“Casta Diva” (Maria Callas – Roma 1955)
Nell’interpretazione di Norma è indubbio che vi sia un prima e un dopo la Callas. Ci si domanda – anche con i colleghi del Corriere – se quella del soprano greco fosse una rivoluzione o una restaurazione, relativamente al melodramma preverdiano. Credo che siano corrette entrambe le asserzione. La Callas infatti da una parte rivoluziona l’approccio al personaggio, sottraendolo a certe esagitazioni veriste o a decorativismi liberty (così come sottrae Lucia o Amina ai bamboleggiamenti dei sopranini coccodé), per donarle una statura tragica e drammatica, dall’altra restaura proprio questi aspetti così connaturati al capolavoro belliniano (e non solo). L’accento scolpito, la dizione perfetta, il tono “alto”, il corpo vocale, la sicurezza nel canto, lo stile misurato: costituiscono un unicum nella storia interpretativa del personaggio. Tra le tante testimonianze audio prediligo quelle della maturità, laddove – ad onta di una minore freschezza – la definizione del personaggio assume tratti e valori da tragedia greca.
Dicono le cronache che dal 1948 in poi, fino al ’58, Maria Callas canta Norma ogni anno, in luoghi e con casts diversi.
Io non c’ero ancora.
Personalmente, quella che preferisco, consegnata al vinile, è quella del ’55 con l’ Orchestra della RAI e Serafin sul podio, con Ebe Stignani – sopra tutte Adalgisa – e Del Monaco, ma riconosco che la sua maturità vocale regala accenti tragici da “Callas”.
Concordo sul giudizio filologico : la questio de “rinnovamento o restauro” si risolve nel riassunto, da parte della Callas, delle differenti anime di Norma.
Nessuna più, ahimè, come lei.