L’ebreo Éléazar fu l’ultimo ruolo debuttato da un Caruso ormai agli sgoccioli della carriera, nel 1919, un Caruso le cui condizioni vocali ci sono documentate dalle ultime incisioni, tra cui appunto questa dell’aria della Juive, datata 1920. Confrontiamo, nell’esecuzione del difficile brano, il massimo mito del tenorismo all’italiana con colui che è considerato come il più grande tenore francese del periodo tra le due guerre, Georges Thill. Aria impegnativa soprattutto per ragioni espressive e musicali, strutturata secondo lo schema ABA, richiede capacità di differenziare le continue ripetizioni variando dinamiche e dosando sapientemente gli accenti, aspetti in cui eccelleva il talento musicale ed attoriale di Adolphe Nourrit, leggendario creatore del ruolo. Si fatica purtroppo a trovare una esecuzione che renda piena giustizia al potenziale espressivo di questa splendida aria, gli interpreti che l’hanno incisa essendo più impegnati a venire a capo delle non facili note, che a fraseggiare.
Sentiamo quindi Caruso, che, lo anticipo subito, è costretto dai propri difetti tecnici a contaminare la nobile cifra stilistica del grand-opéra con gli stilemi del verismo più spinto, e quindi a trasformare l’auto deplorazione del padre che firma la condanna a morte della propria figlia, nella furia omicida di Canio o Compare Turiddu. La scrittura vocale batte con insistenza sul FA3, ossia sul passaggio, su cui Caruso produce suoni distorti e sguaiati. Il cantante già grida sul FA3 di “A mes tremBLAntes mains”, ma ancora peggiori sono i due FA di “j’avais à TON bonHEUR”, suoni rozzi, volgari e sgraziati, quasi arrabbiati, privi di qualsiasi attinenza col significato del testo e conseguenza solo del non saper cantare sul fiato in quella critica zona della voce. Fuori luogo anche il modo in cui viene platealmente caricato l’accento sul secondo “C’EST moi qui te livre au burreau” (1’20’’). Nel principio della sezione B (“Mais j’entends une voix qui me crie” ecc…) si percepisce la buona intenzione di alleggerire il peso e variare il colore di voce, ma ancora il cantante inciampa sulla nota del passaggio, producendosi in un brutto suono aperto sul FA3 di “SAUvez mois” (1’55’’), suono aperto che impedisce la corretta pronuncia del dittongo “au”. Ancora malamente spalancato verso la A il FA sulla O di ”O mon père” (2’08’’). Superato l’ostacolo di quella nota, poi gli acuti (numerosi LA bemolle e il SIb sul punto clou a 2’25’’), pur con singhiozzi e spinte in cui sembra quasi di sentire il peggior Del Monaco, sono sicuri e incisivi. Nel ritorno alla sezione A si ripetono gli stessi problemi fin qui evidenziati.
A questo punto l’ascolto di Thill serve più che altro come cartina al tornasole per verificare come i passaggi problematici sopra indicati debbano essere invece correttamente eseguiti. E’ da ammirare la pronuncia chiara, scolpitissima, la linea composta, severa, il modo davvero neoclassico di porgere la parola cantata, e infine il bel timbro caldo e nobile. E’ il limpido canto sulla parola di uno Schipa, con una voce però grande e sontuosa. Sul rovescio della medaglia, l’acuto al termine della parte centrale dell’aria (2’20’’) purtroppo è calante di intonazione (gli acuti furono sempre il principale limite del tenore francese), mentre riesce meglio quello inutile, perché aggiunto e non scritto, nelle battute finali. Avrei gradito solo un maggiore ricorso ai contrasti dinamici, indispensabili laddove una stessa frase si ripete uguale due volte di seguito, come di continuo avviene nel brano, rendendo obbligatoria, anche se non scritta, la variazione espressiva.
41 pensieri su “Ascolti comparati: “Rachel, quand du Seigneur”, Enrico Caruso vs Georges Thill”
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Su youtube ci sono varie esecuzioni pregevoli di quest’ aria. Ad esempio quelle di Escalais, Affre, Urlus, Slezak, Martinelli. Io ho trovato questa
https://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=sv4dKPvt_Vg
Per me è notevole, tu che ne pensi?
Non male, emissione non perfetta però, brutte le i, “une voix qui me crIE”, “je tiens à la vIE”.
Interessante questo tenore… A voler far le pulci più che le i, le u acute.. (quand dU seigneur: non è passata. cos’è? un fa? non ho spartito nè tastiera alla mano)
Sì è un FA (qui quasi un fa#, si vede che il diapason è un po’ più alto). Riascoltandolo devo ribadire che l’emissione è piuttosto brutta, la prima frase è mal emessa fin dall’attacco, al di là di quella U, e riconfermo che le i sopra indicate sono davvero pessime, senti come, pur così spinte, gli restino indietro, chiuse, sorde.
Non trovo così pessima l’esecuzione di Caruso.
Trovo rimarchevoli le esecuzioni di Tucker e cognato e infine ottima quella di Schmidt. Forse la più dolente di tutte. Peccato per il tedesco, ma esibisce un legato fluidissimo…
Schmidt sì mi piace per le mezzevoci, ma nel centro fa molti suoni nel naso…
Mah.. secondo me l’è soltanto che purtroppo, porello, aveva proprio una voce orrenda… Però come cantava.
Ma che c’entra? Non mi disturba il timbro in sé, mi disturbano alcune isolate inflessioni nasali… non sto dicendo che è tutto nel naso, dico che alcune volte ci cade, qualche vocale, qualche nota qua e là (non c’è bisogno che stia qui ad indicarle una ad una). E’ una macchia che mi infastidisce molto, non so che farci.
Tra quelli non ancora citati, propongo Nelepp:
http://www.youtube.com/watch?v=GpHMcgtiIK8
Potrei anche star zitto, visto che io e Mancini abbiamo due sensibilità molto diverse.
Ciò che ha scritto contro Caruso mi sembra incredibile. Ma tant’è.
Vero che è un’interpretazione novecentesca, come del resto quella di Thill (il quale si muove su una strada più vicina che lontana a quella di Caruso), ma non so come non si faccia a non commuoversi di fronte a Caruso, e non so come si faccia a non vedere i pregi vocali. Ma tant’è, appunto. Chacun pour soi et Dieu pour tous. Ciao
Pensavo di essere l’unico…
Per me, Caruso è un grande e rimarrà sempre tale per me.
Anche per me. Ma evito di discuterne, per gli stessi motivi enunciati da Grondona.
Fuffa, caro Grondona, aria fritta. Mi spiace risponderti così, ma non posso fare diversamente. Io mi sforzo di individuare nella mia analisi solo gli aspetti oggettivi e pertanto condivisibili da tutti, e per far questo segno gli errori coi minuti ed i secondi, e tu mi rispondi con frasi che non significano nulla, “interpretazione novecentesca”, “Thill si muove su una strada più vicina che lontana a quella di Caruso”, “non so come si faccia a non commuoversi”, dimostrando prima di tutto mancanza di rispetto verso chi ti legge, che delle tue soggettive emozioni non sa cosa farsene. La prossima volta, se non hai argomenti oggettivi da contrapporre ai miei, cerca di astenerti dall’intervenire. Che delusione… devo decidermi a smettere di scrivere.
Mancini capisco che sei un freddo analista,ma il canto è anche emozione,se non provi emozione,non puoi capire il ragionamento di Grondona,non devi smettere di scrivere,devi solo fare entrare un po di calore nelle tue fredde analisi.
Grondona ti ha contrapposto dei ragionamenti ai tuoi,ma tu non sei in grado di capirli,se non cambi punto di vista sul canto
i “ragionamenti” quali sarebbero…?? blabla poco concreto.
guarda Selma mica tutti sono capaci a fare le analisi vocali di Mancini,nessun cantante si salva da queste fredde analisi,che ragionamento puoi contraporre?
l’utilità di queste analisi,e fare capire come si ascolta,e distinguere tra i vari cantanti le loro differenze,però c’è sempre un gusto è un emotività nell’ascolto,e magari certi cantanti riescono a trasmettere pur senza essere perfetti nelle analisi del nostro Mancini.
in Mancini vedo un futuro di un critico professionista,visto la giovane età
“e magari certi cantanti riescono a trasmettere pur senza essere perfetti nelle analisi del nostro Mancini.”
Ma certo!!! Ma non mi sono riferito a questo! Sull´emozione non si può ragionare. È diversa per ognuno. Sui FATTI vocali invece si.
ma dai mancini va lasciato cosi’ com’e’ e’ un buon impallinatore nel tiro al bersaglio…se lo mettessi nella fossa olimpica sarebbero pochi i piattelli che centra :-))
“Io mi sforzo di individuare nella mia analisi solo gli aspetti oggettivi e pertanto condivisibili da tutti, e par far questo segno gli errori coi minuti ed i secondi, e tu mi rispondi con frasi che non significano nulla, “interpretazione novecentesca”, “Thill si muove su una strada più vicina che lontana a quella di Caruso”, “non so come si faccia a non commuoversi”, … La prossima volta, se non hai argomenti oggettivi da contrapporre ai miei, cerca di astenerti dall’intervenire.”
Ha ragione Mancini. Anche se a volte sarà un pò esagerato e polemico – del vero c´è sempre! E vorrei tanto che chi lo critica – o chi critica il corriere in generale – venga fuori con degli argomenti oggettivi e concreti per ragionarci sopra e smetterla di sproloquiare di emozione e gusti personali.
Giusto!
Sarebbe ora!
Io dico una cosa sola. Mi capita spesso che mi scrivano persone che non sono professionisti della mia materia, dal momento che ho pubblicato anche in collane a grandissima diffusione. Trovo sempre, assolutamente sempre, i loro commenti molto interessanti, spesso più interessanti di quelli dei professionisti. La prima ragione è che occorre sforzarsi di andare al di là della cerchia degli specialisti, se si pensa di dire quacosa di importante; ed io, magari senza risultato, mi sforzo di farlo. La seconda ragione è che molto frequentemente gli specialisti non vedono più nemmeno ciò di cui parlano e sono incapaci di pronunciare un giudizio fresco, immediato, penetrante. Qualche volta l’ingenuità dei non professionisti vede più lontano dello sguardo stanco di chi di cose ne ha viste assolutamente troppe. In ogni modo, mi faccio investire volentieri dalla critica, senza pretendere di spacciarla sbrigativamente per “fuffa”.
Marco Ninci
e’ vero. La tua generazione annega davvero nella retorica buonista che ha finito per mettere in trono l’imcompetenza. A furia de voelmose bbbene e di semplici pareri del popolo anche le galline hanno diritto di parola e guai a chi critica e cerca la competenza. Tutto è bbbbello, le api ronzano, il sole splende, siamo tutti amici ma va tutto a rotoli!!! Meglio un eccesso di critica che questo oceano di buona incompeterenza generalizzata che ci ha condotti al capolinea di tutto. Pereira ti scriverà presto!
A parte che quello di Grondona non è affatto un giudizio “fresco e immediato”, essendo lui non certo un neofita ma un appassionato che con la sua cultura di ascolti e le sue letture si è formato una propria soggettiva competenza sul canto. Credi che non mi interessino le opinioni davvero “vergini”, di chi ascolta per la prima volta senza nessun modello o stereotipo nelle orecchie ed esprime un parere libero da preconcetti? Certo che mi interessano, avercene. Purtroppo orecchie simili non se ne trovano, siamo tutti rimbambiti fin dai primi anni di vita con le porcherie che si sentono in tv, alla radio, sui dischi, al bar, al supermercato, ovunque, suoni che corrompono le orecchie e lo spirito. Le scuole poi sono centri di castrazione del libero pensiero, fatte come sono per plagiare le giovani menti dei bambini con la nauseante cultura dominante… Ciò detto, non ho nulla neanche contro un ascolto puramente “emozionale”. Caruso emoziona? E allora? Quando mai l’ho negato? Ha qualche rilevanza la mia analisi su ciò che storicamente è stato Caruso? Dovete smetterla di comportarvi da fan quando leggete ciò che scrivo, piantatela di difendere i vostri eroi ed eroine come se segnalare che anche i grandi sbagliano sia peccare di lesa maestà. E cercate di cogliere anche l’aspetto volutamente provocatorio di queste analisi… a che servirebbe spendere l’ennesimo panegirico su… Caruso, uno dei cantanti più famosi e celebrati di tutti i tempi?! Se proprio volete puntarmi contro il dito, fatelo cercando di confutare nel dettaglio i miei argomenti.
gli ascolti li conoscevo bene ed aggiungo che “la pietra d paragone” è stata scelta proprio perchè prossima a Caruso. Assai differente sarebbe stato se a metro di paragone fosse stato assunto Escalais o Slezak. Un fatto al di là della disamina di Mancini (che condivido e non certo perchè Caruso non mi piace) deve essere chiaro a tutti. Il cantante ra arrivato (empiema ed ascessopolmonare si o no) alla fine della carriera. Cantava un repertorio onerosissimo e non tutto idoneo ai suoi mezzi da 25 anni circa e più di quello che aveva ottenuto non poteva. Se anche fosse campato al massimo sarebbe arrivato a reggere un paio di stagioni ancora ed in pochi titoli (sansone, ebrea, forza). Non per nulla Gatti Casazzi che ragionava con la logica del “si deve andare in scena tutte le sere” era da un po’ che andava cercando i sostituti del tenore partenopeo. Non per nulla Martinelli era al Met da cinque o sei stagioni e Gigli da un paio se non sbaglio. perchè questo va detto Caruso era un cantante che per qualità e per l’amore che gli portava il pubblico del Met non si poteva sostituire con un solo collega. Poi quello che accadde nel dicembre 1920 non mise in moto il meccanismo della successione, semplicemente lo affrettò. Vi è una registrazione (alludo al duetto Belcore/Nemorino) che è spietata nel dire che Caruso era un cantante conl erecite contate. Certo che l’esempio di professionalità di Giulio Gatti Casazza dovrebbe far riflettere sopratutto in questi giorni di post conclave ambrosiano
Giulia, mi costringi a dire questo. Guarda che io sono riconosciuto come uno dei maggiori specialisti al mondo di Neoplatonismo, sia pagano che cristiano.. So quindi bene cos’è la competenza. Ma non ne faccio un feticcio. Come non ne faceva un feticcio Theodor Wiesengrund Adorno, di cui sono noti gli strali contro la divisione del lavoro intellettuale, impersonata da specialisti uno più borné dell’altro. Ma mi sembra che tu abbia capito ben poco del mio brevissimo intervento (che cosa sarà mai la retorica buonista della mia generazione? Mi sembrano parole di pura confusione), presa come sei dalla furia che ogni ia parola di provoca. Surtout, Messieurs, pas de zèle, raccomandava Monsierur de Talleyrand.
Ciao
Marco Ninci
scusa Ninci in origine avevo pensato ad una battuta ironica ossia se il Neoplatonismo lo servivi solo con olio e limone oppure se lo ripassavi in padella con aglio ed acciuga, ma avrei sortito nella migliore delle ipotesi qualche segno rosso e blu per il MIO PESSIMO ITALIANO (che, però, leggi) perchè l’ironia sul tuo tronfio incipit non l’avresti capita. Ti invita rileggerlo: starebbe perfettamente in piedi, come italiano, anche senza la autocelebrazione. E quand’anche quello che assumi fosse vero (non ho i mezzi, il tempo e la voglia di verificarlo e quando Ti leggo sono lietissimo di essere stato dissuaso dal seguire il corso di studi di lettere classiche) che significato e che risposta costituisce. Se puoi spiegarlo a questo povero contadino bergamasco che è ben lieto di dire, come diceva un suo conterraneo, “la mia persona conta niente” te ne sarei molto molto grato.
Ma Platone ed i Neoplatonici sulla commedia e sull’ironia avevano la stessa opinione che viene messa sulla bocca di Jorge in quello che tu per certo consideri un romanzo rosa?
ciao
dd
E’ molto semplice, carissimo Donzelli. Quello che dico non lo puoi verificare. Dovresti conoscere Dominic O’meara, Bernard Collette, Jean-Marc Narbonne, Kevin Corrigan, John Dillon, Lenka Karfikova e molti altri. In caso contrario, è difficile fare verifiche. Non sono stato affatto tronfio. E’ la pura verità. Del resto, Giulia mi aveva detto che la mia generazione ha messo in trono l’incompetenza. Le ho risposto che non mi pare così. Ma ovviamente non si possono dimostrare né la mia tesi né la sua.
Ciao
Marco Ninci
accidenti, la tua generazione è quella che ha liquidato il canto come arte a suon di personalità, dizione, espressione, emozione, presenza scenica…etc,, categorie contraddittorie e spesso anche extrartistiche oltre che extravocali. su quel terreno si sono consumate tutte le contraddizioni possibili, e comunque la liquidazione delle capacità uditive, quindi canore.
beh, pronunciare bene non è un optional… il vero grande canto non può che essere un canto ottimamente pronunciato, scolpito, nitido… né mi pare che viviamo un’epoca di dizioni chiare e comprensibili, tant’è che tutti i teatri ormai adottano i sottotitoli… e pure l’espressione, non è certo opzionale… e neppure in questa mi pare brillino le ultime generazioni di cantori…
Caro Mancini, io non dubito che Grondona sia una persona competente, con una grande messe di ascolti. Sei tu invece che lo tratti da incompetente, perché ciò che dice è solo fuffa e non si adegua ai tuoi criteri oggettivi. Non ho fatto che sviluppare quello che dici tu e che, secondo me, anche prendendo per buoni i tuoi parametri, è ben poco convincente.
Ciao
Marco Ninci
Thill, Thill, Thill………….thiiiiilllll !
Confesso che ho scoperto la bellissima aria di Eleazar proprio ascoltando l’incisione di Caruso e, quindi, il commento può essere un poco partigiano. Provo, comunque, a fare alcune considerazioni.
Come già scritto da Donzelli, Caruso era a fine carriera. L’incisione proposta è, se non sbaglio, del settembre 1920 ed il grande tenore napoletano sarebbe morto pochi mesi dopo. L’incisione di Thill è del 1930, cioè coglie il cantante francese nel periodo migliore. Inoltre Thill era madrelingua e questo sicuramente gioca a suo favore. Ciò premesso, le osservazioni di Mancini sono corrette e, in larga parte, condivisibili, anche se non definirei “rozzi, volgari e sgraziati” i fa naturali emessi da Caruso (altrimenti come definire, che so, quelli del Di Stefano post 1957, dopo neppure 10 anni di carriera ? O le analoghe note emesse da Carreras nella stessa aria facilmente reperibile sul tubo ?) Ciò che, invece, mi permetto di sottolineare è che, nonostante i difetti, Caruso presenta ancora valide frecce che rendono, in più punti, la sua incisione superiore a quella di Thill. Ad esempio, la ripresa della struttura A (l’aria, come osserva Mancini, è strutturata ABA). Si tratta di un do3 coronato in cui Thill esegue una smorzatura dilettantesca ed insignificante mentre Caruso, pur con la voce appesantita, offre una prova, a mio parere, superiore. Ancora i la bemolle di Caruso saranno anche “spinti” ma sono molto più timbrati e squillanti di quelli di Thill dei quali quello sull’ultimo RachEl è veramente brutto, stirato e stonacchiato, conseguenza del fatto che Thill, a mio parere, prepara il passaggio di registro in modo incompleto.La precarietà dell’emissione del FA3 (presente in più punti del brano) nel caso citato (salita dal FA3 al la bemolle3) porta all’emissione sforzata, calante e sbiancata dell’acuto.
L’imperfetta tecnica del passaggio di registro compromette talmente gli acuti che il si bemolle alla fine della sezione B presenta i difetti già sottolineati da Mancini, rendendo il confronto con Caruso quasi impietoso. Fra l’altro Caruso è superiore anche subito dopo sostendendo ottimamente il mi bemolle grave (Mib 2) che è nota piena e timbrata e molto meglio saldato al registro centrale e acuto di quella di Thill che emette una nota smunta e vuota, che poco ha a che fare con il bellissimo registro centrale.
Concordo poi con Cotogni. L’incisione di Nelepp, ancorchè in russo, è veramente ragguardevole.
Saluti
Probabilmente la fama di un cantante tiene conto anche dei suoi difetti evidenziando i quali normalmente non dovrebbe cambiare nulla o quasi; così in un recente articolo di questo CdG la Muzio e’ rimasta “divina” malgrado alcuni limiti evidenziati; invece qui e nei precedenti confronti con De Lucia, un difetto credo che si ripercuota troppo su un’intera interpretazione e sul cantante stesso. Dopotutto da tempi lontani fino a non tanti anni fa i giudizi sui cantanti mettevano al primo posto o quasi le qualità espressive, oggigiorno a mio parere trascurate o travisate (come nel caso del Minuit Chretien cantato da Plancon scambiato per marcia funebre). In quanto alla voce scura di Caruso, senza di essa forse Caruso sarebbe rimasto un cantante qualsiasi e comunque Massenet, se non sbaglio adattò a Battistini una parte da basso ed una da tenore non preoccupandosi di “regole” sui timbri o di trasposizioni. Inoltre se in Fedora Caruso è stato criticato proprio dove per altri critici c’era un valore aggiunto, qui è criticato e considerato fuori parte (tanto da sembrare Canio o Turiddu) laddove per altri è intensamente drammatico (cosa che io non mi sento di dire di Thill). Se Caruso difetta nel passaggio è un difetto e gli rimane anche se forse in questo caso specifico in Italia se ne accorgerebbero in pochi e in Francia penserebbero a un errore di pronuncia. Condivido meno la denuncia di suoni sguaiati, rozzi, volgari, berciati…e oltretutto privi di qualsiasi attinenza col significato del testo, anche perché potrebbero essere funzionali all’interpretazione; così per me nel secondo “C’est moi” c’è strazio e forse risentimento verso se stesso, nel “Sauvez moi” implorazione, nella parte finale canto particolarmente sofferto. Comunque ho trovato questa recensione di qualcuno più esperto di me, la ripropongo (tradotta dal francese), non so quanto sia giusta ma è diversa: “La grande qualità intrinseca di questa interpretazione è il colore emozionale della voce di Caruso. Ciascuno dei sentimenti del vecchio Ebreo è meravigliosamente espresso dal tenore che rendendosi conto che il compito dell’arte è di rendere l’idea accessibile … dà alla sua voce dei colori diversi. Notiamo la squisita mezza voce di “Rachel, quand du Seigneur” e di “Ah! Rachel!” e le possenti esplosioni di dolore sui LA bemolle3 e sui SI bemolle3. Osserviamo la respirazione saccadée (?) del cantante, a partire dalla terza strofa, per esprimere lo stato affettivo di Eleazar e per rendere l’esecuzione più convincente…Caruso non segue lo spartito su “O mon père, o mon père, épargnez votre enfant” , e su “moi qui te livre au bourreau”, ma osserva dei cambiamenti tradizionali. Il SI bemolle3 su ”moi” e i LA bemolle3 , SOL3 e FA3 su “au bourreau” accentuano in effetti l’impressione di disperazione …le interpretazioni anteriori…o posteriori…non sono che pallide repliche…” . Riporterei anche una recensione di Celletti ma è un po’ lunga; riporto la seguente del 1893 su De Lucia (che apprezzo) al Met a dimostrazione che le cattive serate non capitavano soltanto a Caruso: “Don Ottavio era il Signor De Lucia, un tenore che ha una rimarchevole facilità nel passare dal molto buono al molto brutto. La sua prestazione di Don Ottavio è stata dell’ultima varietà. Il Dr. Hans Bulow una volta disse che un tenore non è un uomo, ma una malattia. Egli deve avere sentito il Signor De Lucia cantare Dalla sua pace”.
Infine penso che lo scontro sia tra dischi; bisognerebbe sentire in teatro, tra l’altro John McCormack nominato in questi articoli incideva vicinissimo all’imbuto di registrazione quando Caruso stava a quasi due metri.
Ho riflettuto molto su questo ascolto. Conoscevo bene la versione di Caruso che mi ha sempre affascinato perché se é vero che venne registrata in fase declinante é talmente carusiana che viene da me amata quanto le sue incisioni più leggendarie. Anche questa volta la pur interessantissima autopsia di Mancini non mi fa cambiare idea emi fa concludere con una considerazione. Ci saranno altri tenori che potranno arrivare a cantare questa romanza come Thill ma nessuno come Caruso. Sembra un pilota di formula uno talmente grande da non sembrare mai esistito. Questa capacità di colorire legare e controllare (visto che di espressività e interpretazione non sarebbe corretto discuterne qui) dal mezzo forte in su e cioé col motore sempre in coppia ha dell’incredibile (almeno per le voci maschili tenuto conto che qualche nostra beniamina aveva coppia degna di una supercar)
Mahh!
In fine , cosa vorresti dire con sti’ motori?
E poi, chi ti dice che qui’ uno non possa
parlare di interpreti e di espressione?
Ti piace piu’ Caruso? Bravo!
Mica e’ un peccato mortale, sai?
Io preferisco Thill e lo dico.
Ciao, Lauda.
Beh, Thill è OGGETTIVAMENTE migliore. Poi, uno può preferire Caruso, ma è una preferenza soggettiva, che denuncia una sensibilità d’ascolto ancora ferma alla bassa emozione, all’istintività più inconsapevole. Queste mie analisi servono proprio per andare oltre un ascolto di questo tipo.
no miguel per me i grandi tenori (ma anke le opere d verdi e wagner) sono come i figli: piezz ‘e core…come fai a preferirne uno all altro?
Albertone caro.
Come faccio? Ascolto e decido, facile no?
Buona notte.
Non so se Serafin conosceva questa interpretazione di Caruso, ma conosceva Caruso dal vivo, e tutti sappiamo che lo preferiva a qualsiasi altro tenore con il quale era entrato in contatto; non credo, scusate, che sia imputabile di “sensibilità d’ascolto ancora ferma alla bassa emozione, all’istintività più inconsapevole”; mentre, come ho detto in altro post, di Caruso Arrigo Boito diceva che la sua voce aveva qualità che toccano il cuore e Strauss che cantava l’anima della melodia. Se Caruso emozionava non significa che non avesse difetti ma se Verdi scriveva della Malibran ”Lo stile del suo canto non era purissimo; non sempre corretta l’azione, la voce stridula negli acuti!. Malgrado tutto artista grandissima, meravigliosa” forse, era interessato più a cantanti artisti (in grado ad esempio di cogliere l’anima di una melodia) che a cantanti tecnicamente perfetti.
Mi associo. Si può aggiungere che Bruno Walter loda Caruso in più punti della sua autobiografia “Thema und Variationen” e che Puccini lo preferiva a qualunque altro tenore, come testimoniano numerose lettere.
credo Pasquale che Mancini come critico sia ancora incompleto. Non basta cogliere la giustezza d una nota o la resa del fraseggio. Ci sono questioni piu’ sottili. Pensa al concetto d densita’ d un’emissione in rapporto alla consapevolezza o meno dell esecutore e sempre in rapporto alla consapevolezza del cantante la sua capacita’ d colorire (lasciamo quindi da parte l accento che e’ dote piu naturale) Ebbene in Caruso s riscontra e si coglie la sua capacita’ d autoleggersi come se fosse l intellettuale piu’ dotato al mondo