Puccini la chiamava “la mi’ Gildina”, per lei scrisse la parte di protagonista della Rondine e la stimò sin dal debutto come Minnie e Tosca. Non minore si dice fosse la stima e l’affezione di Mascagni di cui cantò spessissimo spartiti massacranti come Parisina e Isabeau, pensati per soprani di tonnellaggio e colore ben diverso da quello di soprano lirico puro. Toscanini la impose come Violetta in Scala nel 1923 e per capire che fu imposizione basta leggere quanto scrive, acrimonioso e livido come sempre, Lauri Volpi in Voci parallele.
Chi sentisse le registrazioni della Dalla Rizza può legittimamente dubitare che le qualità della cantante Veronese fossero agli occhi di “quei siori” ben altre a partire dalla giovinezza e la bellezza, perché Gilda Dalla Rizza vantava una figura ben differente da quelle delle signore del tempo, soprattutto se esercenti la professione di soprano. Se a questo aggiungiamo una frase attribuitale ossia “in casa mia è lecito tutto ciò che non lo è altrove” possiamo trasformare le illazioni in fondati pettegolezzi.
Al di là di questo vanno rilevati l’immediato successo e l’affermazione che immediata dopo il debutto avvenuto a Bologna nel 1912 con la Carlotta di Werther la cantante ebbe. Subito si trovò a Roma presso il teatro Costanzi allora gestito da Walter Mocchi e, quando questi svernava presso le patrie galere per le note simpatie socialiste, dalla consorte Emma Carelli, che ormai al capolinea della carriera, per certo riconobbe nella bella ragazza veronese una propria emula. Insomma chi si somiglia si piglia. Anche se va detto, ad onore del soprano napoletano che la Carelli scritturò immediatamente dopo rituali audizione e maltrattamento Giannina Arangi Lombardi.
La carriera fu strepitosa e rapidissima la Dalla Rizza nel giro di pochi anni approdò in tutti i maggiori teatri italiani il Costanzi dal 1913, la Scala dal 1917 (debuttando nel principe Igor insieme a Schipa), Napoli dal 1920 e esteri a partire da quelli Sud americani dove fu seconda quanto a fama alla sola Muzio ed anche a Monte Carlo ed al Covent Garden. Non cantò, invece, nei teatri nord americani. Il repertorio fu essenzialmente quello Verista salvo qualche sporadica recita della Forza del destino, un fugace approdo a Wagner con Eva dei Maestri cantori e soprattutto la Traviata, che spesso all’epoca, nonostante i retaggi belcantistici, veniva praticato da soprani di tutt’altro tipo, e di quello verista anche titoli onerosi, sia in relazione al mezzo della cantante sia al gusto del tempo, che salvo eccezioni (Claudia Muzio o Maria Farneti nelle proprie sporadiche apparizioni) imponeva esagitazioni non certo favorevoli alla voce.
Quindi Iris, Isabeau, Santuzza, Maddalena, Francesca da Rimini, Giulietta del Romeo e Giulietta di Zandonai e quasi tutte le eroine pucciniane con l’approdo (toccata e fuga come nel caso della Lehmann) a Turandot. Come conveniva alle cantanti attrici cantò, tradotto in italiano, Strauss, sia la Marescialla (Montecarlo 1927) che (1936, quindi alla fine della carriera, a Genova sotto la guida dell’autore) Arabella. Due episodi della carriera possono offrire uno spunto di riflessione sulla cantante, ovvero l’intervento alla gola dal 1922 e la dismissione a far data dal 1923 circa dei titoli mascagnani, reputati pesanti per la voce. Di che intervento si trattasse anche le biografie più complete nulla dicono una cosa è certa che anche in questo la Dalla Rizza fu cantante d’avanguardia, in anticipo di circa settant’anni. In coppia, per dirla chiara, con Caruso.
I difetti della cantanti dalle registrazioni sono evidenti: voce vibrata, povera di armonici e velluto, centri un poco aperti con tanto di birignao sulle vocali, suoni schiacciati in basso (evidentissimi nell’impietosa scrittura di Verdi) , marcate difficoltà nell’esecuzione delle agilità (di fatto quelle del primo atto di Traviata). Siccome non abbiamo registrazioni di scene, a parte l’integrale di Fedora, non sappiamo quanto fosse “il temperamento” , per usare un termine del tempo della Dalla Rizza in scena. Ovvero non documentiamo qualcosa di sublime e comico al contempo come la scena di Tosca cantata dalla Carelli (madre spirituale di tutti i soprani veristi) o la scena della morte di Fedora della Bellincioni. A parte i vizi tecnici sopra evidenziati la cantante è tutto sommato castigata o almeno contenuta negli effettacci veristi. Certo prendendo il duetto di Fedora la visione del personaggio è imposta sull’estroversione e sull’esagitazione perché certe frasi come “io mi domando ancora” non sono sussurrate con stupore, il che attenua il nervosismo e lo slancio di altre frasi come la lettura della lettera, “avanti avanti”, “or narrami il castigo”. Aggiungo che sorge il dubbio che la cantante dopo quasi vent’anni di carriera non fosse al massimo della forma anche se i suoni medio alti sono sonori e il do5 opzionale è un suono vibrato, ma saldo e sicuro. Ancora l’estroversione è la sigla del recitativo di Manon nell’aria del “picciol desco”, modello cui si attenevano cantanti coeve come la Baldassarre Tedeschi e che sarà la sigla di Mafalda Favero e Licia Albanese.
Le arie pucciniane non brillano certo per idee interpretative come accade con una Muzio o una Farneti o per splendore vocale come per Rosetta Pampanini e l’interpretazione è sempre risolta più con l’estroversione anche se presenta la smorzatura del “or ho tutt’altra cosa” nelle “trine morbide” o quella (fonte originale la Carelli) di “fiori agli altar” del “Vissi d’arte”, chiuso con la smorzatura sul labem non prevista da partito, ma canonica. Per capire appieno una cantante come la Dalla Rizza basta sentire la scena di Violetta: nel recitativo la cantante dice veramente con notazioni da artista cui preme esprimere (vedasi il secondo “è strano”, o ancora “un serio amore”) e dice il dramma di Violetta, canta l’arioso anche con gusto (certo senza le risorse espressive di una Olivero o della Callas o lo splendore vocale di una Caniglia) anche se affidandosi più al temperamento che alla saldezza della tecnica (azzecca il “nuova febbre accese”, ma è piatta nel seguente “destandomi all’amore”) poi la cantante cola a picco nell’allegro dove ci sono sconti e rabberci rispetto alla lettera del testo, impossibilità ad eseguire i do staccati. Questo fa molto riflettere perché difficilmente oggi una Violetta così squadrata ed imprecisa nel canto d’agilità passerebbe o certamente non potrebbe ottenere la fama di grande Violetta. In questo senso siamo figli di Lauri Volpi e forse preferiremmo la Violetta di Yvonne Gall non perfetta virtuosa, ma dalla linea di canto precisa e dal sentimento aderente al 1853, avulso da ogni tentazione naturalistica.
In questo senso, sia ben chiaro, la Dalla Rizza non è un modello, a differenza di moltissime cantanti a 78 giri, ma il modello di un gusto e di una mentalità, che imperava soprattutto applicata agli autori allora contemporanei anche se non era la sola, perché i soprani da Verdi si chiamavano Russ, Arangi –Lombardi e saggia, ben consigliata, conscia dei propri pregi e limiti il soprane veronese ad Aida o Amelia del Ballo non pensa certo.
Gli ascolti
Gilda Dalla Rizza
Verdi – Traviata
Atto I
Libiam ne’ lieti calici (con Giovanni Manurita – 1928)
Voi qui?…Un dì felice, eterea (con Giovanni Manurita – 1928)
E’ strano…Ah, fors’è lui…Follie! follie!…Sempre libera (1928)
Atto II
Madamigella Valéry? Son io (con Giulio Fregosi – 1928)
Atto III
Teneste la promessa…Addio del passato (1928)
Massenet – Manon
Atto II
Adieu notre petite table (1928)
Puccini – Manon Lescaut
Atto II
In quelle trine morbide (1928)
Puccini – Tosca
Atto II
Vissi d’arte (1929)
Grazie, Donzelli, per il bel articolo. Certo, la Della Rizza non sarà un modello in assoluto, ma sei sicuro, per esempio, che oggi non avrebbe fama di grande Violetta? Come sai bene, si sentono cose molto più squadrate e imprecise… e non solo in Traviata. 😉
grazie per gli ascolti,è una buona cantante,ma,tende molto a bamboleggiare, la lettura della lettera all’inizio del terzo atto troppo manierata , è abbastanza sgradevole,insomma niente di eccezionale,penso che nei teatri attuali,sarebbe un anonima cantante,insieme a tante altre ..
Pensa che oggi, negli stessi teatri in cui cantò la Gildina passano con ovazioni e contratti discografici nomi come: Damrau e Dessay (Violetta), Jaho (Manon), Westbroek e Opolais (Manon Lescaut), Serafin e Radvanovsky (Tosca), Gheorghiu (Fedora), restando agli ascolti proposti.
I difetti della Gildina sono evidenti, come lo sono quelli delle attuali colleghe: ergo, anche Gildina oggi sarebbe idolatrata e messa sotto contratto dalla Decca o dalla EMI.
La Gildina di difetti ne ha. Ma sa anche cantare. C’è una base bella solida. E si scofanava da sola tutto il repertorio che le altre si fanno in 8.
Questa è la grossa differenza tra un cantante con dei difetti sul canto e un cantante che sbraita e non canta punto. A mio avviso.
Nessuna delle cantanti da te giustamente citate però può vantare un registro acuto solido e sonoro come quello della Dalla Rizza. All’epoca forse non era fra le migliori, ma rispetto a certe dive attuali resta comunque una grande cantante.
Appunto! Concordo in pieno con te e Tamberlick.
Sulla Dessay ritengo che il suo veloce declino non possa consentire un valutazione riduttiva delle sue eccellenti performances dei cinque sei anni in cui era in piena efficienza. Credo anzi che se un vera critica si debba muovere agli operatori italiani del settore é il fatto di non averla scritturata con maggiore frequenza nel suo periodo d’oro.-
La Dessay è stata artefice del suo declino, per quanto fosse promettente all’inizio resta una delle più grandi delusioni moderne. Un’Artista vera con del talento trasformata dallo star system e dalle proprie paranoie in una guitta da periferia capace solo di prendere in giro il pubblico con trovate le più bieche e patetiche che si siano mai viste.
Il suo finale I di Traviata di Aix-en-Provence viene abbondantemente umiliato dalla Dalla Rizza se facciamo un confronto. Ed è triste che un soprano leggero dopo una carriera relativamente breve e non così onerosa (non cantava certo Bolena e Norma come la Sills!) non fosse più capace di sostenere il “Sempre libera”.
Ma nessuno vuole ridurre le eccellenti performances della Dessay degli anni migliori. Anzi, trovo la sua esecuzione delle arie da concerto di Mozart insuperate (e per quel che sento in giro, insuperabili). Così pure la sua Olympia e la sua Zerbinetta, la Regina della notte o in Orphée, Mitridate, Alcina, Lakmé… Tutto vero, ma poi qualcosa è cambiato e non è cambiato – come pure si è detto – perché NATURALMENTE si cambia e la voce non può essere la stessa, ma per scelte precise.
infatti le esecuzioni che hai citato tu duprez m sembrano assolutamente competive anche per il passatista piu’ convinto.
Anche a me la Dessay piace tantissimo nei suoi anni migliori: splendida Olympia, Regina della Notte, Lakmé, Marie (Fille de Regiment) e nelle arie da concerto per soprano koloratur (vedi Mozart e Alyabiev).
Iniziò a ripiegarsi su Handel con Alcina e Giulio Cesare ma personalmente tali prove sono stati deludentissime sia da un punto di vista vocale (senza voce di petto, come fai a cantare Handel?) sia interpretativo (di una moscezza unica).
Se la Dalla Rizza fosse un’ anonima cantante oggi, la Netrebko, la Harteros, la Dessay e tante altre dovrebbero cantare esclusivamente nelle fiere di paese, volendo stabilire una scala di valori accettabile!
Amen!
Nourrit tu lo sai bene come voi francesi ogni tanto nella vostra spocchia perdete il senso della misura. Se frequentavi d piu’ l italia forse saresti morto d gotta
Dovrei anche rispondere?
mozart tecnicamente è buona,ma ha abbastanza difetti,di certo non è inferiore alla Netrebko,e simili.,ma il suo modo di cantare il suo bambollegiare,è abbastanza fastidioso,è in un teatro moderno sarebbe anche fuori moda,anche se all’epoca era quasi di moda,con la Callas per fortuna c’è stata un evoluzione,su questa modo di cantare,e questo è giustamente evidenziato nel titolo del post,cioè la Callas come spartiacque
bamboleggiare ****
Grazie Donzelli per il bellissimo articolo! La Dalla Rizza ritiratasi dalle scene si dedicò anche all’insegnamento in vari conservatori: a Udine (ove mi sembra la raggiunse la stessa Callas per informarsi su come Toscanini esigeva venisse interpretata Violetta), a Trieste e infine a Venezia. Ciò mi fa venire in mente quanto la mia compianta maestra di canto mi raccontava su questa artista. Quando insegnava al conservatorio di Trieste per alcuni mesi diventò sua allieva per poi passare nei primi anni Cinquanta fino al debutto (1954) alle cure della Toti Dal Monte. Della prima, però, almeno come maestra di canto, non me ne parlò mai bene. La Dalla Rizza la volle come allieva a tutti i costi, viste le sue non ordinarie doti naturali di soprano lirico leggero, ammettendola direttamente al terzo anno. Dopo alcuni mesi dovette abbandonare le sue lezioni in quanto percepiva che le stava rovinando la voce forzandola a spingere troppo l’emissione. Al che la diva si lamentò con il direttore del conservatorio per la defezione dell’ex allieva, ma senza successo… Poi passò nelle mani della Toti, la quale, così mi raccontava, aveva un modo totalmente diverso di intendere la tecnica vocale, tutt’altro mondo, tantoché dopo solo tre anni di studio debuttò a Roma al Teatro Eliseo come Rosina nel Barbiere di Siviglia rossiniano.
Salve,
non è affato vero che le biografie più complete sulla Dalla Rizza nulla dicono sull’ intervento alla gola: vedasi P. Badoer in “Gilda dalla Rizza, la cantante prediletta di Giacomo Puccini”, pagina 69 motivazione: piccolo nodulo alle corde vocali. Vedasi anche F.G.Rizzin in “Gilda dalla Rizza, Verismo e Bel Canto, pagina 55, motivazione: alcuni noduli che si erano formati sulle corde vocali. Quanto all’abbandono del repertorio mascagnano, fu una mera scelta di repertorio, già da tempo consiglliata caldamente dallo stesso Maestro Giacomo Puccini.