“Invano, Alvaro…Le minacce e i fieri accenti”. Sesta puntata: Franco Corelli e Mario del Monaco

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Approdiamo, negli anni cinquanta, al primo convento virtuale  italiano del dopoguerra. Possiamo dire che, con qualche eccezione, qui e nelle puntate successive di questa sfida inizino le dolenti note rappresentate al massimo grado dal canto di Mario del Monaco, pur proposto nella Forza del Maggio Musicale  del 1953 e da Ettore Bastianini, pur all’apice della carriera nel 1958. L’esecuzione dei  sopracitati testimoniano quella che fu la fine della scuola di canto italiana e se reggono meglio Aldo Protti (allievo, per  tramite
di Mario Basiola, della scuola di Cotogni) e Franco Corelli (allievo per più vie della scuola romana e forse di quella di Garcia) non reggono, comunque, il confronto con le generazioni immediatamente precedenti. Resistette, al decadimento rapido (ed oggi possiamo dire irreversibile) il canto femminile, ma non nel senso della communis opinio che l’arte della Callas gli conferì nuovo vigore, ma in quello che l’arte e la tecnica di Maria Callas  rallentò l’agonia.  Oggi, infatti, con un paio di eccezioni il canto femminile langue, offrendo quotidiani, penosi spettacoli.

Per capire l’abisso vocale ed interpretativo, che separa Mario del Monaco  da Francesco Merli (scelto quale pietra di paragone per il repertorio molto simile) basta sentire alcune frasi,  anche elementari sotto il profilo  vocale come l’iniziale “fratello” o “l’assistimi signore” dette senza il suono  raccolto, che presenta, all’incipit  della scena il bel tenebroso mulatto come un convinto  penitente. Dei segni di espressione (il dolce  ad ogni ripetizione di “l’amo ancor” o il dolcissimo  di “sulla terra l’ho adorata”) e di dinamica (forcelle) di cui Verdi dissemina la parte soprattutto il cantabile “le minacce, i fieri accenti” del Monaco non ne rispetta alcuno. La scrittura piuttosto centrale, ossia gradita al cantante, mette in evidenza  le tecnica del cosiddetto affondo, che, se da un lato, consente centro vigorosi, dall’altro esclude la possibilità di legare ed ammorbidire i suoni. Poi va anche riconosciuto che il tempo scelto da Mitropoulos agevola il cantante, che  la guida del direttore evita pacchiane cadute di gusto (sarebbero venute, per
onor del vero, in una fase successiva della carriera), che talune frasi  (come la reiterazione di “fratel pietà pietà”) mettono in risalto lo splendore vocale, ma che nel contempo l’interprete è piatto o al più declama come accade  nel “ve lo giura un sacerdote”. Se alla frase “sulla terra l’ho adorata” non esegue il  dolcissimo previsto (ove un Pertile o un Gigli montavano in cattedra e coetanei come Corelli e Bergonzi reggono il confronto col passato) il tentativo almeno di non declamare e di legare i suoni porta o a suoni di dubbia intonazione, complica la frase lunga, oppure costringe al palliativo di prendere un  fiato prima del  sib. Certo nelle frasi conclusive del Monaco esplode, complice lo slancio dell’orchestra di Mitropoulos, ma è davvero poco rispetto al passato, allora recentissimo, alle esigenze dello spartito e costituisce la prova della strada che il canto  maschile aveva irreversibilmente  reso.

Le cose vanno molto meglio con Franco Corelli. Napoli 1958 abbiamo pure la ripresa televisiva per vedere quello che nell’immaginario collettivo è la Forza del destino e come recitassero due cantanti ritenuti al tempo di “bella presenza”. E’ una lezione perché  Bastianini (vocalmente censurabile), ma anche Corelli, che era soprattutto una presenza (leggi attore impacciato e statico, compreso del proprio fisico) compiono quei limitati gesti, utili ed indispensabili al tempo stesso per far comprendere al pubblico l’azione e lo stato d’animo dei personaggi. Per tutti  don Carlos, che, quasi, si commuove e cede alle parole di pentimento di don Alvaro ed i movimenti limitati del tenore sin tanto che è padre Raffaele. Non dico che sia perfetto, ma funzionale al dramma ed alla musica sì.

Come non perfetta, ma assai più aderente al personaggio ed al gusto verdiano la realizzazione di Corelli, inficiata dal vezzo tipico del tenore di salire, e non solo agli acuti, strascicando il suono ovvero abusando di cosiddetti portamenti.  Come non ho segnalato tutte le cadute di gusto e grossolanità di espressione di del Monaco, mi limito, per Corelli, al portamento iniziale su “voi  vivente” (nota siamo nella zona del passaggio quella che Corelli aveva sistemato con fatica a carriera già iniziata, circostanza confermata dal marcato oscuramento di suoni come il fa o il sol acuti) o quelli distribuiti a larghe mani per eseguire le forcelle su “perdonatemi pietà”. Quanto ai cospicui segni di espressione Corelli li rispetta quasi sempre, magari a costo di portamenti o di suoni  non perfettamente nella maschera come il mi bem di “assistimi Signor” dove il tenore anconetano realizza con il tradizionale piano l’indicazione “da sé”. Oltretutto Corelli sostiene un tempo lentissimo nel cantabile “le minacce, i fieri accenti” con il dovuto slancio nella frase “non non fu disonorata” che prepara la fedele esecuzione del dolcissimo “sulla terra l’ho adorata”, che a sua volta consente l’esplosione del si bem di “s’ella m’ama”. Poi naturalmente, siccome il canto è gioco di equilibrio un tal dispiego di squillo e sonorità esclude che il cantante possa rispettare il dolce di “questo cor”, anche se ci prova. Ma pretendere l’integrale rispetto è aderire al sadico gusto di Verdi.

Per altro la voce di Corelli dinnanzi a quella di Bastianini galleggia sul fiato e proprio nella sezione conclusiva della sezione centrale del duetto si ha la chiara sensazione che le due voci stiamo in luoghi diversi. Tanto per essere chiari nella pancia quella
di Bastianini e nella maschera quella di Corelli, il quale – ci meraviglieremmo dell’opposto anche noi che non lo abbiamo sentito dal vivo- squilla nelle battute conclusive e chiude (dopo il calar del sipario) con un la  naturale tenuto a dismisura.

Gli sfidanti ovvero i fratelli che “reclamano l’onore”. Bastianini ebbe fama planetaria fra il 1955 ed il 1965, anno delle ultime  apparizioni, prima di una prematura scomparsa, vissuta  dai fans come irreparabile perdita per il canto. Protti carriera lunghissima ed onori nella fase finale, dopo che la prima per motivi estranei al canto ed attinenti alla politica gli aveva negato i maggiori teatri. In più non era dotato del phisyque du role del senese e l’interprete era ritenuto sì spontaneo ma, talvolta,  grossolano. A sgomberare il campo  dico subito che neppure Protti, in natura dotatissimo in alto, poteva emulare  il maestro e conterraneo Basiola per squillo, legato e accento autenticamente verdiano, ma dinnanzi a quello che sentiamo in questi anni da pensionandi baritoni quale Rigoletto o da debuttanti proposti in ruoli verdiani (Macbeth e Nabucco) insostenibili, Protti è irreprensibile ed i limiti passano in secondo piano.

Protti non brilla certo come interprete, ma è misurato e sostenuto da Mitropoulos è scandito nell’accento, nobile nella prima sezione della sfida, che richiama, proprio nel ritmo orchestrale, la sfida dei Puritani. Va osservato che i primi acuti come il  mi e soprattutto il mi ben suonino talvolta indietro e questo perché nei cantanti molto dotati si ritiene (a torto) che questa nota non sia un vero acuto. Più sopra ovvero fa e fa diesis Protti è squillante, sonoro e penetrante come accade, appunto col fa diesis di “ consacro al disonore”, un’autentica folgore, necessaria per contrastare un don Alvaro brado, ma di grande voce, dal quale, però, il baritono cremonese non è affatto sopraffatto.

I limiti che, invece, non passano in secondo piano ad onta della qualità del timbro sono quelli di Bastianini, uno dei più completi rappresentanti della cosiddetta scuola del muggito che, per tramite di Bechi, emulava il gusto per i suoni bitumati e cavernosi di Titta Ruffo. Oggi di tali cantanti non ne circolano più perché per essere veri ed autentici rappresentanti della scuola del muggito occorre grande disposizione naturale e, almeno, una respirazione professionale. Guardiamo le immobile epe dei baritoni  attuali e abbiamo la risposta al tramonto persino della vituperata scuola del muggito.

Ai fatti basta il recitativo “invano Alvaro”, che insiste nella zona di preparazione e di passaggio superiore per verificare come Bastianini anziché praticare quello che in gergo si chiama oscuramento del suono si limiti, sorretto da generosissima natura, a bitumare ed inscurire  artificiosamente il suono. Paradigmatico il do della frase “tutto verserò”, che porta la  voce al mi bem acuto e le cose vanno ancor peggio quando arriva,  nel sostenuto seguente, il  re di “Delitto” e sulla quartina puntata e le seguenti duine di “sul libro del destino”.  E lo stesso vizio-vezzo appare nella sezione centrale del duetto “una suora mi lasciasti” dove è evidentissimo che le “a” di trAditA vengano trasformate in “o” per simulare l’oscuramento del suono.  Se poi aggiungiamo che Verdi indica “con  forza” per la salita  e che la parte arriva al fa acuto possiamo immaginare quale siano nobiltà ed eleganza del cavaliere, che reclama l’onore. E quando, invece, le note sono al di sotto del do centrale, sempre nella sezione centrale del duetto, il furore è espresso con suoni aperti e dizione plebea.

Entriamo nella sfera dell’interpretazione del personaggio, piuttosto convenzionale nella sete di vendetta e che il canto aperto al centro ed in basso e bitumato e oscurato in alto, quindi la dizione poco chiara e sempre  artefatta, sparisce completamente nell’esecuzione di Bastianini. Che poi ci sia slancio e presenza scenica sono categorie di giudizio che applicate scientemente ci hanno portato all’attuale situazione. Ma questo non rileva nell’esame di due esecuzioni che devono essere sentite per comprendere l’esecuzione verdiana.

49 pensieri su ““Invano, Alvaro…Le minacce e i fieri accenti”. Sesta puntata: Franco Corelli e Mario del Monaco

  1. Sicuro di attirarmi ire, non ho mai capito perché Ettore Bastianini fosse ritenuto un grande cantante per non dire “il più grande baritono del dopoguerra” come riportato da non pochi giornali all’uscita di CD allegati con lui interprete: tecnicamente trovo la sua emissione sorda e poco proiettata, con una porgere la parola sempre indietro e bofonchiato: stessa sensazione che provo sentendo Bruson anche nei periodi migliori. boh boh boh

    • fondamentalmente credo a fronte di un timbro splendido per natura, poi per il resto…. concordo con Donzelli, tecnicamente molto meglio Protti. Con Bastianini, quel filone di tittaruffani nato nel primo decennio del secolo e cresciuto come un fiume carsiso, sfocia in superficie e si istutuzionalizza; con lui diventa il gusto imperante.
      Nei decenni precedenti di imitatori di Ruffo ce ne erano stati e molti, con vicende alterne, carriere più o meno lunghe, ma la scuola antica ancora si manteneva salda; con Tagliabue, Basiola e va beh! mettiamo pure Protti, si esaurisce.

      • rispondo un po’ a tutti e due gli interventi. Credo di non avere mai sentito nella mia esperienza di ascoltatore, iniziata nel 1969 un vero grande baritono. Preciso che ritengo Galeffi, Schlusnus ed Amato i modelli di grandi baritoni. Mondo a parte Battistini. Bruson sotto le vesti della nobiltà non sapeva da che parte voltare la voce, Cappuccilli urlava a squarcia gola. Zanasi l’unica volta che l’ho sentito non era certo in parte come Scarpia. Credo da ascolti non in teatro che i maggiori baritoni del dopo guerra siano stati Mac Neil e Protti, un po’ dietro Zanasi, Sereni, Taddei e, comunque, Bruson . A parte Bruscantini per la peculiarità del timbro e il repertorio . Preciso che Fischer Diskeau, come dice Selma Kurz, avrebbe dovuto fare l’attore.

        • dillo a me che la carriera di ascoltatore in teatro l’ho iniziata nel ’84……
          comunque concordo in pieno sulla valtazione di Protti e MacNeil. Mi ha invece lasciato sempre molto più freddo Taddei.

        • Tanti nomi… Io ebbi la FORTUNA di sentire Merrill dal vivo. So che non è ben visto qua ma era uno ‘vero’, per non parlare di Warren che non ha mai sentito ‘live’ ma questi due americani non possono essere messi nel dimenticatoio dei “non” baritoni. È Colzani nei suoi ruoli?

        • parlando di Del Monaco come Alvaro si citano confronti con Gigli,Pertile nei
          momenti dolci,ma nella Forza come in tanti ruoli di D.M. vi sono tanti momenti dove l’enfasi, la dizione scultorea,l’affondo sono essenziali ,però non mi è mai capitato di leggere in recensioni di Gigli o Pertile :qui D.M.era meglio;Celletti, non certo un estimatore di D.M. ,a proposito del suo Radames a Mexico City diceva :gli si dovrebbe fare un monumento in piazza . Grazie Otello

        • poiché è il secondo commento cretino che mandi, lo stato delle cose è questo: o scrivi di canto oppure non ti pubblico più. E’ inutile che tu venga qui e a noi basta il tuo nick di posta per capire quanto capisci tu di canto. ok?

    • Mi ricordi tanto una nonna non mia, stimata ed amata, che quando l’arteriosclerosi dava i suoi pericolosi assalti chiedeva con precisione da orologio di grande marca svizzera ogni tre minuti “che cosa facciamo oggi da mangiare”. Ricevuta la risposta da una incredula, addolorata ed anche stizzita figlia, la nostra nonna, serena, decorso sempre il medesimo lasso di tempo, riformulava la medesima domanda!!!!!!!
      Sei identico, ma lei stava sui novantuno o novantadue anni
      ciao

  2. Guarda, Donzelli, che io non criticavo affatto il tuo italiano. Era evidente. Mi sembrava semplicemente un po’ strana l’opinione che esprimevi. Strana, ma proprio strana. Con la tua risposta mi confermi che volevi dire proprio quello. Ma che bizzarria…
    Marco Ninci

    • così, se non hai niente di meglio da fare prova leggere l’incipit del tuo intervento e, poi, domandati se e quanto possa essere un fuor d’opera la mia interpretazione ( tenuto conto anche del tuo costante atteggiamento verso il mio italiano).

  3. mamma che giornataccia che ha donzelli…non gli piace proprio niente oggi. Sapessi cucinare le cailles en sarchophage come Babette proverei a tirarlo un po’ su dopo tutti questi baritoni “smorsa osel”

  4. Io continuo a non comprendere il fastidio nei cfr, della c.d. scuola del muggito da Ruffo in poi. Per carità sarà un limite mio: non ho mai fatto mistero delle mie simpatie per Bastianini, Bechi, Ruffo stesso e pure per Cappuccilli. Da un lato dico: avercene oggi. Dall’altro aggiungo che comunque la voce la sapevano tirare fuori. Così pare a me eh.. poi per carità… Certo che poi anche io ritengo Basiola uno dei vertici troppo spesso dimenticati del belcanto tutto e non solo della sua corda di appartenenza.

    Idem con patate circa la mia “tolleranza” per del Monaco (Tolleranza è ironico. Di nuovo: avercene oggi) e il mio amore incondizionato per Corelli in ragione del fatto che fu l’idolo della mia adolescenza 😀
    Lo so stasera sono molto di parte!!

      • Beato te che almeno hai sentito una voce!! Io a teatro di voci ne ho sentite pochine. Scalzacani, tanti. Ma tanti.. Anzi: pochi… perché quei pochi mi hanno fatto passare la voglia di buttare i miei soldi.

    • TOLLERANZA per del Monaco o Corelli!!?? Ma stiamo scherzando?
      Questo sito per me è un punto di riferimento per tante cose. Non faccio parte, comunque, dei cellettiani o di quelle persone che ‘criticano’ il passato senza aver ‘ascoltato’ quel passato dal vivo.
      Sentire parlare di tollerare GLI ULTIMI GRANDI che abbiamo avuto… Beh, mi rattrista.
      Avendo ascoltato l’inizio della fine quando il ‘tris’ di tenori si odiavano, i direttori d’orchestra iniziavano a ‘sinfonizzare’ accompagnamenti vocali, il ‘mercato’ dava in mani ai furbi manageriali le chiavi per ‘istruire’ il pubblico sui gusti da seguire in fatto di voci e vocalità, il ‘tris’ di tenori si erano innamorati l’uno dell’altro, ecc., ecc.
      E qualcuno vuole TOLLERARE del Monaco, Corelli et simili??

  5. era proprio il bello della voce d cappuccilli che gli consentiva espressivita’ infondendo un senso d modernita’ antiretorica in grado d compensare la sua mancanza d nobilta’ (nobilta’ in senso lato perche’ i suoi personaggi erano cmq ben caratterizzati e credibili)

    • Boh… Io per esempio, che mi emoziono con poco, ricordo sempre quel “Taci! Non dirle…” del Simone con Abbado in studio come una di quelle frasi che mi sono entrate sotto pelle. Così come un paio di attacchi di Di Stefano, certe filature gigione di Corelli… Tutti cantanti emendabili? Mah, sì… ammesso che abbia senso un discorso del genere. Però almeno eran voci. Quelle. Quelle.

    • Caro Enrico, fastidio no è troppo. Come sai “scuola del muggito” è un termine coniato da Celletti e che si usa tutt’oggi per definire un certo periodo diciamo post quem, certo non è lusinghiero, ma rende l’idea. Poi chiaro che “avercene oggi”, io oggi pagherei volentieri un biglietto per sentire Zancanaro, figurati Bastianini, Bechi, Ruffo o Cappuccilli… ma nonostante questo il fenomeno Bastianini a livello di gusto e di influenza sul gusto mi è sempre sembrato molto simile al fenomeno Ghiaurov, centri gonfi, proiezione poca… Grandi voci, Bellissime voci fatte per compiacersi e compiacere con un timbro che, pur già bellissimo, volevano ancor più caldo e vellutato. Avercene oggi? Certo! figurati che mercoledì vado a “vedere” l’Aida di Verona solo perchè sono curioso come una scimmia e voglio vedere l’arrosto di coccodrillo….., e non so neanche chi ci canta….

      • Hahahaha! L’arrosto di coccodrillo è buona!

        Zancanaro, dopotuto non era malaccio. Dignitoso, via!

        Però ti confesso, che sti centri gonfiati non li sento. O comunque, saranno pure tenuti larghi, ma bene.
        Io purtroppo dal vivo Bastianini nonl’ho potuto mai sentire, per ragioni anagrafiche. Mi baso sulle testimonianze e su quello che posso capire delle registrazioni. E dal suono che senti registrato, non direi che fosse un suono poco proiettato. Pure la mia maestra ne parlava bene… Per carità: ci ha cantato una sola volta eh…

        Penso che tra Ghiurov e Bastianini, però, vi sia un abisso. Soprattutto per quanto concerne il registro acuto!

        • percarità, il raffronto con Ghiarov era riferito al gusto e all’influenza sui cantanti successivi non alla tecnica vocale, non perfetta in un caso e censurabile nell’altro; neanche io ho mai sentito Bastianini dal vivo ma dai dischi un voce bassa di posizione (qualcuno direbbe in una posizione retrobuccale) e una pronuncia un po’ boffonchiata a me sembra di si. Poi era una voce d’oro e l’estensione era ampia e sicura (anche se come capita alle voci non perfettamente “fuori”, piuttosto sorda in basso). Senza scomodare Galeffi o Amato, un confronto con un timbro altrettanto scuro come Danise mi sembra interessante http://www.youtube.com/watch?v=zgyfBDQGkwY .
          L”avercene” rimane sempre! ma visto che sian qua a spaccar capelli… in attesa dei coccodrilli di domani. 😉

          • Sono d’accordo, anche se però il raffronto lo farei di più con un MacNeill piuttosto che con Danise. Tutt’al più Inghilleri.
            Ritieni Galeffis scuro?
            Io l’ho sempre ritenuto un baritono di pasta piuttosto chiara… O_o

  6. Ciao a tutti.
    E’ verissimo cio’ che ha scritto Aureliano.
    Celletti conio’ quel termine per definire il
    suono emesso da alcuni imitatori, imitatori
    generalmente pero’ incapaci di riprodurre
    il canto degli artisti presi a modello.
    Ora, visto che si parla di baritoni, di baritoni
    straordinariamente dotati, di baritoni che non
    devono, mi sia permesso, la loro fama e la
    loro carriera ad emissione esemplare, e neppure
    ad un canto vario o particolarmente attento
    alla diversificazione dei differenti personaggi ,
    od ancora ad una particolare fluidita’, mi
    sembra che il modello resti il grande Titta Ruffo.
    Ma, secondo me i vari Cappuccilli, Bechi,
    Bastianini e via dicendo, con Titta Ruffo,
    hanno poco a che spartire, se non in parte
    il gusto per le tinte forti .
    Titta Ruffo, quello vero, quello del quindicennio
    d’inizio novecento, mica emetteva suoni sordi,
    era in grado di cantare anche piano, aveva la
    piu’ straordinaria voce mai incisa dall’avvento
    del disco, quando saliva era un torrente di
    vibrazioni, i centri erano per natura di una bellezza
    ed di un’ampiezza mai piu’ ascoltate, era un fenomeno.
    Quello che mi turba un poco e’ leggere “Ruffo stesso”,
    come se fosse accomunato alla pletora di quelli
    che lo hanno maldestramente copiato.
    No, no. Quel Titta Ruffo la’, non quello degli anni
    venti e trenta, era anche un grande cantante, gli
    altri, gli imitatori, avevano molti piu’ limiti, ma molti molti.
    Poi, come sempre piu’ spesso bisogna ammettere
    ai nostri giorni, certamente e’ lecito augurarsi di poter
    di nuovo ascoltare quando ci si reca a teatro un
    nuovo Cappuccilli, anche se questa non e’ proprio
    la speranza maggiore della mia vita, ovvio,
    con i tipi che si sentono in giro, ad ascoltare
    un Protti…ci sarebbe da fare dei saltoni di gioia.
    Ma Titta Ruffo e’ altra cosa, e come sempre gli
    imitatori, del modello hanno copiato e pure male
    solo i difetti. Non vorrei passare per l’avvocato
    difensore di un baritono tra i piu’ straordinari
    della storia del canto, si ben chiaro, che proprio
    Titta non ne ha nessun bisogno, ci mancherebbe.
    Aggiungerei che stiamo parlando degli anni fine
    quaranta e anni cinquanta in questa rubrica, no?
    Si parla di del Monaco, Corelli, Protti, Bastianini.
    E allora se parliamo di quegli anni i Lisitsian, i
    Borthayre e i Bruscantini come grandi cantanti
    bisogna ricordarli per forza, cantavano bene.
    Ognuno di quei tre nel suo repertorio, e nel periodo
    migliore e’ stato un gran bravo cantante.
    Ovviamente e giustamente a ciascheduno di noi
    piace chi piace. Che nostalgia, me ne piacevan tanti di
    quegli anni , la dizione di Otts, il colore di Massard,
    l’eleganza di Souzay, l’uguaglianza di Metternich,
    l’insana passione per Dens…..

    • Esatto, quando si imita un grande cantate si imitano quasi sempre i difetti, molto più accessibili dei pregi. Ruffo fu un fenomeno vocale, l’imitazione di Ruffo portò carriere cortissime in cantanti dotatissimi come Bellantoni, a iper immascheramenti artificiosi della voce come Bechi (quello che Bechi chiamava infrogiare il suono), Granforte, a timbri gonfiati in chi aveva voci naturalmente più chiare come Umberto Urbano; ognuno declinò il modello a suo modo.
      Ottimi cantanti legati più alla scuola antica che al gusto pieno ‘900 di Ruffo ce ne furono; molti nei primi 50 anni del secolo scorso, pochi nei successivi 50, nessuno ai giorni nostri.

    • Ogni grande – di voce o di fama – rovina sempre la generazione seguente!
      Penso che la generazione mia sia molto fortunata a non aver più modelli in quanto a parte gli ultimi strascichi dei vecchi che ormai sono notariamente vecchi (Domingo, Devia, Gruberova) non esiste più una generazione seria di cantanti ma solo dei cantanti che durano una decina di anni e via.
      Ci sono ancora degli esempi di professionismo come la Anderson, la Serra, Blake che insegnano anche, quindi auguro alla mia generazione e a quelle prima magari di prendere ispirazione proprio da loro, da due precedenti!

      • Caro Orpheus,
        trovo sia molto intelligente da parte tua avvertire un limite oggettivo ( non ci sono più modelli) come un opportunità di crescita; la vostra è la prima generazione di giovani cantanti a-storica, la rete rimescola le carte e porta ad essere attuali i fantasmi che scrivono su questo blog e inattuali chi oggi calca i palcoscenici, vecchi e obsoleti ancorchè giovanissimi, nel momento stesso in cui si ergono ad innovatori del gusto e paladini di un fare moderno. “Tradition ist nicht die Anbetung der Asche, sondern die Weitergabe des Feuers”….. G. Mahler 😉

        • beh diciamo pure scherzosamente,con l’avvento di internet,è di you tube,il cantante è come un calciatore di serie A attuale,nell’epoca della tv a pagamento,ci sono dieci telecamere,che lo fissano in continuazione,cosi come tante recite,ancora calde di palcoscenico,sono già sui monitor dei computer,per essere giudicate e passate alla “moviola”,penso che nei decenni passati,i cantanti sentivano meno questo fiato sul collo,a parte le contestazioni nei teatri,quando cantavano male,oppure per la rivalità dei fans.

          • Aggiungi Pasquale che guadagnano molti ma molti meno soldi d una volta…ma con la crisi che c’é vedrai che molti giovani, soprattutto in Italia, troveranno nuove motivazioni a cimentrasi con l’arte canora e chissà che rinasca un Caruso

  7. Ma siete proprio sicuri che Amato tecnicamente fosse poi così a posto? Io mica tanto; e poi perché rilevare sdegnosamente la trasformazione delle A in O da parte di Bastianini e però tacere il noto a chiunque possa definirsi cultore di voci storiche: «O lavar l’oltraggio» di Amato? (e se non sbaglio qui fa lo stesso anche il grande De Luca).
    Ciao

    • é vero quello che scrivi, Amato soprattutto negli ultimi anni (di una carriera non lunghissima) tendava un po’ a tubare anche lui nell’imitazione di alcune sonorità Carusiane; ma tecnicamente rispetto a un Bastianini è tutto grasso che cola.

    • ascolta tanto per schiarirti le idee quello che è in grado di fare Amato nei duetti di trovatore con la Gadsky, di traviata con la Hempel e confronta in registrazioni strafamose ed accessibili a chiunque quello che fa Bastianini

  8. Amato sta a Bastianini come una Porsche ad un mezzo militare: potente, indistruttibile, ma privo di rifiniture. Con questo non voglio dire che Bastianini fosse un cane, figuriamoci, finche la salute ha retto rusciva in qualche maniera a cadere in piedi, a superare per il rotto della cuffia spigolosità e disomogeneità riscontrabili nella sua voce (si pensi al Barnaba ufficiale). Era una corrazzata e la sua solidità probabilmente comunicava molto tanto che il suo mito, ancora a fine anni settanta, era molto vivo nei loggioni. Non é un baritono che amo particolarmente (ovvio) però lo ritengo un gradino sopra a Gino Bechi.-

  9. E’ dura a morire la pretestuosa, quanto spesso oziosa ed inconsulta stroncatura da parte di taluni, della voce di Ettore Bastianini quanto è altrettanto duratura la sconfinata stima ed il fastoso ricordo di questo artista da parte di molti contemporanei. Una ragione pur ci sarà. E, molto probabilmente, va meditata ed approfondita.

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