L’universo ha avuto il Big Bang; la musica il pedale di Mi bemolle lanciato per 4 minuti nel “Vorspiel” del “Das Rheingold”. Ovvero la Creazione, di una Saga, o meglio, una Sagra Scenica, o ancora di un universo circolare che accoglie in sé la cultura mitologica europea, con l’ambizione di raccontare attraverso la musica, il canto, la parola, la scena, l’arte TOTALE, la storia dal punto di vista di dei troppo umani e di uomini inconsapevolmente divini, senza dimenticare la bramosia delle creature sotterranee e di quelle ondine senz’anima, perché motore stesso della Natura, che tanto affetto avevano suscitato in Wagner.
Il preludio del “Rheingold”, ascoltato da Wagner in stato di sonnambulismo a La Spezia nel 1853, principia con quella nota silenziosa emessa piano dai contrabbassi che cresce leggermente solo all’ingresso dei fagotti e dei corni e rappresenta la raffigurazione musicale di un ideale naturale di purezza, la descrizione di un mondo incorrotto e perfetto: è il Tema della Natura, che si muove, si agita, si ricrea arpeggiando.
L’ingresso degli archi darà alla struttura del preludio finalmente il suo andamento completo: l’armonia della creazione è avvenuta, le acque del Reno ondeggiano finalmente davanti a noi; appaiono le ondine e con esse fa il suo ingresso la voce: quella di Woglinde. A Bayreuth questo fu il primissimo suono che inaugurò l’acustica del teatro. Woglinde era Lilli Lehmann.
E’ un canto semplice, cullante, che gioca con l’allitterazione delle vocali e delle consonanti al fine di evocare quel mondo liquido, è un canto considerato pentatonico o addirittura come una ninna-nanna primitiva, eppure dipinge perfettamente il nuotare scherzoso dell’ondina negli abissi del Reno.
L’ingresso di Wellgunde che si unisce ai giochi della sorella, sortisce l’effetto di accentuare la melodia, solo increspata dall’ingresso di Flosshilde, che attraverso le note gravi degli oboi rimprovera le sorelle.
Sarà Alberich, il notturno nano degli abissi della terra, a interrompere la melodia introducendo tonalità minore con gli archi ed i fagotti che disegnano il suo Tema.
Le tre scene di sadica seduzione sono sviluppate in crescendo, nel quale il tema iniziale viene variato e arricchito da una serie di sensualissime intuizioni, fino al duettino Flosshilde-Alberich in cui, c’è chi è pronto a giurarlo, Wagner parodizza il duettone de “Gli Ugonotti”.
Le voci delle tre ondine si uniscono sulle modulazioni del canto di Woglinde introducendo la pantomima dell’inseguimento tra il nano e le fanciulle, che riassumerà i temi esposti nella scena precedente, ma levigandoli e facendoli brillare con pungente ironia.
Il rabbioso gesto di Alberich interrompe la zuffa: anche la musica si blocca. Gli archi, in piano, iniziano a vibrare soffusi e intensi; il corno e poi la tromba evocano il Tema dell’Oro; le ondine, piene di stupore, assecondano vocalmente l’armonia che esplode abbacinante sul Tema della Gioia nell’Oro. L’orchestra scivola sui temi come su un balletto; Alberich approfitta e indaga, chiede, brama la conoscenza.
Wellgunde, accompagnata da oboe e fagotti, quest’ultimo strumento si riallaccia argutamente all’ingresso di Alberich, canta e rivela troppo sulla potenza dell’oro e su quella ancora più smodata dell’anello che si può produrre da esso, nonostante le proteste di Flosshilde. Wagner qui accenna soltanto al Tema dell’Anello, non è quello che per lui ora è importante; ciò che interessa si trova nel canto di Woglinde: l’ingenua ondina attraverso i Temi della Rinuncia alla potenza dell’amore e del Piacere dell’amore, tutti sostenuti dagli ottoni, disvela il grande segreto che si cela dietro l’utilizzo dell’anello e apre a quel destabilizzante peccato originale, motivo conduttore dell’intero ciclo.
Alberich ha preso la sua decisione, non presta più attenzione al canto canzonatorio delle tre ondine, che diviene viepiù isterico mentre il nano si arrampica sullo scoglio per compiere la catastrofe.
Il furto dell’oro avviene sulle note nerissime, disperate, della Rinuncia, dell’oro e dell’anello, ma terribilmente deformati e ritmati dai temi della natura messi però sullo sfondo dai violini che continuano a turbinare, mentre il nano dopo la violenza perpetrata fugge nel crepaccio inseguito dalle tre ondine ormai impotenti e sconfitte.
Per illustrare questa prima scena abbiamo pensato di entrare direttamente nel mito di tre incisioni storiche: Solti con i Wiener Philarmoniker, Karajan con i Berliner, Boulez con i complessi di Bayreuth.
Il “Golden Ring” di Solti è perfezione: il Maestro si pone a metà strada tra la magniloquenza epica, maestosa e divina di Furtwaengler, Knappertsbusch coniugandola con le conquiste espressive di Walter, Moralt, Krauss, Szell, ma senza perdere mai di vista la propria visione: la componente comica è pur sempre mitigata dall’aura di minaccia che permea la direzione di Solti, così la narrazione resta come sospesa nella suspance. La bellezza davvero dorata dei timbri, la ricchezza dell’impatto sonoro, nulla tolgono alla sottile dinamica dei temi che risultano tutti espressivamente evidenziati. Basta citare il tema della rinuncia che è un capolavoro strisciante, oppure al momento in cui appare l’oro la cui radiosità musicale deflagra.
Gustav Neidlinger, nonostante il timbro ingrato, è un Alberich mastodontico per facilità di dizione, incarnando un essere in cui la razionalità fa il paio con la deformità psicologica. Scatenate, maliziose e ben cantate le tre ondine di Oda Balsborg, Hetty Plumacher e Ira Malaniuk.
Karajan e la rivoluzione. Ci fu davvero? Colora e profuma tutto con mille sfumature inedite? Basterebbe ascoltare Krauss o Moralt per comprendere che l’operazione nasce da più lontano e che il Maestrissimo fece proprie tali lezioni inserendosi nel filone del Wagner da alleggerire.
La prima parte ha effettivamente l’andamento di una piccola commedia da camera, baruffa compresa; la vera novità la troviamo all’apparizione dell’oro diretto partendo da un pianissimo memore dell’eterno pedale in MiB che va crescedo con il piglio di un ouverture mozartiana, ma sempre più sensuale, complice anche il canto brillante della Donath. La maledizione certamente è un momento meno terribile che in Solti. Più umano, più disperato, più bieco l’Alberich di Zoltan Kélémen, Spigliata e delicata la Woglinde di Helen Donath; troppo seriose e distaccate la Wellgunde e la Flosshilde di Edda Moser, e Anna Reynolds.
La rivoluzione di Boulez, che ammirava moltissimo il Ring diretto da Karajan, parte da basi più scientifiche: un punto di vista filologico da studioso e compositore. Via gli orpelli, via la magniloquenza: si alla fedeltà ed al rispetto per la pagina scritta, anche a costo di rendere più prosciugato il suono dell’orchestra, ma sempre teatralissimo. Allora il preludio suona quasi come un brano novecentesco nella sua cruda intensità riempiendosi degli echi di tutti gli strumenti; l’avvio del canto di Woglinde esplode puro e luminoso come dovrebbe essere.
L’approccio di Boulez stupisce per la differenziazione con la quale affronta i quattro personaggi: Woglinde è davvero piccante; Wellgunde è davvero seducente; Flosshilde alterna benissimo il lato arcigno con quello sarcastico; Alberich è vittima, carnefice, un monumento di egoistico desiderio sessuale e avidità.
Le tre scene di seduzione sono così perfettamente bilanciate e differenziate; la baruffa è un brano da opera comica; lo splendore dell’oro possiede lo stesso stupore iniziale; la maledizione esplode come una tragedia inevitabile.
Hermann Becht, Alberich, nonostante una voce secca e dura, asseconda benissimo i desideri del direttore; travolgenti e carismatiche le tre ondine interpretate da Norma Sharp, Ilse Gramatzky e Marga Schiml.
Dopo l’orrendo e inutile “Crepuscolo degli dei” scaligero trasmesso da Rai5 ieri sera, avevo bisogno del Wagner che mi ha fatto appassionare.
Marianne Brandt
Impressioni sulla “Gotterdammerung” vista su Rai5: Barenboim triplica i tempi per le Norne ed il duetto, azzecca il viaggio sul Reno ed é moscio e inerte. Inutile l allestimento, in cui a parte gli inutili ballerini e le inutili proiezioni, nulla avviene. Ridicoli i costumi (i bustini da scoliosi, il guanto glitterato), superflue le scene (il palazzo di Gunther con i cadaveri alle pareti, mmm che odorino…). Pessimo Lance Ryan che fa più schifo di Wolfgang Schmidt e Christian Franz, pessimo Petrenko che parla e rutta per sembrare la caricatura di un basso, pessima la Samuil che sembra vocalmente la Machaidze, pessima la Norna secca e stonata della Meier. Buona la prima Norna, discreto Grochowski, furba la liftatissima Theorin che accenna e rallenta, cigola ovunque, cala, se la gioca con due note buone e i piani, ma fraseggio sotto zero. Che noia bestia!
CHISSA, CARO MOZART SE DIRAI LO STESSO ALLA FINE DEL RING DELLA GRISI!!!!! CI AUGURIAMO DI NO, OVVIAMENTE!