“Der Grisi Ring”, decima puntata: “Siegfried”, duetto Siegfried-Brunnhilde

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Siegfried-Traptow-Grob Prandl-Moralt

Siegfried-Windgassen-Varnay-Krauss-53

Siegfried-Windgassen-Nilsson-Boehm.65

Siegfried-Kramer-Behrens-Schneider-86

Siegfried, l’eroe, ha spezzato la lancia dei patti di Wotan, ha attraversato senza timore il fuoco, ha risvegliato  con un bacio, provando per la prima volta il sentimento della paura, la bella addormentata e lei le ha accordato il suo imperituro amore.
Un lieto fine da fiaba classica, con il principe che salva la principessa e vissero per sempre felici e contenti… o meglio, fino al crepuscolo degli dei.
I legni, i corni e le arpe accompagnano il radioso risveglio di Brunnhilde, scendendo dal fortissimo al pianissimo, come un’onda, mentre il suono si perde come un eco trillante sullo sfondo. Il tema del Risveglio viene evocato tre volte, in maniera diversa, ma sempre luminoso, solenne, mentre il volume orchestrale monta sul riverbero degli archi e sul tema di Freia, in una veste però più densa nel volume.
Brunnhilde, ora donna, saluta il Sole e la sua luce, ed il Tema dell’Enigma del destino, traduce il timore di fronte al suo nuovo stato, ed il dubbio sull’identità dell’uomo che l’ha svegliata e a cui è destinata, il Tema di Siegfried e la voce del fanciullo risolvono l’enigma: ella sorride, dischiude il suo ringraziamento agli dei che le hanno permesso tale miracolo nella pena e sui temi del Risveglio, dell’Incanto d’amore, dell’Estasi d’amore, dei Walsidi e di Siegfried e Brunnhilde eredi del mondo, le due voci si sollevano all’unisono nello scoprirsi innamorate.
Sugli stessi temi Brunnhilde narrerà a Siegfried il suo passato e ciò che li lega, spiegandogli sui Temi dell’annuncio di morte e della giustificazione, la sua condanna e l’amore che ha sentito nascere fin dal primo momento in cui lo ha percepito nel grembo di Sieglinde.
Siegfried è turbato, l’orchestra (i legni, i corni, l’oboe) ne descrive lo spaesamento verso ciò che prova e la sua ingenua ignoranza davanti alle parole della donna, che pur nella loro chiarezza, risultano come incomprensibili, poiché poco importanti, lontane, davanti ai suoi sentimenti.
La scena si capovolge: mentre Siegfried esamina la propria paura di fronte a ciò che una donna gli ha suscitato, Brunnhilde osserva le vestigia della sua divinità: l’armatura spezzata, il destriero fatato Grane che lentamente si sta risvegliando, le ricordano il suo ruolo primordiale; il suo canto si fa più aspro, freddo, distante dalla passione montante di Siegfried, ascoltiamo il Tema dello Sdegno, mentre l’eroe si avvicina alla donna, sentiamo quello del Walhalla quando rabbiosamente Brunnhilde difende la propria purezza: nemmeno gli dei le si sono mai avvicinati!
Eppure nella musica che accompagna il pianto di Brunnhilde, ascoltiamo il Tema della passione amorosa, opporsi ai Temi della Maledizione, della Disperazione di Wotan, addirittura del Dominio: Wagner analizza musicalmente il conflitto tra la Valkiria che non accetta di diventare donna, e la donna che non vuole essere più Valkiria; in mezzo Siegfried, il suo possesso.
Per giustificarsi Brunnhilde descrive la sua angoscia nel celebre “Ewig war ich, Eterna ero”, brano in cui confluisce lo splendido “Siegfried Idyll”, regalo di compleanno che dedicò alla sua Cosima dopo il matrimonio e la nascita del primogenito (Siegfried, appunto), brano in cui si ascoltano i Temi di Siegfried tesoro del mondo, del Sonno, del turbamento d’amore. E’ una nenia tenerissima, ma anche una dichiarazione d’amore e di affetti che si schiude soffusa, delicata a cui Siegfried risponde con la sua spontanea passione che fa finalmente sciogliere il canto di Brunnhilde sullo stesso tema.
Interessante notare come nel canto della donna, al tema del Dominio, ora si alterna quello del Drago sulle parole “Wie mein wlick dich verzehrt, erblindest du nicht? Wie mein Arm dich preßt, entbrennst du mir nicht? Da come ti strugge il mio sguardo, non resti abbagliato? Da come ti stringe il mio braccio, non ti infiammi con me?” accentuando l’idea oltre che del possesso rapace e accentrante (quello che provava Fafner per l’anello ed il tesoro nibelungico) da parte di Brunnhilde, anche quello di un desiderio selvaggio, reso più vivido dal ricorso ad una citazione tramite i corni della Cavalcata e del canto di guerra. Di nuovo il canto di Siegfried e Brunnhilde ritorna ad essere una cosa sola: le voci si rincorrono e variano le melodie dell’altro, tutti i temi legati all’amore e dell’eredità del mondo suonate dagli ottoni e dagli archi in un crescendo spasmodico e incantevole che sulle parole “Splendente amore, ridente morte” ed una invocazione alla fine, prossima degli dei, ormai inutili, la scena raggiunge il proprio climax e sul Do acuto del soprano, Brunnhilde si getta finalmente nelle braccia di Siegfried.

La voce di Brunnhilde deve gravitare tra il Si sotto il rigo ed il Do acuto, in una tessitura che privilegia e sollecita i centri e gli acuti e nonostante canti “solo” un duetto di circa trenta minuti, il soprano deve saper trillare, alternare canto legato e ricco di forcelle per modulare il suono, a canto declamatorio, alternando piani, forti e momenti cantabili di grande suggestione.
Demoniaca, folle, ma non impossibile la scrittura di Siegfried la cui estensione si attesta tra il Do ed il La naturale, toccato più volte assieme al Sol, e la cui tessitura sollecita i centri, il passaggio ed i primi acuti, con un canto, anche in questo caso che alterna frase declamatorie a frasi legate e soavi: richieste pesantissime soprattutto dopo quello che il tenore ha affrontato prima e davanti ad un’orchestra scatenata, ma movimentata da infinite e raffinatissime richieste espressive del compositore.
Wagner rimase molto deluso dai Siegfried che egli cercò di plasmare (Unger e Jaeger) e dovette, infine, capitolare di fronte alla perizia tecnica di Albert Niemann e Heinrich Vogl.

Appena la Flagstad apre bocca si resta sgomenti da una voce e da un timbro levigati, compatti, come un  bassorilievo greco: ed è sgomenta e luminosa anche la sua Brunnhilde. L’interprete ha voce da dea, ma interpretazione trattenuta, dubbiosa,tenerissima, privilegiando il lato femminile e delicato, che sa però diventare volitivo e imperioso quando Wagner lo richiede. I Do non li ha mai avuti sicuri, ma omette solo quello finale: Wagner, in partitura lo permette con una alternativa. Al suo fianco un Melchior fanciullo imbronciato che gioca di rimessa, ma che canta tutto con spontaneità, impeto e gusto.
Bodanzky risolve il duetto con velocità, avendo anche un’orchestra volenterosa e nulla più.

Glorioso Moralt con la sua orchestra viennese: un Wagner davvero rigoglioso, dal suono pieno, ampio, avvolgente, dalle atmosfere che evocano il mito, ma riescono a sfumarsi con esattezza musicale.
Un Wagner che riesce a bilanciare il lirismo con l’epicità, il sinfonismo sensuale con il trascinante, incandescente finale.
La Grob-Prandl è una Brunnhilde che non cede al suo status di dea nemmeno per un momento, grazie ad una voce solida, omogenea, ampia e benissimo appoggiata, acuti che schioccano perentori come saette; meno sfaccettata della Flagstad, però, eppure nel suo timbro chiaro e intenso si percepiscono inflessioni materne e malinconiche.
Piuttosto duro, gutturale, marziale Treptow con Sol e La fissi, può comunque contare sulla solidità dell’emissione.

Serata in cui lo stato di grazia in quell’estate del ’53 quando Clemens Krauss diresse un Ring destinato al Mito ed i cantanti fecero di tutto per assecondarlo.
La Varnay canta al calor bianco questa Brunnhilde e probabilmente mai più replicherà il miracolo: la voce che ascoltiamo è drammatica, infuocata, ferma nonostante qualche nota presa a scivolo, qualche fissità e qualche emissione da sotto; ma il legato è buono, i piani sono timbrati. Il suo risveglio è radioso, il fraseggio pieno d’affetto, nervoso e disperato quando si scopre donna e si rivolge a Siegfried, travolgente nel finale nel quale il Do schiocca come una folgore (meno bello rispetto alla Grob-Prandl, però).
Windgassen replica il suo Siegfried fresco, ingenuo e appassionato con voce salda, intonata, bellissima.
Il gesto e l’orchestra di Krauss, sono Perfezione.

Sempre trattato con un filo di sufficienza Karl Boehm dalla critica.
Si, gli si riconoscono la precisione e la grande professionalità, ma non si va mai oltre al “buon direttore”.
Peccato questa sordità. Prendiamo questo “Siegfried” Bayreuth ’65: il risveglio di Brunnhilde inizia con morbidezza pari ad un Solti, ad un Krauss, gli archi sembrano arpe tanto sono cristallini, l’orchestra si illumina in un crescendo terso che si riempie di colori ed inflessioni che vanno oltre la mera analisi.
Il sostegno delle voci è ovunque sovrano, come la musicalità ed il dosaggio dei volumi per creare l’atmosfera giusta per la Nilsson e Wildgassen.
La prima ha voce luminosa, opulenta, dal timbro metallico, ma screziato da un fraseggio che predilige le delicatezze dei cantabili. Quando ritrova Grane e l’armatura il fraseggio ricorda dappresso quello della Flagstad, mentre “Ewig war ich” si riempie di commozione, il finale la trova vulcanica quasi come la Varnay ed il suo Do è una esplosione cosmica.
Ottimo Windgassen, ancora più sicuro che nel ’53.

Prosaica e grigia la direzione di Peter Schneider nell ’86, ma almeno poteva contare su una Hildegard Behrens ancora in gran forma.
Parte male il suo risveglio con suoni secchi e traballanti; ma superato il momento la voce, chiara, duttile, femminile, prende corpo e  trasforma la dea in una creatura umanissima, più Sieglinde che guerriera.
E di Sieglinde coglie l’ardente natura del fraseggio, le sfumature giovanili del proprio timbro.
Non possiede l’ampiezza delle sue colleghe o la loro granitica sicurezza, eppure questa voce particolare, fragile, più a suo agio nei registri centro-acuto, stupisce per la profonda sensibilità dell’uso della parola.
Toni Kramer è un Siegfried solo lievemente migliore rispetto al Manfred Jung che sostituiva, ma che timbro secco, che intonazione precaria, che emissione pedestre.

Marianne Brandt

 

 

3 pensieri su ““Der Grisi Ring”, decima puntata: “Siegfried”, duetto Siegfried-Brunnhilde

  1. Scrivi cosi’ bene Marianne cara…
    E’ un piacere leggerti.
    A parte questo, e’ la prima volta da quando frequento
    questo sito, che sento parlare, ed in termini lusinghieri
    di una protagonista del dopoguerra quale la Varnay,
    cantante dai percepibili limiti a livello tecnico,
    come giustamente hai fatto notare, ma “presenza”
    vocale, scenica ed interpretativa, almeno in quegli
    anni, tale da farsi perdonare una non perfetta
    padronanza del magnifico mezzo.
    Forse quacosa su di lei e’ stato scritto o forse mi
    e’ sfuggito, in entrambi i casi mi scuso.
    Felicissimo comunque che questa mia imperfetta
    passione giovanile sia stata ricordata e non solo
    come “L’emerita urlatrice” di Cellettiana memoria.
    Ciao cara.

    • Grazie Miguel, mi fa solo piacere!
      Ho sempre avuto un debole per la Varnay con qualche distinguo: è una cantante dotata in natura di una voce doviziosa, ma in possesso di una tecnica carente, tutta istinto e poco altro.
      In Wagner, a mio parere, è stata magnifica Senta, Ortrud, Brunnhilde e Sieglinde soprattutto, ma valgono l’ascolto anche Venus, Elsa, Elisabeth un po’ meno Isolde e Kundry, ma anche in Strauss, Elektra gigantesca. Spaesatissima in Verdi però, anche se la sua Maria/Amelia ha qualche guizzo, mentre il resto del repertorio è francamente evitabile se non grottesco.
      Fino al ’58 ha dato abbastanza, e con svariati problemi (emissione, intonazione, timbro sempre più aspro e incontrollabile), dopo non la considero proprio ad eccezione della sua Elektra del ’64 con Karajan e, solo per il video perchè vocalmente siamo alla devastazione, la sua interpretazione scenica di Kostelnicka.

      • Si, in quella di Karajan e’ proprio devastata,
        io pero’ il video non lo conosco.
        Ho solo la registrazione audio, dove per altro
        c’e’ anche “quell’altra”, ahahahahahah!
        Che coppia, se vogliamo parlare di teatro
        e non di metodo!
        Ma quella del 49 diretta da Mitropoulos!!!!
        Fenomenale.
        Sono un pochino meno generoso di te
        riguardo alle annate, ed aggiungerei a quello
        che hai detto che di lei ti piace, il suo Orff.
        La vidi purtroppo la prima volta nel 65…finita.
        Trovo la sua miglior Bruehnhild invece quella
        da Bayreuth 51. Buona serata.

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