La voce pura e cristallina di Rosa Raisa, allieva di Barbara Marchisio, pur considerata di “soprano drammatico”, forse non è l’ideale per la tessitura un po’ grave di Norma, della cui Casta diva il soprano polacco incise anche un’altra versione, completa di cabaletta, e per molti aspetti meglio riuscita di questa; qui infatti l’intonazione in molti punti difettosa o periclitante è spia di una emissione che in particolare nel centro non risponde perfettamente, come se la voce dovesse ancora scaldarsi appieno. Anche questo è un pregio degli antichi dischi a 78 giri, il mettere a nudo i cantanti coi loro pregi e difetti, senza trucchi e falsificazioni atte a mascherare gli eventuali errori. Mi rendo conto che l’ascoltatore moderno, abituato alla falsa ed esteriore perfezione degli odierni cd, possa facilmente storcere il naso, come sempre accade quando alle coscienze ubriacate di malcanto si sottopone l’ascolto di una voce VERA. Tuttavia anche se imperfetto, il canto della Raisa si rivela assai istruttivo per la diafana semplicità del porgere, l’assenza di artifizi nell’emissione delle vocali (oggi può scandalizzarci quella A così aperta nell’attacco, peraltro non perfettamente riuscita), la chiarezza di emissione, la pura sonorità degli acuti, caratteristiche che ci riportano a quell’antica e ormai scomparsa civiltà vocale di cui la Raisa tramite la maestra fu un’autentica erede. Imparare a non essere schizzinosi con questo tipo di cimeli è antidoto potentissimo contro le attuali imposture discografiche.