Scala 2013-2014

Quando ho letto la stagione scaligera ho immediatamente avuto innanzi a me Aldo Palazzeschi e  le sue Sorelle Materassi, in particolare quando Teresa e Carolina, ormai in preda ai deliri del senescente amore per  lo sciagurato nipote, decidono –“perché loro possono”- di vestirsi in bianco al matrimonio del maschio causa di tutti i loro guai. E chi se non Edita Gruberova e Mariella Devia possono essere, con riferimento a questa stagione in grado di  affermare, “noi si che possiamo, non già vestirci in bianco, ma CANTARE”.
Perché in mezzo al “cimitero degli elefanti”, capitanato da Nucci e Domingo in ruoli protagonistici e di rilevante peso ed a seguire popolato con altri coetanei, applicati a ruoli di comprimari, le due signore potrebbero ancora reggere sulle loro pur sempre solide spalle un titolo idoneo o, ben accompagnate, una parte di esso. Come, se proprio si fosse voluto rabbonire il pubblico con vecchie glorie per la scarsezza di giovani, la incapacità comprovata di reperirne e quando reperiti di utilizzarne si poteva, come nell’ottocento, proporre testi teatrali affidati a Mirella Freni (el matrimoni d’l’ Aida), Ruggero Raimondi (il cardinale Lambertini) Luciana Serra (I manessi per maja ‘na figgia) Maria Chiara (la buona vedova o i Rusteghi, magari con Giaiotti e Scandiuzzi). Trionfo e sold out assicurati, mica i forni che, anche nelle opere di repertorio, sono la regola  e che solo critica togata e i responsabili della programmazione sembrano non avere visto.

Altri del corriere sono scesi nel dettagli della poche righe assegnateci e nulla ho da aggiungere se non qualche spunto di riflessione:

a) quando la Scala faceva cultura e non immagine i divi  come il TEDESCO (cito la cultura di Stefano Lissner) von Karajan dirigevano opere come Lucia e Bernstein doveva affrontare Sonnambula e Medea e non riproponevano titoli rodati e propinati per ogni dove come a dire che per la Scala va bene proporre routine. Esemplare Pappano con i Troiani, dove il trio protagonistico potrebbe affrontare, non senza difficoltà, Fidalma, Elisetta e Paolino del Matrimonio segreto.

b) E lo stesso può dirsi del conte Ory con Florez, titolo e cantante che chi voleva vedere ha visto e rivisto.

c) un bel giro in internet fra i siti delle agenzie serve a illuminare gli illusi, che potranno disilludersi e verificare come  un paio di agenzie imperversino ed in virtù di vecchie glorie abbiano farcito dei loro prodotti di fila (direttori, cantanti sia in prime che seconde parti) tutta la stagione. Allora  è assai più onesto verso  il contribuente, assai salassato, appaltare la gestione all’impresario. Ma si tratterebbe di rischiar del proprio. Più comodo farlo con il pubblico danaro, sotto il paravento della cultura.

d)      Svelato  l’arcano di cui al punto c) ovvero terminato l’internet tour il nostro neo disilluso appassionato potrà anche capire l’assenza delle uniche vecchie glorie ancora presentabili ( se volete vi faccio i nomi) e la scelta di piazzare in un ruolo di lusso dei Troiani, l’unico Edgardo oggi proponibile.

Ciò non di meno, stoicamente,  andrò alla Scala. Stoico o cretino, me lo chiedo sempre. IO.

Domenico Donzelli

 

Quella del riutilizzo è una pratica diffusa in molte attività del vivere quotidiano. Prima fra tutte la culinaria, che dagli avanzi ha spesso saputo trarre sapori insoliti e nuove consistenze. All’aureo principio in forza del quale “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si ricicla” sembrano essersi ispirati i responsabili della programmazione scaligera (a loro volta ‘dismessi’ da altri teatri e in attesa di volgere altrove, novelli Enea, le vele) al momento di concepire titoli e soprattutto cast della stagione 2013-2014. La scelta delle opere omaggia, con un paio di eccezioni non significative, il grande repertorio, quello che dovrebbe costituire l’ossatura portante di un teatro, che voglia coniugare tradizione e modernità. Il problema, piuttosto ovvio, è che non basta concepire i titoli: bisogna anche scegliere interpreti, responsabili della parte visiva e bacchette. E qui il riciclaggio emerge sotto una luce decisamente sinistra, perché si ha la netta sensazione che i nomi siano stati affastellati un po’ a caso, confidando nel favore delle stelle, e un po’ nella segreta speranza che la temerarietà venga scambiata ipso facto per coraggio e innovazione creativa. Non si spiega altrimenti un cast di ex rossiniani al capolinea delle rispettive carriere (di durata disomogenea) impiegati nella scrittura, onerosa vocalmente e in funzione della consistenza dell’organico orchestrale, del capolavoro di Berlioz, o un cast di Trovatore che ripropone cascami di spettacoli provinciali (nonché ambrosiani), che già in partenza non avevano sortito risultati degni di nota e soprattutto degni del titolo verdiano. Meriterebbe una chiosa a parte la Sposa dello Zar, in cui al riutilizzo (sommamente antiecologico) di cantanti appartenenti ad altre età geologiche si aggiunge la proposta, credo inedita per Milano (ma attendo la smentita dai solerti biografi della signora), di una cantante che ha costruito la propria carriera su tutt’altro repertorio, a torto o a ragione ritenuto, con ogni evidenza, meno “spendibile” sulla piazza milanese. Si ricicla, o per meglio dire si rinnova, il legame con la Staatsoper di Berlino, da cui sono importati allestimenti e, quel che più conta, cantanti, molti dei quali già proposti, con esiti interlocutori, nelle passate stagioni. En passant si potrebbe notare come le grandi Ortrude di una volta interpretassero, nel titolo straussiano, la perversa Clitemnestra e non già la sua forsennata erede. Rinverdito, ovviamente, anche il legame con l’Accademia scaligera, anche se la stella di punta della medesima deve accontentarsi di un secondo cast, seppure su di un titolo nobilitato dalla presenza del massimo tenore rossiniano di oggi (per usare il gergo agiografico dei programmi di sala). Torna poi Claus Guth, già demiurgo del Lohengrin ultimo scorso, per un Così fan tutte la cui locandina farebbe pensare a un riciclaggio dello spettacolo salisburghese, non fosse per l’etichetta di “nuova produzione” che ivi troneggia, e ovviamente Dmitri Tcherniakov, eletto a furor di esegeti nuova stella del firmamento registico, e in quanto tale incoronato con ben due spettacoli (ovvio quale sia il teatro che coproduce il secondo, quello non collegato alla fausta solennità del 7 dicembre). Poche sorprese anche dai concerti di canto, tanto che leggendoli viene da pensare a un refuso o a un link difettoso, che reindirizzi alla relativa pagina della stagione corrente. Suscita, infine, una certa malinconia vedere cantanti, ormai ben oltre l’occaso della carriera, che si riciclano in parti di fianco o comprimarie. La loro presenza è, per i più giovani colleghi, una sorta di “Et in Arcadia ego” dal vago sapore profetico.

Antonio Tamburini

 

La stagione prossima futura, gioisamente annunciata a due dal nostro sindaco e dall’ ineffabile Lissner, è stata definita da quest’ultimo “di proposte e non di immagine”. Alla loro felicità si aggiunge la nostra, perchè ora sappiamo che la nostra Scalà, e l’opera tutta del resto, sarà riconvertita in un grande spa ove magiche acque sapranno ringiovanire come in Cocoon svariati nonnetti della lirica. Mancano solo Edita e Mariella, e spiace perchè avrebbero ancora cartucce più sicure da sparare, portatitrici di trionfi epocali sicuri.L’elenco che davvero assomma ad una piccola casa di riposo e che ha stupito gli stranieri (http://www.unanocheenlaopera.com/viewtopic.php?f=7&t=16962)ancor prima di noi, annovera, tra camei e cameucci, le due presenze a pieno titolo di Nucci e di Domingo che ci pare siano oltre i limiti dell’accettabilità. Degli altri ci domandiamo il senso, ma ne cogliamo la ridicolaggine, salvo l’oneroso peso assuntosi dall’infaticabile Kunde. La “novità” dei Troiani, già a Berlino, Valencia, Londra, arriva anche da noi in omaggio all’orginalità ed all’indipendenza culturale nella scelta dei titoli, con un protagonista che sa tanto di facente funzione di Kaufmann, e due signore di nome ma del tutto inedeguate ( della prova vocale di Anna Caterina in quel di Londra vi sono svariate narrazioni milanesi in proposito..). Boccanegra e Trovatore come all’Unter den Linden, il primo deprecabile, il secondo intreressante per la presenza ardita di Alvarez e l’ennesimo azzardo di Maria Agresta, ma si tratta di sfide da parte di due coraggiosi che si potevano e dovevano impiegare diversamente. Interessante La Sposa di Rimsky, ben più dei prolissi Trjoani, provvisti di bacchetta ma poc’altro; terrorizzante immaginare la prova vocale della Erlizius-Elektra! Una Lucia raffazzonata, senza i tenori che si erano sussurrati e che avrebbero dato altro senso alla produzione, peraltro raffazzonata anch’essa con la produzione, orrenda, del Met ( peraltro abbiamo preso anche il loro Ory di Pelly, giusto per non farci mancare nulla del peggior visual di Gelb  ), ed una bacchetta senza senso, che poteva essere almeno una più avvezza al belcanto. Della Traviata taccio, perchè sin che non vedo la Damrau sul palco non ci credo, con un Beczala cui l’intero universo avrebbe preferito Francesco Meli, come pure sul Simone al posto di Vargas, ed un baritono sgraziato destinato a non piacere. Sui bassi regna sovrano il re dell’Unter den Linden R. Pape e grazie a cui il preferibile Adbrazakov è impossibile rivedere sulle nostre scene. Trovar cantanti oggi è brutto affare, ma almeno procacciare i meno peggio si potrebbe…a capirne di voci. Del resto, noi capiamo tutto di questa gestione leggendo il nome di Rolando sul Così fan tutte.Altrove già si fa osservare l’esiguità del numero di serate diretto dal nostro direttore stabile Barenboim, che appena arrivato ( e pagato a serata) dirigeva anche la biglietteria ed il bookshop, ora da direttore musicale stabile si esibisce in appena 15 serate ( confrontare altri teatri importanti e la percentuale di serate affidate al direttore principale..), mentre  a Berlino si fa carico di circa 30. Forse anche lui appartiene ormai al parco Cocoon da noi generosamente finanziato. A parte Pappano, Harding e forse Salonen, poca roba. Steremo a vedere il maestro Gatti, anche stavolta in lizza per la direzione musicale, come si comporterà col suo fragilissimo cast.

Per parte mia, mi domando cosa si intenda per teatro di proposte e non di immagine, perchè suona un po’ come “le proposte di Vogue pev pvossima stascione di alta modà” .Forse è una battuta riciclata, dato che l’immagine della Scala è solo un lontanissimo ricordo.

Giulia Grisi




Mara Zampieri (Annina), Elena Zilio (Mamma Lucia, Hécuba), Anatoly Kotscherga (Vasilij Stepanovič Sobakin
), Anna Tomowa-Sintow (Domna Ivanovna Saburova), Samuel Ramey (Priam), Franz Mazura (Der Pfleger des Orest), Renate Behle (Die Vertraute/Die Auseherin), Donald McIntyre (Ein Alter Diener), Roberta Alexander (Funfte Mägd), Leo Nucci (Conte di Luna/ Boccanegra), Placido Domingo (Boccanegra).
Sembra di essere catapultati nei ruggenti anni scaligeri ’80-’90 a leggere quest’elenco di nomi: sbagliato! Questa, cari signori, è la Scala 2013-2014.
“La stagione degli Zombie”, con questi ultimi a prendere il sopravvento sui più giovani colleghi e pronti a ricevere e pretendere tutti gli onori dovuti con la scusa del “cameo” operistico.
Speriamo che facciano interpolare, durante l’opera, qualche arietta del loro passato repertorio, così per farli e farci divertire.
Se su Facebook, nei Forum e sui Blog non si parla d’altro che dell’Annina della Zampieri e non dei contenuti di una stagione nel complesso ridicola, allora hanno davvero vinto loro: gli zombie.
Sarà il trionfo dei veterani, che insegneranno ai “giovani” come si sta in scena anche dopo la pensione, o come fare per godersi la pensione.
Una stagione “che ha il respiro internazionale… europeo…” si legge in giro: in realtà una stagione da provincia tedesca, decurtata di un terzo a causa di un catastrofico buco di bilancio, che scatenerà, ne sono sicura, scioperi e problemi non da poco; ma non ditelo alle anime belle scaligere: per loro va tutto bene, è tutto bello, la Scala è buona e Lissner è un geniaccio del teatro!
Una stagione che pretende di essere intellettuale e al passo con il teatro di regia destrutturato puntando su registi come il famigerato Tcherniakov, piazzato in ben due spettacoli (preparate i pomodori o le denunce, come già è capitato), Mary Zimmermann direttamente dal Met con la sua “Lucia” con l’urlo, Claus Guth nel “Così fan tutte” con la sua casetta, i suoi sdoppiamenti, la sua psicanalisi da appendice, Laurent Pelly nell’ “Ory”: i badanti dell’eurotrash sono tutti un fremito.
Per fortuna la presenza di David McVicar con i suoi bellissimi “Troyens”, il ritorno di Chéreau nell’ “Elektra”, quello di de Ana nel pittorico “Trovatore” riscatteranno questa abbuffata di intellighenzia europea.
Preparate dunque le bombole d’ossigeno per la Damrau, che in Violetta al Met era già in ambasce a metà del secondo atto, e forse anche prima; preparatevi alla rozzezza cronica di Lucic, agli sbandamenti della Monastyrska, alle stonature compulsive di de Leon, al musicarello di Grigolo, ai resti di Alvarez, al naso ed alla gola sforzatissimi di Lee, all’emissione intubata della Lo Monaco, ai sbiaditi falsetti della Kurzak e della Yende (che a parer mio sostituiscono una prevista Bartoli, lasciata a casa dopo il disastroso concerto di pochi mesi fa), alle rovine di Villazon, che al 60% sarà malato e dunque sostituito, alla “fuoriclasse” Barcellona che certamente farà sognare i suoi amici, ma che trasformerà Didone in una sofferenza ben maggiore delle sue ultime stremate e imbarazzanti prove, alla Antonacci con la sua Cassandra fuori da ogni controllo, alle ingolature della Giannattasio e di Tsymbalyuk, alle superficialità reiterate di Barenboim.
E per comprendere la lungimiranza e la saggezza di coloro che preparano i cast scaligeri basta guardare i cantanti scelti per “Lucia” e “Trovatore”: Jessica Pratt, che avrebbe meritato il primo cast e l’ “Ory”,  alle spalle di Albina Schagimuratova nel ruolo del titolo, la quale ha il solo merito di aver interpretato in Scala un’Astrifiammante che non ha lasciato alcun ricordo di sé; e la Garcia riproposta dopo il t(ri)onfo del “Macbeth” come Leonora, esattamente come accadde per la Dyka o Neill; oppure la Agresta ormai lanciata in un repertorio spinto, che mi auguro affronti con la dovuta saggezza e cautela.
Meglio, però, il versante direttori con il ritorno di Harding, le presenze preziose e imperdibili di Pappano e di Salonen, la curiosità di Rustioni e l’incognita Gatti, il cui Verdi è sempre stato grigio e verboso, a cui sarebbe stato meglio affidare un “Parsifal” magari o “Meistersinger”, e che si candida come successore al trono scaligero.
Tirando le somme: si solo ad “Elektra”, “Troyens” e “La sposa dello zar” (più per l’opera che per il resto).

Marianne Brandt

 

Rimsky-Korsakov

La Fidanzata dello Zar

Atto II

In Novgorod – Miliza Korjus (1936)

 

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21 pensieri su “Scala 2013-2014

  1. Furlanetto, Kufmann, Harteros, Terfel nei recitals … Mamma mia!
    Almeno (!) c’è la Agresta: vedremo che farà!
    Vediamo poi se anche quest’anno Villazon riesce a fare pacco nei Recital, insieme ad Alvarez: totoscommesse per le quante recite si renderà indisposto!
    Kunde, Ramey e la Antonacci in Troyens… Altra generazione passata!
    Poi .. NUCCI e Domingo, pensionatevi!!! Ma io mi chiedo cosa continuino a cantare: non hanno mai avuto una voce bella ma al massimo grande professionismo ed ora che si ritrovano il primo con sto legnaccio di voce, ed il secondo con la voce nel naso! Ma cosa vorranno fare? Boh ….

  2. …Mara Zampieri , Annina ne La Traviata che inaugurerà la Stagione 2013/2014 del Teatro alla Scala…. potevano evocare lo spirito della Sutherland per la Lucia e farle fare l’ombra che appare alla protagonista nell’antefatto… o che ne so… interpellare Licia Albanese (a luglio centenaria) per Ines ne “Il Trovatore”…. mah!!!!

  3. per me la stagione é interessante…certo in Traviata preferivo la Callas, in Lucia Pavarotti e in Trovatore Lauri Volpi. A dire il vero nel Comte Ory la Sutherland mi avrebbe intrigato…vabbé stoico o cretino andrò lo stesso alla Scala

  4. una volta, una quindicina di anni fa, comperavo ogni mese una nota “rivista mensile per il mondo del melodramma” (o così mi sembra si definissereo), poi stanco di coloratissime foto e commenti insulsi, smisi. Ora la comprero una volta ogni 12 / 14 mesi con lo specifico scopo di vedere cosa è cambiato dopo un anno. bhe! lo volete sapere cosa ci trovo di nuovo una volta all’anno? Niente! sempre uguale; i cast sono sempre gli stessi, i cantanti sempre gli stessi e cantano sempre ghli stessi titoli. Certo ancora mi sorprendo quando cantanti che davo alla frutta 10 anni fa me li ritrovo in un primo cast al metropolitan o alla scala ma purtroppo questo conferma solo che il mondo musicale soprattutto in italia è chiuso autoreferenziale e vecchio. Sembra il parlamento.

  5. Si fa presto a dire alla frutta, ti capita un purista fanatico del cibo e il pasto diventa roba lunga e seria, visti i requisiti necessari per entrare nel piatto.
    Poi c’è il caffè, che cresce lontano….
    Poi magari l’ammazza caffè…
    …e gli anni passano e i bimbi crescono, le mamme invecchiano…
    purtroppo però solo nelle canzoni, qui invecchiano loro, i bimbi, e pretendono di cantare, e mi sa che se glielo fai notare ti rispondono – con un triplo mortale carpiato e annesso avvitamento – che anche tu sei sempre lì.
    Roba da svuotargli la piscina mentre saltano !

  6. La cosa peggiore a mio avviso non è solo la gerontomania degli organizzatori, ma alcune scelte assolutamente scellerate tipo una nuova produzione per Traviata, ma come si fa? E’ un’opera splendida, ma basta, penso che alla fine rischi di stuccare anche il turista giapponese che è disposto a pagare 500 euro per una pizza… E dopo il mega-specchio di Carsen, come si dilapideranno i soldi quest’anno? Perdipiù per un’opera che potrebbe tranquillamente utilizzare vecchie produzioni, magari cercando di fare un buon lavoro con le voci… queste sconosciute… praticamente per tutti i titoli… E il Così fan tutte di Baremboim? Ma come si fa? Preferisco i vecchi a questo carroarmato come lui, che è assolutamente INCAPACE di dirigere Mozart, è una blasfemia sotto tutti i punti di vista. Se si aggiungono Damrau e Villazon si rimane inorriditi… Elektra, Berlioz e Ory sono titoli strepitosi, da grande teatro: Salonen e Pappano sono garanzie, ma a livello vocale tutte e tre i titoli non fanno presagire per il meglio….

  7. Un noto sito di praticoni scrive testualmente: “Il resto, un disastro: oltre al già citato “Simon Boccanegra”, c’è una “Lucia di Lammermoor” che accontenterà i passatisti che vedono relegata dal loro amata Jessica Pratt nel secondo cast”.

    L’errore sintattico è loro eh.

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