarola del secondo atto (Amis, la matinée est belle), per poi passare all’ardore rivoluzionario con il famoso duetto Amour sacré de la patrie (Re maggiore), che avrebbe addirittura determinato la Rivoluzione belga del 1830 in occasione di una rappresentazione della Muta alla Moneta di Bruxelles (ma pare che si tratti di un aneddoto dal sapore leggendario). Ancora sdegno rivoluzionario alla fine del secondo atto, con il fervido appello alla Rivoluzione, Venez, amis, venez partager mes transports, che si conclude con un Si bemolle acuto, e di cui si ricorderà a mio parere l’anno successivo Rossini nella grande scena di Arnoldo nel quarto atto del Guglielmo Tell.
All’inizio del quarto atto, Masaniello si cimenta poi in un’aria di riflessione sulle violenze perpetrate in nome della Rivoluzione (
Spectacle affreux… Ô Dieu! Toi qui m’as destiné), e subito dopo nella celebre Berceuse in Sol maggiore cantata per placare la disperazione angosciosa di Fenella (Ferme tes yeux, la fatigue t’accable). Nel quinto atto, il tenore affronta infine una tipica scena di pazzia, in cui il personaggio alterna momenti di smarrimento ad altri di furore eroico, prima di uscire definitivamente di scena e andare a morire in battaglia, cantando Mes armes! su un Sol che alcuni interpreti (come Alfredo Kraus nell’incisione EMI) trasformano in un Do di petto. Gli insorti, ormai privi della guida di Masaniello, si disperdono, permettendo così al Viceré spagnolo di restaurare il potere monarchico, mentre il Cielo esprime il suo “giusto” corruccio per l’audacia rivoluzionaria con una bella eruzione del Vesuvio. Fenella, cornuta, mazziata, e ormai anche orfana di fratello, ne approfitta invece per farla finita gettandosi nel vuoto dal balcone della Reggia… di certo, non fosse stata la muta di Portici, le sue ultime parole prima del gesto estremo sarebbero state: Che cazz’ camp’ a fà?

laure-cinti-damoreauLe recensioni più importanti della serata del 29 febbraio 1828, dovute a Fétis e a Castil-Blaze, non contengono purtroppo informazioni sulle performance della Cinti-Damoreau e di Nourrit che vadano oltre il generico elogio delle loro qualità vocali e sceniche: probabilmente all’epoca l’alto livello tecnico degli interpreti era dato per scontato e non c’era bisogno di soffermarsi troppo a lungo sulle loro eventuali carenze (o di sorprendersi per la loro bravura).

Per quanto riguarda la Cinti, comunque, l’autografo della Muta di Portici presenta in margine al testo della sua prima aria, moderatamente ornata in origine, le fioriture che la cantante dovette proporre al pubblico parigino la sera della prima rappresentazione dell’opera; la sua esecuzione risultò però priva di vigore e di vivacità nelle cadenze conclusive, almeno stando al giudizio di Castil-Blaze.

Possiamo invece essere sicuri che Nourrit creò col suo canto e col suo gioco scenico un Masaniello decisamente ideale, nobile, stilizzato, che nel 1837 Théophile Gautier liquiderà sprezzantemente come «un conspirateur de salon, un cospiratore da salotto».

Molto più interessante e stimolante si presenta invece la lettura delle due recensioni della ripresa del 1837, la prima, come già detto, dovuta alla penna di Gautier, la seconda a quella di Hector Berlioz.

Il ruolo di Elvira fu affidato per l’occasione a Julie Dorus-Gras, di cui Berlioz ricorda i successi di pubblico in titoli come Ebrea e Guglielmo Tell.
È proprio sulla
performance del soprano che si registrano alcune divergenze di giudizio tra i due recensori. Seppure en passant (e soffermandosi più che altro sulla brutta acconciatura dell’artista), Gautier afferma infatti che la Dorus cantò l’aria del primo atto «avec un goût exquis». Berlioz, al contrario, attribuisce i tiepidi applausi ricevuti dalla cantante al termine dell’esecuzione dell’aria proprio al cattivo gusto delle ornamentazioni da lei eseguite! La Dorus va senz’altro elogiata, continua il musicista, per la serietà e lo studio costante, che le permettono di migliorare e di essere un’autentica virtuosa; in occasione della Muta, però, ha voluto strafare, esagerando con fioriture ed ornamenti.
Insomma, «
sa vocalisation est excellente, mais sa musique ne vaut rien, la sua vocalizzazione è eccellente, ma la sua musica non vale niente». Nel 1837 il pubblico parigino non apprezzava più un canto troppo carico di abbellimenti, evidentemente percepiti come ormai “invecchiati” e fini a se stessi.

Gautier e Berlioz concordano invece nell’elogiare le straordinarie doti recitative di Duprez, la cui interpretazione suscitò a quanto pare entusiasmi deliranti tra il pubblico. Il tenore seppe infatti sottrarre il personaggio di Masaniello all’atmosfera stilizzata (evidentemente anch’essa superata) in cui l’aveva immerso Nourrit nove anni prima, per restituirgli un autentico spessore storico (aspetto a quanto pare molto importante per il gusto dell’epoca, dato che scene e costumi dell’opera sono abbondantemente elogiati proprio per la loro esattezza storica). Entrambi i recensori sottolineano il modo in cui, attraverso un sapiente gioco scenico, il cantante avesse saputo dare vita a un personaggio autentico e credibile. Il Masaniello di Duprez era un lazzarone qualsiasi, che giustamente insorgeva contro le prepotenze del potere monarchico, per soccombere poi alla vertigine del potere e delle prerogative da esso offerte. Non è questo il momento di citare per intero le minuziose descrizioni della recitazione del tenore fornite da Gautier e Berlioz nei loro articoli: basti dire che per il primo Duprez «è uno dei più grandi, se non il più grande, degli attori lirici dell’epoca», e che il suo gioco scenico tradisce «la più sapiente analisi delle passioni umane e una profonda comprensione della mimica».

Julie_Dorus-GrasLe due recensioni ci informano anche di qualche aspetto dell’arte canora del tenore. Sappiamo da Gautier che Duprez interpolò dei trilli nella Barcarola del secondo atto, contribuendo così a rendere il brano più simile a un vero canto popolare napoletano. Se superba fu secondo il recensore la maniera in cui il tenore pronunciò la frase Et mieux que ton épée l’hospitalité te défend (quarto atto), egli non poté invece far nulla per rendere più affascinante la cosiddetta Aria del Sonno (ancora quarto atto), il cui disegno melodico è secondo Gautier troppo vago perché persino un Duprez possa ricavarne qualcosa di buono.

Molto più dettagliata, anche stavolta, si presenta l’analisi di Berlioz, interessante perché ci informa di alcune difficoltà incontrate da Duprez nel cantare un ruolo originariamente concepito per Nourrit, e meno congeniale alle sue corde rispetto a quelli di Eléazar, Raoul e Arnoldo (e qui l’intervento prezioso di Mancini sarebbe particolarmente gradito e apprezzato). Sembrerebbe in particolare che il ruolo non fosse abbastanza acuto per Duprez, in difficoltà soprattutto sotto il La bemolle: sotto questa nota egli era infatti costretto a emettere dei suoni di petto non bellissimi, laddove Nourrit emetteva senza problemi, e di testa, suoni flautati (in falsetto?); quanto ai couplets in Sol del secondo atto (la solita Barcarola Amis, la matinée est belle), il cantante fu costretto a farli alzare di un tono. La sera della prima, insomma, il canto di Duprez non fu ineccepibile, a detta di Berlioz, che nel duetto Amour sacré de la patrie e nell’aria che apre il quarto atto, Adoucis la rigueur de tes arrêts terribles; tuttavia, conoscendo il carattere combattivo del tenore, Berlioz non escludeva che nelle rappresentazioni successive egli potesse superare i suoi stessi limiti e mietere nella Muta gli stessi allori che in Ugonotti o Ebrea.

Gli ascolti

Auber – La Muette de Portici

Atto I

Plaisir du rang suprême…O moment enchanté – Frieda Hempel (1910)

Atto II

Amis, la matinée est belle – Emile Marcelin (1913)

Mieux vaut mourir que rester misérable…Amour sacré de la patrie – Fernand Ansseau e Tilkin Servais (1930)

Atto IV

Du pauvre seul ami fidèle – Georges Imbart de la Tour (1903), René Lapelletrie (1917)

 

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2 pensieri su “Pauline Viardot presenta: A proposito de “La Muette de Portici”, seconda puntata. I ruoli di Elvira e Masaniello nelle rappresentazioni parigine del 1828 e 1837

  1. Pezzo molto interessante. Sto sentendo la barcarola di Marcelin… è trasposta una terza minore sopra quella di Kraus! Non è il solo ad alzare il brano (a conferma delle lamentele di Duprez sulla tessitura a tratti un po’ bassa), ma un tono e mezzo mi pare troppo, non vorrei che il riversamento fosse scorretto.

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