La scelta di Rosetta Pampanini nei soprani pre-Callas può essere letta come una risposta a Claudia Muzio. Non che il soprano ambro-veneto (nata a Milano, ma veneta di origine) possa essere un’altra Muzio, ma Rosetta Pampanini rappresenta tutto ciò che Claudia Muzio non fu. In primo luogo la voce: quella di Rosetta Pampanini era davvero splendida, argentina e vibrante, spontaneamente estesa, femminile, calda e dolce; come tonnellaggio, anche nella prima fase di carriera, qualcosa di più di un soprano lirico e nella seconda, dopo il 1935, un lirico spinto con acuti sonori e penetranti tali da mettere in difficoltà i suoi abituali partner che erano Merli, Pertile e Gigli. Una registrazione fortunosa del finale di Chenier 1937 la vede sovrastare Beniamimo Gigli per squillo potenza ed ampiezza del registro acuto e lo stesso accade con Aureliano in un duetto della Boheme (abbassato di mezzo tono, ma ineguagliato per splendore vocale del soprano e espressività del tenore). Solo che per tutta la carriera la Pampanini giocò sempre a far meno di quel che era. Non è una battuta ma oggi ad un mezzo vocale come quello della Pampanini si affiderebbero il Verdi pesante, Turandot (e, invece cantava Liù), Fanciulla, Tosca (che affrontò pochissime volte). Per i venticinque anni di carriera, invece, il repertorio (limitatissimo) del soprano di Corbola fu Boheme, Butterfly, la Liù di Turandot, Chenier, Iris, Manon Lescaut, Nedda, Desdemona di Otello, Margherita di Mefistofele e la Elsa del Lohengrin. Agli inizi qualche Micaela e qualche Margherita del Faust, mai Violetta , che pure era l’opera del soprano lirico a qual tempo (basti pensare alla Dalla Rizza o alla Muzio medesima) e nella seconda fase della carriera qualche Tosca e qualche Fedora (in teatri secondari, ma con partner di eccezione come Aureliano Pertile ad Asti nel 1933) ed un approdo fortunoso a Forza del destino. Repertorio limitato e dettato da una ben precisa scelta di non stancare l’organo vocale e dalla cognizione dei propri limiti di attrice ed interprete. Nulla ebbe della cantante attrice Rosetta Pampanini (“la Rosetta“ per il pubblico della Scala) e fu saggia nell’evitare ogni confronto con le colleghe, che al tempo erano, appunto, l’ incarnazione della cantante attrice come la divina Claudia, o Giuseppina Cobelli e, su scala più nostrana, Gilda Dalla Rizza, tanto meno, nonostante la quantità vocale, affrontò il repertorio drammatico da Verdi, che imponevano il confronto con lo stile ed il magistero tecnico della Arangi-Lombardi o con la dote straordinaria e “lo slancio inconsulto” di Bianca Scacciati. La lezione della Pampanini è proprio questa: il cantante, il grande cantante perché tale fu la Pampanini, è un mix di dote vocale e di capacità interpretativa e da questo equilibrio nasce appunto la grandezza o almeno la rilevanza. Certo che nel mix offerto per venticinque anni dalla Pampanini in tutti i teatri italiani (anche quelli di provincia come Livorno o Vigevano) al Covent Garden, nei grandi teatri Sudamericani (Buenos Aires e Rio de Janeiro), francesi (la parigina Opéra Comique come il Teatro del Casinò di Vichy o il Grand-Théâtre di Bordeaux) ed anche tedeschi la dote vocale era preponderante rispetto all’interprete.
Come tutti i soprani del tempo la Pampanini, talvolta, apriva un poco le note al centro. Non sempre, il che fa pensare ad una scelta “interpretativa” e perché praticata talvolta e perché la zona medio alta è (anche nelle ultime registrazioni) facile e squillante e suoni aperti e mal messi per sistema nel medio grave pregiudicano estensione e duttilità. Ad esempio abbondano suoni aperti per rendere l’idea dell’età e dell’innocenza del personaggio, nella Butterfly (edizione integrale) mentre nell’esecuzione dell’aria di Adriana “Poveri fiori” l’emissione è controllata e castigata e l’interprete, pur nella semplicità, emerge per facilità nei piani e nei pianissimi. Quanto a castigatezza d’accento e linea di canto il duetto Nedda-Silvio è esemplare, smentisce quanto si dice tradizionalmente sul repertorio verista e sul gusto verista e nonostante la voce importante della protagonista non vi è nulla di matronale né tanto meno di volgare e carnale nel personaggio, insomma una realizzazione esemplare anche perché il personaggio non ha orizzonti interpretativi illimitati. E che gli orizzonti interpretativi e le idee fossero semplici, ma al tempo stesso efficaci è evidentissimo dall’Ave Maria di Otello. In primo luogo la dizione chiarissima, scolpita, mai esagerata e volutamente ricercata, poi la linea di canto rispettosa delle indicazioni e del legato e l’espressione semplice come compete all’anima semplice ed ingenua di Desdemona. E che l’idea di esprimere semplicità fosse un topos interpretativo della Pampanini emerge anche da una semplice “ninna nanna” dove non c’è altro ( si fa per dire) che qualità vocale e legato. Il legato è un aspetto del canto della Pampanini, che va rilevato. Ci sono alcune frasi “scomode” nel racconto di Maddalena come “quando ad un tratto un livido bagliore” oppure in quello di Tosca “quante miserie conobbi aiutai”, che mettano in difficoltà molte e famose cantanti. Nell’esecuzione della Pampanini la frase scomoda ( per la necessità di accento scandito e fraseggio, teso su alcune note del passaggio superiore) non esiste o non è tale, non intacca linea musicale e legato ovvero non sconnette la linea musicale prevista. Poi si potrà anche obiettare che altre Tosche abbiano esibito un timbro ancor più sontuoso e soluzioni interpretative assai più varie, ed i nomi sono sempre gli stessi la Tebaldi, la Callas, l’Olivero. Mica tanti. L’esecuzione del “Vissi d’arte” dà all’ascoltatore ulteriori spunti di riflessione. La registrazione è del 1939 la cantante era in carriera da più di venti ed, infatti, il timbro è meno argentino di quello delle registrazioni di dieci anni prima e talvolta non sono perfettamente a fuoco i suoni, che cadono sulla i e sulla e (ne ridean più belli), ma al “diedi fiori agli altari” la Pampanini esegue non previsto ( e credo inventato dalla Carelli) rallentando e pianissimo, che è un colpo di teatro come pure alla chiusa rispetta alla lettera la tradizionale smorzatura sul labem “perché perché Signore” esibendo una freschezza duttilità e dolcezza vocale invidiabili tenuto conto di età e di carriera. E’ paradossala ma l’ascolto più deludente perchè datato nel gusto della Pampanini è proprio il personaggio di Cio-Cio- San che fu il personaggio della Pampanini, quello del debutto scaligero e della fama. I suoni aperti e bamboleggianti per rendere la quindicenne, certi inserimenti non previsti dallo spartito segnano in negativo la prestazione anche se la saldazza e facilità con cui la Pampanini affronta e rende i momenti vocalmente più ostici (sezione conclusiva del duetto con Sharpless e suicidio) fanno immaginare il motivo di tanta celebrità condivisa ed indiscussa.
Gli ascolti
Rosetta Pampanini
Puccini
Manon Lescaut
Atto II
In quelle trine morbide (1926)
La Bohème
Atto I
Sì. Mi chiamano Mimì (1926)
O soave fanciulla (con Aureliano Pertile – 1926)
Tosca
Atto II
Vissi d’arte (1939)
Turandot
Atto I
Signore ascolta (1930)
Atto III
Tu che di gel sei cinta (1930)
Verdi
La forza del destino
Atto IV
Pace, pace, mio Dio (1930)
Otello
Atto IV
Ave Maria (1926)
Wagner
Lohengrin
Atto I
Sola ne’ miei prim’anni (1940)
Giordano
Andrea Chénier
Atto III
La mamma morta (1924)
Atto IV
Vicino a te s’acqueta (con Beniamino Gigli – 1937)
Catalani
La Wally
Atto I
Ebben? ne andrò lontana (1926)
Mascagni
Iris
Atto II
Un dì (ero piccina) (1926)
Leoncavallo
Pagliacci
Atto I
Nedda! Silvio! A quest’ora (con Gino Vanelli – 1930)
Cilea
Adriana Lecouvreur
Atto IV
Poveri fiori (1932)
Benzi
Ninna Nanna (1937)
Grande interprete la Pampanini, anche se il titolo della rubrica ne potrebbe sminuire la grandezza. Il dopo callas a mio avviso ha i suoi lati positivi, nel recupero della drammaturgia primo ottocento e nella riscoperta di meravigliosi capolavori dimenticati del belcanto. Ma Il post callas ha anche inquinato una idea di cantate della tradizione, di voci legate ad un repertorio a loro congeniale, nel quale davano il massimo, senza uscire dal recinto delle loro possibilità. Il “post callas” invece, è degenerato oggi in voci che “cantano tutto”, senza approfondimenti adeguati, con il rischio di distruggersi vocalmente in poco tempo.E’ dunque il lato malato del callassismo, cantare tutto, superficialmente e il più delle volte male, e ovviamente durare poco. Una cantante come la Pampanini è invece in linea con le grandi correnti interpretative dell’epoca, ma la grandezza della cantante e del mezzo vocale, la rendono senza dubbio un unicum , è questo al di là del pre o post callas, almeno che tale classificazione sia meramente cronologica. La Pampanini è una delle icone del soprano lirico di primo 900, dal timbro a tratti chiaroscuro, fresca ma calda quando serve, sonora e dotata di un settore acuto potente ed avvolgente. da un fraseggio tenue ma sempre vibrante e sostenuto, nonostante dovesse controllare una massa di voce non indifferente,. Peccato che le troppe Butterlfly ne abbiano mutato in mezzo, perdendo alcune caratteristiche degli inizi, anche se rimase pur sempre una voce di riferimento, che ancor oggi incanta per la bellezza e la superba pastosità della sua voce.
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