Wagner Edition – Das Liebesverbot, oder die Novize von Palermo

In un’epoca in cui  il desiderio di esplorare ogni anfratto della produzione dei compositori più illustri (desiderio spesso propiziato da ragioni di ordine commerciale e magari ministeriale) invoglia alle più capillari e meno indispensabili riscoperte e riproposte, la seconda opera di Wagner, e prima a essere messa in scena, attende ancora, a dispetto di sporadiche riprese, un allestimento capace di restituire la partitura all’attenzione del pubblico, se non al repertorio, pratica, quest’ultima, in avanzato stato di decadenza, per non dire di smantellamento.

Neppure le celebrazioni per il bicentenario della nascita di Wagner hanno saputo indurre i teatri di grido a interessarsi di questa composizione giovanile che, in maniera non dissimile dal verdiano Giorno di regno, conobbe un deciso fiasco alla prima rappresentazione (complice un cast raccogliticcio e poco preparato) e venne di fatto rinnegata dall’autore. La Collina, ça va sans dire, non poteva e tuttora non può accogliere una commedia scollacciata di ambientazione medievale, desunta senza eccessiva finezze dallo shakespeariano Misura per misura, sorprendente anche perché opera di un autore che giudicava poco risolto dal punto di vista drammaturgico, oltre che moralmente censurabile, quell’autentico capolavoro che è Così fan tutte.

L’opera, in sé, non è certo all’altezza delle creazioni mature dell’autore, ma non merita neppure i crucifige indirizzatile da molti illustri musicologi, spesso più interessati a non mettere in discussione le opinioni dei compositori (e che cosa avrebbero fatto, posti in altro campo, ad esempio, di fronte all’Eneide?) che non a esaminare lucidamente le loro creazioni e le questioni che ne derivano.

Composta da un Wagner che era stato di fresco nominato direttore musicale del Teatro di Magdeburgo, Il divieto d’amare, o la novizia di Palermo è in tutto e per tutto un’opera di apprendistato musicale, che elabora, senza eccessiva originalità ma con innegabile entusiasmo e rispettosa attenzione, modelli tedeschi, francesi e italiani. La scrittura vocale delle parti principali, Luzio e Isabella, richiama tanto Il flauto magico (nella parte del tenore) quanto Fidelio, per alcuni veementi interventi della primadonna, che peraltro, quando si trova a dover fronteggiare il lascivo tiranno Friedrich, non reagisce come una Leonore rediviva, ma sa essere seduttrice e manipolativa al pari di un’altra Isabella, quella dell’Italiana in Algeri. Influenze rossiniane si possono individuare anche nella ricchezza e complessità degli ensemble, su tutti quello dell’introduzione e il finale primo, laddove la conclusione dell’opera richiama ancora una volta, per il tema della mascherata e delle molteplici menzogne che si sovrappongono, tanto Le nozze di Figaro quanto Don Giovanni, oltre che, naturalmente, proprio Così fan tutte (Isabella e l’amica Mariana duettano, alla sortita, procedendo per terze parellele e inserendo languide fioriture, che rimandano a quelle delle disinibite sorelle ferraresi). La stessa ambientazione siciliana (il dramma di Shakespeare si svolge a Vienna) rimanda direttamente a una delle opere francesi maggiormente apprezzate da Wagner, Zampa di Hérold, e rinvia a quegli stilemi mediterranei, cari all’opéra-comique, che trovano ad esempio nel Fra Diavolo  canonica applicazione. E questa contrapposizione tra rigidità teutonica e lascivia mediterranea è lungi dal costituire un hapax nel corpus wagneriano: tornerà, sia pure radicalmente ripensata, nella seduzione esercitata da Kundry nel giardino fatato di Klingsor.

Benché l’invenzione musicale non possa in linea di massima paragonarsi a quella della maggior parte delle opere successive, Il divieto d’amare contiene pagine pregevoli (su tutte l’Ouverture, che evoca la follia del carnevale con un folgorante incipit affidato alle percussioni) e meriterebbe una maggiore attenzione da parte degli addetti ai lavori, se non altro perché le richieste vocali sono ben più abbordabili rispetto a quelle tipiche del Wagner maturo. Non che questo costituisca un problema, o anche solo una questione di minima rilevanza, per le sempre illuminate avanguardie poste a difesa, anzi a presidio, dei cosiddetti grandi teatri.

Gli ascolti

Mozart – Die Zauberflöte

Atto I

Dies Bildnis ist bezaubernd schönHeinrich Knote (1909)

Beethoven – Fidelio

Atto I

O wär ich schon mit dir vereintEleanor Steber (1944)

Auber – Fra Diavolo

Atto I

Voyez sur cette rocheMarcel Wittrisch (1931)

Hérold – Zampa

Atto III

Pourquoi trembler Mattia Battistini (1906)

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