Per i melomani è un urgente dovere celebrare la scomparsa di Bruno Bartoletti. Lo scomparso direttore, fiorentino di nascita, ma di carriera e fama americana ha incarnato nella maniera più completa e apprezzabile il modello del grande direttore da opera. E’ spesso, anche all’interno di noi autori del Corriere, fonte di polemica la figura del direttore da opera e la sua pratica realizzazione, perché si scontrano i fautori di un mero accompagnatore, disponibile a secondare ciascuna richiesta ( o arbitrio) del cantante e dall’altro chi ritiene irrinunciabile e demiurgica la figura del direttore, nuovo compositore e del compositore vate, cui tutti, cantanti in primis, debbono piegarsi. Delle due posizioni forse preferisco la prima, ad una condizione, oggi inesistente anzi impossibile, ovvero disporre di cantanti di gusto e di preparazione musicale autonoma e capaci di galleggiare sempre ed ovunque. Ma oggi siffatti professionisti dell’arte canora non ci sono e allora l’idea del “batti solfa” è letteraria e ideologica, e tragica nelle sue conseguenze quella del direttore padrone.
Bruno Bartoletti non è stato la prima né, tanto meno, la seconda incarnazione. E’ stato soprattutto con Puccini e Verdi un creatore di atmosfere ed una guida sicura per il palcoscenico. Ovvero la quadratura del cerchio o quasi. Basta pensare ad alcuni passi come la celebrata Manon Lescaut dove esalta il sinfonismo di talune pagine come l’intermezzo o dove seconda e limita nel contempo pregi e difetti di Madama Caballé . E per chi volesse approfondire, anziché ricorrere alla registrazione in studio ad un live bonaurense, deve ascoltare come Bartoletti seconda ed amplifica in orchestra gli slanci dell’ardito Des Grieux di Richard Tucker. Non possiamo dimenticare che Puccini non fu il solo autore del periodo caro e approfondito da Bartoletti che evitò trombonate inutili in opere come Chénier e Mefistofele, che per differenti versi alla trombonata inclinano.
Altro caposaldo del repertorio dello scomparso Verdi come numerose registrazioni spesso provenienti dal Lyric Center di Chicago (che fu il SUO TEATRO) confermano, fosse sostenere la sopranile Azucena di Grace Bumbry o il Manrico di Franco Corelli. Verdi di cui peraltro Bartoletti propose anche Macbeth e Attila, ben prima che gli stessi titoli fossero “riesumati” da direttori che potrebbero essere, per età, fratelli minori o anche figli del maestro fiorentino.
Non solo, anche applicato a quello che non era il suo repertorio come il Rossini tragico, Bartoletti era perfettamente capace di creare la atmosfere giuste a preparare gli eccessi dei virtuosi come accadeva sia a Torino con la debuttante Gianna Rolandi, sia a Chicago con il tris Horne/Cuberli/Merritt.
Aggiungo un doveroso particolare per non perdere mai, neppure in sede di celebrazione, il contatto con il reale e l’attuale. Bartoletti in Scala ha diretto poco e quasi sempre al di fuori del cosiddetto repertorio: alcune produzioni alla fine degli anni Cinquanta (tra cui Lo frate ‘nnamorato, Orontea e un trittico, composto da Serva padrona, Cantatrici villane e Scala di seta, che oggi costituirebbe la terza parte o giù di lì di una stagione ordinaria), il Naso di Shostakovich nella stagione 1971-72, una Suor Angelica con la riprovata Ricciarelli nel 1972-73, per poi tornare solo nella stagione 1998-99 (con l’Angelo di fuoco) e, finalmente, con una Bohème nel 2002-03 e una Butterfly l’anno successivo. Omaggio tardivo alla carriera e al professionismo, ma risarcimento assolutamente insufficiente, per la bacchetta e più ancora per il pubblico ambrosiano, o per quel che ne resta.
Gli ascolti
Bruno Bartoletti
Rossini – Tancredi
Atto II
Fiero incontro…Lasciami: non t’ascolto – Marilyn Horne e Lella Cuberli (1989)
Rossini – La Cenerentola
Atto I
Ah! se velata ancor…Parlar, pensar vorrei – Teresa Berganza, Silvia Baleani, Noemi Souza, Renzo Casellato, Sesto Bruscantini, Eduardo Ferracani (1967)
Rossini – Mosé
Atto II
Eterno, immenso, incomprensibil Dio…Celeste man placata…Voci di giubilo – Boris Christoff, Carlo Franzini, Bianca Maria Casoni, Franco Tagliavini, Franco Pugliese (1971)
Atto IV
Dal tuo stellato soglio – Boris Christoff, Carlo Franzini, Gabriella Tucci, Ada Finelli, Franco Tagliavini, Franco Pugliese (1971)
Donizetti – La Favorita
Atto III
A tanto amor – Sesto Bruscantini, Fiorenza Cossotto e Alfredo Kraus (1967)
Verdi – Un Ballo in Maschera
Atto II
Teco io sto…Non sai tu che se l’anima mia…Oh qual soave palpito…Tu qui?…Odi tu come fremono cupi – Richard Tucker, Margherita Roberti e Cornell MacNeil (1965)
Verdi – Aida
Atto III – Martina Arroyo, Carlo Bergonzi, Cornell MacNeil, Biserka Cvejic, Nicola Rossi Lemeni (1968)
Mascagni – Cavalleria Rusticana
Atto unico
Tu qui, Santuzza? – Grace Bumbry, Carlo Bergonzi, Gina Lotufo (1968)
Poulenc – La voix humaine
Atto unico
Avant hier soir? J’ai dormi – Magda Olivero (1969)
Che dire?
Uno che “sapeva”. “Conosceva”.
Fu anche grande promotore di opere fuori dal repertorio “normale” e portò Britten in giro per la sua Toscana come se fosse Verdi.
Mannaggia!
Bravo Maestro!
Addio…
Non ricordo che, abbia mai voluto far credere che solo lui fosse l’interprete fedele di alcun compositore, Preparava le opere con impegno, svolgeva il suo compito e basta.
Tra i melomani era stimatissimo, non altrettanto dai sovraintendenti
che invece cercano le polemiche per creare visibilità, non avendo altro da mostrare.
L’opera lirica come era intesa un dì, è ormai morta e sepolta,
solo alcuni critici logorroici pensano di no, e svolazzano dietro
le regie per darsi tono e scimmiottano i festival cinematografici.
Un caro saluto al maestro .
Ascoltai Bruno Bartoletti per la prima volta alla Fenice nel 1972, nel leggendario Roberto Devereux con la Caballè e Gianni Raimondi. Tornò a Venezia altre tre volte, nel 1976 per Attila con Christoff, nel 1977 per I Due Foscari e nel 1980 per Traviata. Il teatro lo avrebbe voluto più spesso, ma i suoi impegni americani non glielo permisero. Ricordo anche una sua bellissima Boheme a Firenze nel 1977, quando fu chiamato all’ ultimo momento per rimpiazzare Carlos Kleiber che si era dato alla fuga come faceva spesso. Gran direttore d’ opera, di quelli dei quali si è perso definitivamente lo stampo. La sua registrazione EMI di Manon Lescaut va annoverata tra le più belle incisioni pucciniane della storia.
Correzione: la Boheme fiorentina, con la Freni e Merritt, fu nel 1987
grazie per gli ascolti
Una cosa sola : direttore d’opera . Grazie maestro
Per fare un po’ di polemica – visto che mi sento “tirato in ballo” – voglio precisare che trovo sbagliata la dicotomia proposta da Donzelli: non credo esista un direttore “da opera” e un direttore “da sinfonica”, l’uno prono ai desideri dei cantanti, l’altro svettante dal podio al di sopra di tutti (compositore compreso) e guai se il primo si “azzarda” a toccare una sinfonia o il secondo a sfogliare una partitura operistica. Credo, invece, che esistano solo direttori bravi o cattivi (o mediocri) che applicano le loro arti ad un dato repertorio che sentono più vicino. “Accompagnare” NON significa battere la solfa e neutralizzarsi davanti ai capricci dei divi…certo molti lo hanno fatto e lo fanno, ma i risultati restano sgradevoli, sempre: per “accompagnare” bisogna saper dirigere e avere idee ben chiare e originali, imprimere un passo e interpretare, nella difficile condizione di doversi occupare non solo della buca, ma anche del palco (con tutte le variabili che lo strumento “voce” può comportare). Serafin fu un grande accompagnatore (ma non certo un battisolfa, basti pensare all’interesse per la musica del ‘900, il primo Wozzeck italiano fu diretto da lui, e al recupero di repertori ormai dimenticati: Norma, ad esempio), Gavazzeni fu un grande accompagnatore (e grande uomo di cultura oltre che musicista sensibilissimo), Votto fu un grande accompagnatore…ma lo furono, quando si trovarono a dirigere melodrammi, anche Bernstein e Karajan (e avevano a che fare con la diva delle dive, che per fortuna era anche interprete intelligentissima). Il risultato è che quella Sonnambula, quella Lucia (o quel Trovatore), pur non rinunciando alla primadonna, hanno un sapore ed un passo che rimangono insuperati. Allo stesso modo dirigere una sinfonia (o Wagner o il tardo Verdi: repertori che hanno sempre attirato – per ovvie ragioni – direttori frequentanti maggiormente la sinfonica) NON significa ergersi sopra ogni cosa, ma suonare CON l’orchestra trovando una sensibilità comune finalizzata all’esecuzione di musica (e non di meri suoni). Trovo che laddove grandi direttori si siano dedicati all’opera, i risultati restino eccellenti, così come – anche con interpreti straordinari – i battisolfa rimangano tali e imprimano un grigiore complessivo anche alla più eccellente resa vocale. Si prenda la Forza del Destino diretta da Mitropoulos e quella – con cast egualmente “stellare” – diretta dal mediocre Molinari-Pradelli. O la Norma della Caballé diretta da Patané (grandissimo direttore) e quell’orrore diretto da Cillario. Cambia eccome. Persino la resa dei cantanti (l’esempio della Callas è evidente). Per stare al defunto: Bartoletti era un grande direttore che ha scelto di dirigere opera, con gusto sensibilità e autonomia. Non trovo fosse prono ai capricci dei cantanti, ma capace di valorizzarne i caratteri e renderli funzionali alla SUA visione dell’opera. Proprio come Serafin o De Sabata o Gui o Maag. Ugualmente non credo che il numero di titoli diretti sia rilevante nel definire un direttore “da opera” o, peggio, “capace” di dirigere l’opera: così come si può essere grandissimi direttori d’orchestra senza dirigere Mahler (Furtwaengler ad esempio o Wand o Celibidache) o Beethoven o Schubert o Bach (Boulez) si può essere ottimi direttori d’opera senza dirigere Puccini o Rossini o Wagner. Anzi, credo che l’umiltà di scegliere un repertorio in cui si ha realmente da dire qualcosa e non accostare titoli su titoli solo per il “piacer di porli in lista” differenzi il grande direttore dalla superstar… Kleiber (figlio, il più grande dei due) o Bernstein hanno diretto pochissime opera, Oren migliaia: non ho alcun dubbio su chi scegliere e ritenere un grande direttore ANCHE di opera.
Magistrale come sempre. Condivido tutto.
mi piacerebbe dare ragione a Duprez in tutto e per tutto ma…nella storia il “direttoredopera” é una constatazione (si pensi a Nello Santi, Maurizio Arena, Morandi). Non credo tuttavia che Bartoletti lo fosse. Egli sapeva essere “bello” (Manon Lescaut, Ballo in Maschera, Suor Angelica) ma anche molto “originale” (ultimo Rigoletto a Bologna).-
Duprez ha ragione. Giuseppe Patanè in Germania dirigeva abitualmente anche il repertorio sinfonico. Personalmente, circa venticinque anni fa ho sentito Nello Santi dirigere, e molto bene, lavori orchestrali di Richard Strauss con l’ orchestra della Tonhalle di Zurigo.
la mia definizione data al Maestro Bartoletti non voleva essere ne un complimento e neppure uno sminuirne le capacita’. E’ semplicemente questione di rispetto che purtroppo non tutti i direttori grandi o meno hanno .
Mi riferisco alla presunta dicotomia di cui si parlava nel pezzo e alla vulgata – purtroppo letta spesso – per cui un bravo direttore “da opera” deve lasciar fare ai cantanti quello che vogliono e accontentarsi di battere il tempo. Balle! Un direttore – che diriga una sinfonia, una messa, un concerto o un’opera – deve avere il controllo su tutto. E’ pagato per questo, altrimenti basterebbe un metronomo. Accompagnare non significa essere proni ai capricci. Non lo era Serafin come non lo era Bernstein… Altrimenti Oren sarebbe il più grande direttore d’opera mai esistito e C. Kleiber un inetto: ed è con tutta evidenza l’esatto contrario.
Verissimo. E questo il rispetto che intendevo. Infatti Oren non ha rispetto per nessuno. ( mia esperienza diretta in quanto dipendente del povero Carlo Felice )
e’ vero quello sostiene mozart e anke quello che scrive duprez. Ma se uno coll andat del tempo dirige solo opera senza particolare contenuto innovativo diventa giocoforza direttore d opera. spiace ma e’ cosi
Il Maestro è stato un grande. Non è mai sceso a compromessi e si è sempre occupato solo ed esclusivamente della sua arte. A Parma è stato trattato a pesci in faccia, ma è stato lui che ha dato un nuovo respiro al repertorio facendo conoscere Britten, Pizzetti ecc. ecc. Anche per il Maggio si è rivelato una figura assai significativa e proprio a questo teatro ha dedicato i suoi ultimi momenti di vita. Il suo testamento spirituale, reso noto dai famigliari, in relazione al Maggio è eloquente. Grazie Maestro! Ce ne fossero di direttori come lui!