Ahimè, non ho mai avuto la fortuna di assistere di persona a quei bei concertoni di canto di Doña Berganza e di Miss Horne che tra gli anni 70′ e 90′ hanno deliziato il pubblico milanese a furia di zarzuelas, brindisi della “Borgia”, cavatine di Arsace e bis vari, talvolta più lunghi dello stesso concerto. Ma stando ai racconti di chi era presente, agli archivi storici e alle poche incisioni disponibili, è facile immaginarsi come al centro di tutto, indipendentemente dalla difficoltà del programma e dall’età anagrafica del o della cantante, ci fosse una sola ed unica cosa: la voce, la vera voce, capace di scolpire le parole, di fraseggiare, di ammaliare il pubblico e di proiettarsi con sicurezza nella sala a prescindere dal suo volume (fosse questa da salotto come quello della Berganza o da salone come quello della Horne). Insomma, erano concerti di Canto, degni di essere chiamati tali.
Il concerto offerto da Barbara Frittoli poche sere fa alla Scala di Milano, ha proprio dimostrato e, paradossalmente, ribadito questa centralità della voce, il suo essere l’unico elemento fondamentale per la ben riuscita, in questo caso, di un recital canoro ma soprattutto ha dimostrato come senza la voce non solo sia difficile, ma oserei dire impossibile imbastire e sostenere una qualsiasi serata di semplice canto. Affermazioni banali, certo, ma che a quanto pare sono pochi, pochissimi a fare, in primis i diretti interessati.
Nonostante il programma di non grande complessità e il frequente numero di lunghe pause strumentali per far riposare l’ugola, la soprano milanese ha mostrato nel corso di tutta la serata dalle ariette verdiane sino ai Wesendonck Lieder di Wagner una continua e serissima difficoltà della gestione del suo mezzo persino nelle frasi più centrali e comode delle musiche scelte per l’occasione (scelte, si suppone, coerentemente alle capacità del proprio strumento).
Così è stato nelle sette ariette da salotto di Verdi (interrotte alla terza, dopo appena 20 minuti di musica, con un delizioso intermezzo musicale con variazioni su alcuni celebri motivi del Rigoletto per clarinetto e pianoforte). La vera ed unica difficoltà ha riguardato l’emissione della voce, causa, come sempre, di tutto. La Frittoli ha mostrato un’emissione della voce tutta tra gola e bocca, in evidente ed ovvio contrasto con la vera scuola di canto, vera non perché adottata dai grandi numi tutelari della vocalità passata, ma perché l’unica che permette di “Cantare”.
Quest’emissione ovviamente ha portato la Frittoli a dover fare i conti con un registro centrale totalmente masticato in bocca, e spesso parlato quando diventava basso. Il canto in bocca ed in gola mostra però il peggio nel registro acuto dove il suono non può che diventare urlo sgradevole e fuori controllo.
Altra conseguenza ovvia e forse più evidente per il grande pubblico, anche se ormai avvezzo a doversi affacciare dal loggione per poter sentire qualcosa, è la proiezione totalmente inesistente: il suono, se non è in maschera, non viaggia, non riempie la sala, grande o piccola che sia, e resta ferma ed immobile nel palcoscenico.
Meno evidente per il pubblico invece è il canto sulla parola, il canto che la scolpisce e che le dà luce. Tra le più ovvie ed evidenti conseguenze dell’emissione indietro, di cui la Frittoli rappresenta un emblematico esempio, vi è proprio l’assoluta impossibilità a pronunciare, a scolpire le parole, o più semplicemente a far capire al pubblico che l’aria che si sta cantando e in italiano e non in tedesco, visto che in sala, appena subito dopo l’attacco di “In solitaria stanza” uno dei presenti l’altra sera si è stupito, prima di controllare il libretto di sala, del fatto che la cantante avesse cantato Verdi tedesco (manco fossimo all’Opera di Berlino agli inizi del XX secolo).
Il vero tedesco, quello di Wagner, è stato altrettanto incomprensibile proprio perché altrettanto ingolata è stata l’emissione anche se con qualche urlo in più oggi ormai elemento caratterizzante nell’interpretazione musicale del genio tedesco.
Per quel che riguarda l’interpretazione, ammetto di non poter dire gran che visto che senza tecnica non vi è canto. Bisogna però dire che Barbara Frittoli, almeno l’altra sera, si è contenuta nei gesti limitandosi solo ai movimenti necessari a tirar fuori voce.
Alla fine, grandi, grandissimi applausi per il bravo clarinettista scaligero Fabrizio Meloni, protagonista dei due intermezzi musicali assieme alla piatta e ferrosa pianista Mztia Bakhtouridze, accompagnatrice della soprano milanese, nonché sostituta del Maestro Barenboim che avrebbe dovuto accompagnare Barbara Frittoli. Ma forse è andata meglio così.
Manuel García
completamente d’accordo con quanto detto del concerto Frittoli. Ha cantato le ariette di Verdi e dopo Wagner SENZA alcun applauso alla fine di ogni pezzo. Mi sono accorto a fatica che cantava STORNELLO. Un soprano con la S maiuscola avrebbbe ricevuto un enorme consenso dopo questo simpatico brano . Lei niente. Non una frase detta e per di piu’ incomprensibile la lingua, NON un suono giusto. NOIA solo alleviata dagli inermezzi . Forse per la Frittoli sarebbe opportuno un BUON RITIRO.
non esageriamo la sua donna elvira dimostra che alcuni ruoli sarebbero ancora praticabili
Quella della Scala? Ma dai albertoemme, quella non era un’ esecuzione, sentivi una poveraccia che lottava con le note!
credo che le sue condizioni vocali non le permettano di avvicinarsi neppure ad un ruolo come quello di Despina.
ma quali ruoli? la donna Elvira? forse puo’ ancora dire “la cene è pronta” . peccato perchè la voce era bella come la presenza.
la cena è pronta? adesso mettono una cameriera al posto del cameriere? 😀
Di Stefano una volta si prestò a fare quella parte 😀