Il Trovatore alla Bayerische Staatsoper: la soluzione finale.

Parlare degli allestimenti quale prima riflessione è per noi del Corriere della Grisi  quasi un non senso, perché il canto, l’espressione e l’interpretazione che discendono dal canto stanno al primo posto. Altrimenti non si tratterebbe di melodramma, ma di altra e differente forma di arte.
Ma è doveroso brevemente spiegare lo sconcerto che ci ha preso davanti al circo, all’avant spettacolo, al teatro di regia in versione parrocchiale (ove con tale termine non si intenda quanto allestito presso gli oratori, ma più genericamente uno spettacolo che ripete cose e stilemi inutili e già visti  senza qualità e rifinitura). Già visti gli stupri, i parti indotti con violenza, nudi femminili sgradevoli contrapposti a scultorei maschi, le esecuzioni capitali stile Russia, ombre, presunte ossessioni infantili e fantasmi, cappotti, gags, ridicolizzazione dei sentimenti certo un po’ melodrammatici, che sono, però, la genuina essenza del melodramma romantico e che servono a mettere alla frusta le qualità interpretative. Se chi come il signor Olivier Py responsabile dello spettacolo in cui, con vero horror vacui ha affastellato scopiazzature aperte di Ronconi, De Ana, Chereau, Bondy etc e chi più ne ha più ne metta, non crede al messaggio del melodramma, può astenersi dal frequentarlo, a meno che non lo faccia in esecuzione di un determinato e sciente piano di sistematica distruzione di questo genere  di spettacolo. Insomma un preordinato sterminio, di fatto una…. soluzione finale. Non sarebbe la prima volta che l’umanità assiste a questo. Accadde, ad esempio, agli albori del Cristianesimo nei confronti degli spettacoli del circo, accusati di essere l’apoteosi del paganesimo. Ma allora si ebbe il coraggio di dire ed esplicitare il perchè della scelta. Oggi questo coraggio manca perché dalla organizzata rovina di questa ARTE si lucrano guadagni e poi la Kultura e il sentire comune mai ammetterebbero di preordinare la fine di una genere musicale.
Ma in Germania va così, forse perché i tedeschi il melodramma italiano non lo hanno mai capito sino in fondo e per cercare di capirlo e di adeguarlo alla loro attuale cultura lo hanno rivestito dei panni del peggior brechtismo sul piano visivo e del peggior canto di cosimiana memoria, sotto il profilo vocale. Eppure sino all’immediato dopo guerra la scuola vocale tedesca era pari a quelle degli altri paesi europei e per mezzo di Barbara Kemp documentiamo l’alto livello tecnico ed espressivo. Oggi scomparso e prima ancora vilipeso.
Al di là di un allestimento che tradisce lo spirito dell’opera, che rappresenta solo una superfetazione all’appassionato melomane rimane la parte vocale. Precisiamo rimarrebbe perché dalla stessa non provengono che cocenti delusioni ben peggiori di quelle offerte dalla parte visiva. Scontate delusioni atteso che l’arte del canto non è quella della cabala e, quindi, quel che di bene o male un cantante possa offrire è ben noto all’ascoltatore attento. A maggior ragione se si tratta dei divi dello star system che con cadenza mensile vengono  trasmessi via etere.
Fragorosa e pesante l’orchestra condotta da Paolo Carignani, senza nessuna idee che vada oltre l’accompagnamento: non sentiamo, quindi, nè il clima lunare che accompagna Leonora, nè quello trasognato ed allucinato che circonda Azucena ( ridotta ad una macchietta o ad una caratterista), nè l’immagine eroica del protagonista e del fratello, rivale ed antagonista. Unico pregio  è che le orchestre tedesche hanno precisione e qualità di suono spontanee.
La maggior delusione viene dalla coppia di innamorati, dei due lei è peggio di lui. J.Kaufmann è il solito che canta fra naso e gola con voce artificiosamente ingrossata e conseguenti ridicoli falsetti, spacciati per interpretazione (come accade all’andante del terzo atto “Ah si ben mio”); assoluta mancanza di squillo oltre che nella “Pira”, nonostante il  tradizionale abbassamento, persino nell’apostrofe “Ah quell’infame amor venduto” di tessitura centrale. Insomma no il figlio, no l’innamorato, no il guerriero esaltato. E allora che resta?
Come grazie al canto della signora Harteros nulla resta di Leonora, né il pesante retaggio donizettiano di tutta evidenza nelle romanze, nè il “fuoco verdiano” di passi come il terzetto finale atto primo o il duetto con il conte di Luna. Ma due punti di tale indecente prestazione vanno sottolineati, ossia l’esecuzione stonata, calante e dal fiato corto, incerto della scena del quarto atto dove il “D’amor sull’ali rosee” è condotto a termine con lo sforzo di una principiante, e le controscene da soubrette al duetto con il Conte. Ha ben presente il signor Py, e con lui soprano e direttore, quale tragedia si consuma in quel duetto? Se a questo aggiungiamo una acconciatura scenica dove gli occhiali neri ricordano inesorabilmente Toto ne “La patente”, per non parlare del fantascientifico individuo in tutina spaziale che le gira attorno, abbiamo la prova della scientifica e sistematica della distruzione che del melodramma si sta perpetrando. E il pubblico tedesco applaude. E applaude. E applaude. Mentre i melomani nostrani si sentono in debito se mancano di partecipare ai trionfi di siffatte melostars, che scavalcano in ogni passaggio i limiti che un tempo separavano i “buoni cantanti” da quelli che loro stessi avrebbero definito “cani” solo venticinque anni fa….
Applaude moderatamente all’Azucena di E. Manistina che canta male e con cattivo gusto, trattandosi di soprano, dedita all’imitazione della più verista Obratzova e che trasforma la tragedia ed il contrasto di Azucena, per certi versi la vera protagonista dell’ope,ra, in una caricatura. Ma forse l’applaudono poco perché la signora ha oggettivamente poco glamour scenico. Sono poi offensive per l’autore le gags di Azucena, come il borseggio ai danni di Ferrando, il bere alla bottiglia e supremo il siparietto nell’intervallo, con tanto di trucco della segagione umana, stile Houdini, degna di un circo. Vergognoso il tutto, il cui degno epitaffio registico sarebbe: “ Tutto fa brodo!”.
Chiudo la lamentela ricordando l’emissione “slavona”, con le intonazioni “a scivolo”, la difficoltà a cantare nella tessitura acuta ed a legare del signor A. Markov Conte di Luna e la delusione della voce vuota, senza proiezione di Kwanchul Youn, abilissimo solo nel giustiziare Manrico.
Invito, però chi leggerà questa delusione a voce alta, a guardare lo spettacolo per rendersi conto della sistematica distruzione cui incapaci ed impotenti stiamo assistendo.

Barbara Kemp: D’amor sull’ali rosee

Immagine anteprima YouTube

12 pensieri su “Il Trovatore alla Bayerische Staatsoper: la soluzione finale.

  1. Recensione perfetta. Ho visto lo spettacolo via web (non per intero: ho saltato del tutto il terzo atto, ma non deve essere stata una gran perdita…) e concordo su tutto. Allestimento assurdo (stavolta mi pare mancassero gli uomini in costume adamitico; in compenso c’era una bonazza mora che si produceva in uno strip-tease integrale durante il coro che apre il secondo atto). Con la Harteros partivo già un poco prevenuto, ma devo dire che è riuscita a stupirmi negativamente: già l’aria del primo atto era perfino peggiore della versione utilizzata un paio di settimane fa per il confronto con la Leider, quella del quarto atto è stata un autentico scempio, chiusa da una nota che pareva la sirena di un’ambulanza. Nella scena finale, era praticamente ridotta a fare teatro di prosa. Ancora più sconcertanti le ovazioni finali a lei ed a Kaufmann…boh, avevo sempre pensato che in Germania fossero più colti di noi dal punto di vista musicale, ma evidentemente mi debbo ricredere.

  2. Logocamente concordo su tutto e del resto le stesse cose, più o meno, le ho scritte dopo la trasmissione radiofonica della prima. Posso solo aggiungere che durante la diretta streaming pensavo insistentemente al secondo cast dell’ edizione messa in scena dall’ Arena di Verona nel 1978, formato da Seta Del Grande, Viorica Cortez, Giuseppe Giacomini e Garbis Boyagian. Quattro voci allora considerate, magari anche non a torto, di serie B che oggi, a confronto di questa autentica banda di straccioni vocali, sembrerebbero fenomeni!

    • Ciao anche io concordo su tutto tranne che sul giudizio di una voce facente parte del cast areniano del 1978. Giacomini sarebbe stato certamente di serie B molti anni prima ma nel 78 chi lo considerava tale ed esaltava magari Domingo e Carreras fa rotolare per terra dalle risate.

  3. Concordo con voi e con Mozart, che ho letto mandatomi da un’amica.
    Kau è ridicolo e i suoi baritoneggamenti lasciano sempre di stucco. Sostenuto da compaesani e agenti americani via una casa discografica, è sempre un brutto sentire sopratutto dove ci vuole una linea italiana ANCHE nei recitativi. True horror!!
    Il resto è nulla… Un gran bel NULLA!
    Tristezza.

  4. Complimenti per la perfetta recensione: solo sul vostro sito leggo questo tipo di considerazioni, che condivido pienamente.
    Io da un po´ vivo in Germania e sento profondamente tutto questo. Credo pero´, purtroppo, che il problema vada ben oltre la connotazione geografica. In Italia non siamo messi tanto meglio e lo dimostra la Sua perfetta annotazione sui “melomani” italiani che soffrono se non sono qui, a partecipare a questi “riti” distruttivi. Il problema credo stia nella crisi di valori e di orgoglio culturale che caratterizza tutto l´Occidente. Grazie

    • la verità,e che certi registi,non sanno più che pesci pigliare,ed escono fuori questi allestimenti scemi,nel passato certi complessi facevano uso di droghe per autoispirarsi nelle composizioni,chissa che certi registri non facciano lo stesso.
      Dal lato muicale,livello penoso,io salvo solo l’orchestra..

      • Ciao Pasquale,
        Ma guarda che i registi sanno benissimo
        che pesci pigliare: Pigliano nel pubblico che
        li acclama, nel personaggio che li designa e nei critico che li argomenta. Semplice.
        Le sostanze stupefacenti c’entrano poco,
        te lo garantisco, (mi occupo di farmacologia ed andrologia da decenni), e nel caso dovessero c’entrare, cosa che molto poco mi
        interessa, dovrebbero immediatamente
        cambiare pusher, visto l’esito.
        La tragedia e’ il risultato musicale.
        Non parliamo di quello vocale, che nell’opera e’ il piu’ importante, checche’ ne dica qualcheduno. Ciao caro.
        Ti aspetto ad ottobre per il Don Carlo. Miguel.

  5. Negli anni 70 all’Arena di Verona, non ci andava la elite della critica
    perchè consideravano gli spettacoli extra “popolari” E facevano male perchè oggi al vedere solo poche scene di questo trovatore “tomanico”
    c’è solo una proposta da fare: ma i fulmini sono solo sulle spiagge ?.
    Io assistei ad una recita di Traviata con una beniamina di allora tale Katia Ricciarelli, direttore mi pare fosse un Molinari Pradelli o giù di lì.
    Dopo alcune note dell’orchestra un urlo dal pubblico cambiò il clima: Maestro sveglia! Quindi anche il popolaccio capiva che qualche cosa stava accadendo.
    Ora vedendo quella strega all’inizio dell’opera IN ARENA, non la avrebbero fatta passare. Se a Monaco non reagiscono a tale presa in giro significa che il pubblico oramai soffre di sadismo, e vuole esser preso per i fondelli…. Resta da dire: GODETEVI LA VOSTRA INSIPIENZA.

Lascia un commento