Con Cavalleria rusticana si chiude l’interlocutoria stagione 2012/2013 della Verdi: stagione non certo indimenticabile che, accanto a pochi buoni concerti, ha mostrato per lo più, stanchezza e approssimazione. Non ha fatto eccezione l’opera di Mascagni presentata in forma di concerto. Prima di dar conto brevemente dei risultati artistici della rappresentazione, voglio premettere alcune considerazioni sulla parte introduttiva della serata. Infatti, per onorare il 150° anniversario della nascita di Mascagni (ricorrenza ignorata da molte altre istituzioni musicali – che invece di proporre il solito Barbiere o l’invasiva infornata verdiana, avrebbero ben potuto rivolgersi a quel repertorio, importantissimo, ma ormai di rarissimo ascolto: dal Ratcliff a Parisina), erano presenti in sala due discendenti del Maestro. Proprio per questo la serata è stata introdotta da un prologo inconsueto: la proiezione di cinque brevi filmati dedicati a Mascagni. A parte che, forse, sarebbe stato onesto renderlo noto in locandina, ma, mi sono chiesto – dopo quell’interminabile mezz’ora di convenevoli – che utilità potesse mai avere, che celebrazione fosse. Credo, infatti, che operazioni del genere possano essere giustificate solo in presenza di filmati particolarmente interessanti, ben fatti o inediti, oppure in altra circostanza (conferenze stampa, presentazioni): un concerto DEVE essere dedicato alla musica, solo a quella (e possibilmente quella programmata, senza sgradevoli preludi con l’inno nazionale o scambi di cortesie). I filmati, poi, erano davvero di basso livello (altro che ricerca su materiale d’archivio, come incredibilmente si legge in giro): una serie di frasi del Maestro con la sua immagine di fianco (sembravano le finte citazioni di Rocco Siffredi che compaiono su Facebook), uno spezzone di un vecchio film sulla vita di Mascagni, tre intermezzi – Ratcliff, Amico Fritz, Parisina – montati su immagini assemblate con tecnica amatoriale (versioni caleidoscopiche di quadri e palazzi o fiori sfumati e sgranati come visti attraverso la lente di un allucinogeno). Dopo gli applausi (?) per questo inconsueto prologo, e dopo un breve intervallo (seguito dalla stessa voce del Maestro incisa in occasione della storica registrazione del ’40), l’opera è cominciata. Ed è cominciata male: una falsa partenza dei violini, prontamente corretta, ha portato ad una Siciliana talmente sgradevole e stonata da temere (o augurarsi) che il tenore neppure avrebbe potuto reggere sino all’uscita dalle quinte. Il coro comincia abbastanza bene, ma sbanda pericolosamente nell’inno pasquale. L’orchestra suona bene, ma è piuttosto pesante e qualche imprecisione ne macchia l’esecuzione. Certo la Zhang sembra assai poco coinvolta (accade spesso ultimamente) e aldilà di una generale correttezza (e qualche faciloneria di troppo) non va: ne fanno le spese i momenti di maggior trasporto emotivo, come l’inno pasquale, appunto e, soprattutto il celebre intermezzo, “tirato via” con una certa fretta e scarsa convinzione (l’organo era inudibile e il suono degli archi era stranamente arido e troppo frenato). Il cast doveva scontare la presenza di un tenore totalmente inadatto al ruolo di Turiddu: Paolo Bartolucci non solo è privo del necessario vigore (una mollezza esangue che nulla ha a che fare con la liricizzazione di un Gigli), ma denota anche serie difficoltà nel mantenere intonazione e linea costante. Le cose vanno meglio con la Santuzza di Chiara Angella che mostra un buon controllo nelle espansioni in acuto e una voce voluminosa e salda, e la Lola di Elena Lo Forte. Adeguata la Lucia di Erika Fonzar. Buon successo anche per il corretto Alfio di Alberto Gazale che, in effetti, si ritrova nel proprio repertorio d’elezione (buona soprattutto la resa scenica del personaggio). Serata interlocutoria, dunque, che non ripete i fasti dell’Andrea Chenier dell’anno passato, soprattutto per la bacchetta che mostra un notevole calo di interesse, e per la scelta totalmente sbagliata del tenore. Speriamo che la prossima stagione torni all’eccellenza di un tempo.
12 pensieri su ““Cavalleria rusticana” – La Verdi”
Lascia un commento
Devi essere connesso per pubblicare un commento.
Poche note della cavalleria con il Gazale e rimpiangere le belle esecuzioni della profonda provincia di un tempo è la stessa cosa.
Non voglio fare paragoni, ma anche due parole sparate senza un poco
di colore (che vuol dire anche capire ciò che si canta) e l’opera è defunta, svanita, kaputt si direbbe. Ciò che mi sconvolge è il come i nuovi cantanti non si rendano conto che esprimere note con i giusti colori, non è invenzione di noi vecchi amatori d’opera, è anche professionalità, è anche arte, e responsabilità verso coloro che ancora li ascoltano…credo ahimè siano solo parole al vento.
Ma era tutto a non funzionare..a cominciare dalla bacchetta, e se latita quella il resto non regge (con quel tenore poi)
se posso provare a consolare Rigoletto prendendo spunto dal suo piagnisteo quotidiano (anzi del mattino perché poi dovrebbe esserci quello pomeridiano e forse il serale), rammenterò a tutti quelli che avevano assistito credo più di trent’anni fa a Cavalleria Rusticana in quel di Pavia, la modestia di quella recita in cui il tenore Santo Sciuto perdeva le braghe durante il brindisi e Anna Maria Fichera nel ruolo di Santuzza non perdeva la sottana ma riusciva ad essere a suo modo comica. In ogni caso tutta la mia solidarietà per il tuo rimpianto delle “bellesecuzionidellaprofondaprovinciadiuntempo”
E’ pomeriggio, ma non rimpiango Pavia, in quanto definirla profonda provincia ce ne vuole, la prova : T.Fraschini 2.12.1995 Barbiere di Siviglia dir. Zigante Rosina: K.Ricciarelli, il conte: V.Martino. Recita prevista dal circuito lombardo…La ho registrata ma ho dovuto lottare col mio registratore…
Comprendo che posso sembrare un piagnone, non mi offendo, tanto non cambia nulla. Mi sono offeso alla recita di Aida con Oren,Valyre,Cura, perchè udire quelle strazianti note, e chiedermi di pagare il biglietto è stato un delitto. Se poi uno vuol farsi prendere per il c.lo e paga anche, allora .. ben gli stà. Prosit
Siamo in due, concedimi, a essere offesi da quell’Aida.
Beato Alberto, qui sotto, che si contenta – riporto – dell’ azzuro di pizzi, con la Valayre che diceva poco – parole sue – e non ricorda gli altri…, ma la pianta di occuparsi dei dettagli…l’ azzurro dominante interessante, … e quelli che cantano cosa sono cotillons ???!!! , ma dai !!!
… e le grandi voci che mancano… ne ho abbastanza sulle spalle per dire che le grandi voci da quel luogo stanno lontano da un bel po’, eh via !… e poi rifiuta un biglietto per il Don Giovanni, all’ Arena ?!
Ma ancora, dai, quali intervalli, Mozart all’ Arena…
ma scherziamo !?
Se ci pigli TU per il c…, beh grazie, ogni tanto potresti anche farne a meno.
Si può stare al gioco, ma mettiamo un limite, non fino a questo punto, via !
Se ho frainteso mi scuso, ma stavolta dubito…
non vorrei essere frainteso, preciso : il “se ci pigli TU” è riferito ad Alberto.
Purtroppo quell’Aida segno l’inizio della fine di un tenore che ritenevo assai promettente e che mi meraviglia sia stato ancora in grado di essere scritturato alla Scala non più tardi di un paio d’anni fa. Effettivamente la Vallayre diceva poco e non ricordo bene chi fosse il baritono e il mezzo soprano. Ricordo però uno spettacolo dove dominava l’azzurro di Pizzi piuttosto interessante. Ora l’assenza di grandi voci dall’Arena mi tiene molto lontano da lei, tanto che anche l’anno scorso ho rifiutato da un caro amico un biglietto vip per Don Giovanni. Più che la spesa non vale la fatica di reggere i noiosi intervalli al caldo. Saputo che finiva alle tre di notte é difficile pentirsi di non esserci andato.-
Io mi ricordo: Amneris era la Diadkova, Amonastro Leo Nucci. Lo spettacolo era molto interessante dal punto di vista registico e faceva leva soprattutto sulla prestanza fisica dei cantanti, in primis Cura e la Valayre. Devo dire che allora Cura non mi dispiaceva e neanche la Valayre: sebbene un po’ insicura e ritrosa in alcuni punti, non l’ho trovata così terribile come certe Aide ascoltate in Scala.
penso che qualcuno potra’ confermare che il don giovanni all arena prevedeva molti cambi di scena. Ma non voglio far polemiche con A. che ha avuto l onore d ascoltare Tucker e che m immagino sempre perseguitato dal mattarello della moglie che lo aspetta sull uscio d casa quando rientra tardi dall opera e si lamenta d come s cantava meglio solo fino a trent anni fa
eheheh !
errore , Alberto, all’opera mia moglie ci viene sempre, non resta casa perchè piace anche a lei.
Quanto al resto, non credo sia questione di scene e regia se poi chi canta o dirige vale poco, continuo a pensare che prima di tutto vada rispettata l’opera che va in scena.
Personalmente, se è suonata e cantata bene, della macchina rappresentativa me ne infischio, per quel che mi riguarda, la possono cantare anche in jeans e maglietta.
Eh no Akonkgua, non lo voglio credere ! A parte coniugi sui generis, non esistono coniugi che vanno volentieri insieme all’opera. Voglio pertanto continuare a immaginare i tuoi rientri con un paio di scarpe in mano (derby perché l’allacciatura é più comoda che nella francesina soprattutto se vai ad ascoltare la Lady Macbeth del Distretto di Mzensk), per fare piano e tua moglie che inesorabilmente ti becca appena passato il corridoio e poco prima del bagno di servizio.-
Costretto a deluderti Alberto, mia moglie ama l’opera quanto me, da quando siamo sposati le abbiamo viste tutte insieme, oltretutto la ragazza ha orecchio, è un po’ più leggera nei giudizi – si sa, le signore -, non si addentra in particolari tecnici, ma se qualcuno canta male, non le sfugge.
Lascia perdere i miei rientri, pensa piuttosto alle mie “uscite” sui tuoi gusti vocali, qualitativamente decadenti, eheh !
p.s. altra toppa, non l’ultima credo : io porto solo mocassini, mon cher.