Ascolti comparati. “Meco all’altar di Venere”: Gregory Kunde e Carlo Bergonzi.

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Il debutto felsineo di Mariella Devia offre l’occasione di riflettere sulla vocalità del protagonista maschile dell’opera belliniana, sposo infedele che torna in extremis – è il caso di dirlo – al primo amore. Poi si può discutere se quella del Proconsole sia autentica scelta e corrispondente verace pentimento, e non già un rassegnato cedere, faute de mieux, al destino che l’ha consegnato alla furia della vendicativa sacerdotessa. Adattarsi alla parte, scritta per il principe dei baritenori Domenico Donzelli, è quello che fanno o almeno cercano di fare molti tenori, in massima parte di ascendenza belcantistica, che nelle fasi estreme della carriera ricercano ruoli che siano in primo luogo di contenuta durata (Pollione canta di fatto un’aria, un duetto, un terzetto e un concertato) e con limitate incursioni all’acuto. Quello che questi cantanti, quasi tutti provenienti dai ranghi dei contraltini, ignorano o fingono di ignorare, è che, proprio perché la parte “batte” costantemente al centro e nella zona del passaggio superiore, è necessario che la voce sia perfettamente in ordine dal sol grave al sol acuto, ottava in cui il tenore deve non solo cantare ma accentare, fraseggiare, in una parola, dire, con potenza di suono e ampiezza vocale adatte al ruolo e all’alta tensione drammatica, che regolarmente si accompagna alla presenza in scena del “fatal Romano”.

In assenza di un’assoluta saldezza nel registro medio e medio-acuto si avranno prestazioni come quella di Gregory Kunde, negli ultimi anni arruolato addirittura nella schiera delle voci verdiane (anche se la recente esperienza dell’Oberto scaligero ci rammenta che la definizione lascia, oggi come oggi, il tempo che trova, e quindi tale da volgere decisamente al brutto) e lanciato nei più fantasiosi cimenti del grand-opéra (e non certo come Léopold, né tanto meno come Bertram). L’esecuzione si segnala per i molti suoni strozzati e rauchi (fin dalla prima frase alle parole “Adalgisa in Roma”), la cavata da opera comica settecentesca e l’assenza di un legato degno di questo nome, mentre il do di “eran rapiti i senSI” è non solo calante, ma emesso omettendo completamente la “S” (il cantante pronuncia “sen-I”) nel tentativo – ben poco riuscito – di propiziare l’emissione dell’acuto con il ricorso alla sola vocale “I”, usanza preclara (si fa per dire) dei contraltini che oggi vanno per la maggiore. Vedi il divo Florez. Nelle frasi in cui Pollione descrive la profetica e funesta visione, Kunde non sfoggia ampiezza né tanto meno varietà di accenti in grado di comunicare l’orrore del sogno e il turbamento del personaggio, mentre del tutto risibili, per il carattere e ancor più per l’esecuzione, sono le variazioni inserite tanto alla ripresa del tema principale (“Più l’adorata vergine”) quanto alla susseguente cabaletta, mentre lungo tutto il brano l’arte direttoriale del filologo Fabio Biondi impone, a guisa di basso continuo, la presenza di un fortepiano capace di evocare funesti scenari da music hall.

Autentico lenimento a questa piaga vocale e interpretativa è il sicuro mestiere, la seria e onesta preparazione musicale di Carlo Bergonzi, che, avvezzo al Verdi più oneroso, confessava di aver trovato in Pollione una delle maggiori “grane” della propria carriera. A parte l’omissione del già richiamato do e l’inserimento in chiusa di un non adamantino si bemolle, l’esecuzione del tenore di Vidalenzo è esemplare per il rispetto delle indicazioni dinamiche ed espressive (su tutte quella di “legato” all’inizio del Moderato “Meco all’altar di Venere”), la capacità di utilizzare i colori per diversificare nella maniera più opportuna i vari passaggi (si ascolti ad esempio l’improvviso “piano” e il raccoglimento della voce su “udia d’Imene i cantici”, passaggio che evoca l’estasi del sospirato connubio), la saldezza e omogeneità della voce anche nelle discese al grave (“un poter maggior di loro” e più ancora, nella prima parte della cavatina, “echeggia in fondo al tempio”, frase, quest’ultima, sulla quale Kunde è costretto a ricorrere a un trasporto all’ottava superiore, senza peraltro riuscire a sortire risultati apprezzabili). Non meno meritevole di elogi risulta il direttore, che alcuni critici, anche illustri, amano sbertucciare con iterati riferimenti alla sua qualità di marito di primadonna, non sapendo o non volendo ricordare come, in assenza di quel marito e soprattutto di quel direttore, probabilmente non sarebbe esistita alcuna primadonna, o almeno non agli stessi livelli e per un intervallo temporale così lungo. Emergono da questo ascolto l’intenzione e la capacità, rare in ogni tempo e non solo fra le bacchette di fama e prestigio discografico, di proporre una lettura che valorizzi i pregi e più in generale le peculiarità del solista di canto, anziché un’interpretazione che “guidi” l’esecutore a realizzare il parto del (presunto) demiurgo del podio. Si ascolti ad esempio come l’orchestra raddoppi con discrezione e sottolinei implacabilmente la frase “Norma così fa scempio d’amante traditor”, che Bergonzi scandisce “con voce cupa e terribile” e congruo crescendo, realizzato mediante un calibratissimo controllo del suono.

 

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67 pensieri su “Ascolti comparati. “Meco all’altar di Venere”: Gregory Kunde e Carlo Bergonzi.

      • E perché mai troll? Suvvia, un po’ di sportività. Fate le pulci a tutti, soffrite che qualcuno le faccia a voi… spero proprio che pubblicherete questo messaggio. E comunque, caro Tamburini, lei migliora, migliora: almeno non ha parlato del do della cavatina di Pollione come di un acuto “di tradizione” come in un’altra memorabile occasione…

        • “Con il termine troll, nel gergo di internet, e, in particolare, delle comunità virtuali, si indica una persona che interagisce con gli altri utenti tramite messaggi provocatori, irritanti, fuori tema o semplicemente senza senso, con l’obiettivo di disturbare la comunicazione e fomentare gli animi”. http://it.wikipedia.org/wiki/Troll_(Internet)

          Lo pubblichiamo eccome, il tuo messaggio. Esemplifica alla perfezione la definizione sopra riportata.

          • Beh, non è colpa mia se ogni volta che uno degli inesorabili censori apre metaforicamente bocca ne escono strafalcioni ed errori…

          • Aggiungo che (anche) dal numero dei troll si misura la popolarità di uno spazio virtuale. Più un sito è frequentato, più vi proliferano queste sanguisughe della conversazione virtuale. In fondo, è pur sempre meglio del proliferare di ragnatele, che caratterizza certi siti ex di moda.

  1. Gregory Kunde: voce vecchia, con noiosissime parti recitative e in generale dove è richiesto accentare bene. “Meco l’altar di venere” è cantato secondo me decorosamente fino all’acuto, poi ciao ciao. Brutte le variazioni nella ripetizione, e il canto di Kunde in zona centrale mi sembra manieratissimo come se fosse in perenne sforzo e talmente è la lentezza di certi attacchi che sembra glissare continuamente – ogni tanto stona.
    Voce probabilmente dissimile dal baritenore quale Donzelli doveva essere.

    Bergonzi in stato di grazia: bellissimo accento, voce, proiezione!

  2. Bergonzi, che in alcuni ruoli verdiani rimane di assoluto riferimento (Riccardo e Radames) mi sembra che qui, più ancora che nel suo discutibile Manrico, manchi terribilmente di testosterone. Inoltre, alcuni portamenti strascicati mi sembrano veramente fastidiosi. Molto meglio di lui , in tal ruolo, Del Monaco e Corelli.
    @Tamburi non farti coinvolgere da provocazioni risibili oltre che sciocche. Ciao

  3. Mah, ma non ho capito lo spirito della nuova rubrica…scusatemi.
    Olivero, e per giunta in Manon Lescaut, confrontata a Te-Kanawa….e vabbe’! Comunque una canta miolto bene, l’altra ha bel suono.
    Ma Bergonzi, che e’ tra i tre migliori Pollioni del dopoguerra, confrontato a quel Kunde li’, boh, non capisco…
    Non e’ un rimprovero eh? Sara’ una lacuna mia, ma non capisco, metti su’ qualcuno che qualche buona dote ce l’ha, no? E fai il confronto.
    Quel Kunde li’, gia’ da “Svanir le voci” e’ un disastro di metodo e con una vociaccia sbadigliata, chiedo scusa ma non capisco.
    Non rispondermi male per favore, Tamburo.

  4. @griso…grisolino….grisolino…….anche le lettere private ai miei autori, quel tuo far domande e proposte…….maddai. Io capisco che ci fai da revisore bozze perchè il tuo sito ti lascia molto tempo libero tanto è deserto ma insomma……..non è la prima volta. Che fai, sputacchi in pubblico e corteggi sottobanco? Con te non ci viene nessuno …..e rassegnati, leggi e non rompere. Se scrivi di quacosa di interessante magari facciamo anche due risate…….hahahhahh……le letterine private!…….rob de matt

  5. Pollione è una parte rognosa da cantare, probabilmente fin da quando è stata scritta, figurarsi oggi, che certi cantanti sono come le specie in via di estinzione.
    Forse avreste ragione un po’ tutti, se non ci fosse di mezzo Kunde.
    L’ entrata di Del Monaco nell’ incisione del ’55, con Callas, Stgnani e Serafin, è sparata, ma almeno non è asessuata come per molti oggi.
    Corelli è un po’ stentoreo – il mezzo che aveva era fatto così – però sa bene quel che fa.
    Carlo ristoratore post cantum, e anche quando cantava, per indiscutibili meriti vocali e tecnici, è un vero magistero.
    Kunde lì in mezzo mi lascia perplesso : nessuno degli altri è perfetto, ma i numeri che hanno a disposizione sono di ben altra stoffa.
    Non ricadiamo nello stesso pantano della Norma devi-ata, altrimenti poi arrivano i trolls e non ne usciamo più.
    Grazie.

  6. Un cantante che ha trascorso la carriera tra Almaviva, Ernestini e Nemorini che si mette a fare Pollione, oltretutto quando gli sono rimasti due scudi di voce, è soltanto ridicolo, grottesco e penoso; quindi non vale la pena neanche mezza disamina di questo scempio. Bergonzi non è qui nel ruolo a lui più congeniale, ma la maestria c’è tutta e di Sib ne ha sparati di assai più calanti.

    http://www.youtube.com/watch?v=R-7UG4pHciM
    Eccolo, un Pollione come si deve. Il povero Bepi non è stato mai considerato abbastanza.

  7. Bell’ascolto comparato, peraltro relativo ad un brano di quelli che preferisco di più.
    La differenza fra i due tenori è talmente netta che sembra stiano cantando due cose diverse. Soprattutto quanto a compostezza vocale la differenza da netta diventa abissale.
    L’esecuzione di riferimento di “Meco all’altar di Venere”, in termini assoluti, per me resta quella di Lauri-Volpi: http://www.youtube.com/watch?v=z-ziYsCsOEU

  8. non leggo il sito x il tempo d una cena al collina di almenno s. bartolomeo e relativa ronfata (a proposito provatelo costa poco x il livello) e trovo decine e decine d post. Venendo al dibbatito sui due Pollioni: questa volta lo ritengo molto interessante nella misura in cui evidenzia i due tipi d approccio (direi accettati) quello pda baritenore in cui Corelli e’ stato il migliore interprete moderno e quello da contraltino sdoganato da Pavarotti nella seconda incisione in studio con Dame Joan. A mio avviso (nell ambito dell opera puffa a cui pero’ io non do un connotato negativo generalizzato ma semmai da valutare caso x caso) si sta affermando un terzo approccio e cioe’ quello del tenore leggero (alla Osborne x intenderci). Qui m fermo perche’ gli effetti d un Pollione d un tipo piuttosto d un altro sul resto del cast aprono scenari a mio avviso molto interessanti che trattati ora appesantirebbero questo post o potrebbero non essere d interesse generale.

      • secondo me sbagli e t fai un autogol almeno su due filoni interpretativi d pari dignita’ dovremmo andare d accordo. Quello piu’ romantico e quello piu’ classico.A quel punto la vittoria va alla piu’ virtuosa a quella che suona meglio. Poi pensa alla questione della tonalita’ originaria. La norma non e’ opera che da troppi spazio a rigide teorie pregiudizi e al gusto personale

    • Alberto, perdonami ma la la tua analisi è imprecisa. Casomai il Pollione contraltino, come tu lo definisci, risalirebbe a Lauri Volpi, che al contrario di Pavarotti cantò la parte anche in teatro, accanto alla Ponselle che non era quel che si dice una vocina. Il Pollione leggero è una semplice necessità contingente quando il ruolo è sostenuto da protagoniste prive del peso vocale necessario e questo tipo di tenori ha sempre grossi problemi con la tessitura del ruolo. Vedi Enrico Di Giuseppe nell’ incisione della Sills.

      • hai ragione da un punto d vista teorico. In pratica L.V. e’ un po’ come la Callas. Talmente versatile che non puoi inserirlo nella categoria d Pavarotti. Gli acuti d acciaio e d argento al contempo gli consentivano d cantare parto da drammatico. La capacita’ d colorire sfumare accentare gli consentivano d essere un pucciniano d prim ordine e crefibilissimo in tutto il verismo. In definitiva L.V. e’ un fuori concorso.

  9. ok billy (seconda puntata) x me norma oltre ad essere l opera piu’ bella e’ anche la piu’ elastica xche’ a seconda del cast che metti insieme puo’ dare emozioni diverse. Per me il problema non e’ mai sentire la norma come io la voglio ma sentirne una che partendo da una fuoriclasse affianchi ad essa cantanti adeguati alle sue caratteristiche di volume e colore

        • Ciao Aurelio,
          Anch’io come te da sempre amo Bergonzi.
          Senti, se tu avessi a disposizione tutto il potere economico possibile ed immaginabile, se tu potessi anche contare sulla assoluta sicurezza che gli artisti da te designati potessero annullare impegni gia’ presi in precedenza, e se tu avessi carta bianca nel designare oltre al cast anche direttore e regista,
          Come la comporresti oggi, 20 aprile 2013, una locandina per Norma?
          Non e’ una provocazione, sia chiaro,
          pero’ prova a rispondermi.
          Magari conosci qualcuno, che so’, non ancora celebre, con delle potenzialita’.
          Io quando penso alle prossime stagioni operistiche, con quello che si sente in giro, cado in depressione.
          Non ascolto una buona esecuzione operistica da anni, (intendo tutta l’esecuzione, non solo il coro o solo il direttore, o solo il baritono). Non dico mesi, dico anni.
          E oggi mi sembra d’ essere molto piu’ morbido, rispetto a dieci anni addietro.
          Ciao caro.
          Comunque la risposta e’ no, non conosco una Norma passabile che vada in scena nei prossimi mesi.
          A riciao.

        • bella domanda, miguelfleta! due cose preliminari, prova a non infierire sulle mie risposte! :)
          1) gli ascolti di Norme recenti, fatti qualche anno fa, mi han fatto passare la voglia di concentrarmi troppo sul tema…
          2) è difficile oggigiorno avere una buona rappresentazione di una qualsiasi opera: per Norma questa difficoltà è un ordine di grandezza maggiore.

          Però, basandomi sugli ascolti che ho fatto in questi anni, potrei proporre una ‘norma delle cougar’ con la coppia Anderson-Zajick e una ‘norma delle rottamatrici’ Radvanovsky-Pizzolato.
          Ma ahimé, già sento i brividi corrermi sulla schiena a causa di certe “prodezze” che Sondra è in grado di esibire.
          Per quanto riguarda il ruolo di Pollione punterei sull’unico tenore che negli ultimi mesi mi ha convinto in una recita, cioè Johan Botha che ho ascoltato nel Parsifal (!) a Salisburgo circa un mese fa. Certo però che dovrei usare il mio immenso potere economico per fargli studiare questa parte con un buon direttore d’orchestra per parecchi mesi, perché una buona prova in Parsifal non è certo una garanzia! Temo questa non sia la scelta migliore in circolazione.
          Per Oroveso non ho la più pallida idea.
          Imporrei poi Daniel Harding alla direzione di un’orchestra tedesca o americana.
          La regia la farei io. Ambienterei senza dubbio nella Germania degli anni trenta, anzi, nel 1943. Norma sarebbe la potente (figlia di un proprietario di qualche industria di armamenti) e perversa (le sacerdotesse altro non sarebbero che compagne di orgie) moglie di qualche gerarca-militare nazi-SS che se la fa con un ufficiale americano. Potrei così risparmiare sull’acquisto di cappotti militari in pelle (nera), ché i soldi non si buttano via neanche quando se ne hanno tanti.

          Con un atteggiamento da galletto, lasciando intravedere una certa depressione, invio la risposta!

          • Aurelio, la regia te la faccio io, riprendendo un mio vecchio commento.

            Durante l’ Ouverture, la scena rappresenta la sala del Teatro alla Scala durante il fiasco della prima esecuzione della Norma, la sera del 26 dicembre 1831. Mentre gli attori che impersonano i veri Giuditta Pasta, Giulia Grisi e Domenico Donzelli altercano con i moderni grisini in sala, cala improvvisamente l’ attuale sipario rosso della Scala che sull’ accordo finale dell’ Overture si strappa.

            La scena ora rappresenta il foyer della Scala, che si alterna con l’ interno di una lussuosa villa da nuovi ricchi. Su questo sfondo si consuma una tragedia di passione e politica.

            I protagonisti:
            – Norma Lo Gallo, giovane sindacalista della FIOM
            – Pollione Monaghi, suo amante ed esponente di Confindustria, che la costringe a svolgere attività antisindacali
            – Adalgisa Masciadri, dattilografa precaria alla FIOM e nuova vittima del Monaghi
            – Oroveso Lo Gallo, pensionato padre di Norma, vecchio anarchico individualista.
            – Clotilde e Flavio, che non trovano spazio in questa drammaturgia, rappresentano rispettivamente la coscienza storica delle masse e il perbenismo borghese.

            Nella scena finale tutti troveranno morte per mano di un assalto degli Indignados mentre Norma e Pollione osservano la catastrofe da un palco di proscenio tenendosi per mano, a simboleggiare il nuovo ordine economico mondiale nato dalla rovina comune di lavoratori e classe imprenditoriale.

          • temo che la cosa migliore del progetto sarebbe la tua regia ma temo che Bohta non avrebbe il fisique du rol del jugend hitler…come norma bisogna che ne nasca una con gli attributi minimi x piacere alla grisi e poi depilarla tutta

  10. Per i due registi :

    Voi due, non penserete che nonostante le ocate che avete pensato,
    non ci sia in giro qualche spettacolo piu’ scemo, vero?
    Ce ne sono, ce ne sono!

    Per il terzo :
    Tu arrivi in ritardo, carino.
    Una norma che andava a farsi depilare dall’estetista l’han gia’ fatta,
    in Olanda.

    Non son capace di mandare le faccine sorridenti, ma ve ne mando due.

  11. Per Billy :

    Caro Billy,
    la mia prozia Concha, nonostante fosse un semplice primo contralto del Gran Coro del Colon ai tempi del Maestro Raffaele Terragnolo, e non avesse mai letto Celletti, (cosa che non le impediva d’avere orecchio finissimo), affermava che Lauri-Volpi in
    Pollione, a serate, e pur non avendolo assolutamente in simpatia,
    (anzi), era al limite della perfezione. A serate pero’.
    Vide, beata donna, innumerevoli rappresentazioni di Norma, ma quell’edizione che venne ripetuta per tre anni consecutivi e che aveva come interpreti alternanti
    Claudia Muzio/Rosa Raisa
    Luisa Bertana/Ebe Stignani
    Pedro Mirassou/Giacomo Lauri-Volpi
    Tancredi Pasero//Giacomo Vaghi/Ezio Pinza
    e pensa un po’, la Bruna Castagna in Clotilde,
    le rimase particolarmente nel cuore, anche se tra i Pollioni ascoltati non faceva mistero di preferire Merli che sarebbe subentrato dopo un paio di stagioni a Lauri-Volpi e Mirassou.
    Se lo dice la prozia che l’ha sentito tantissime volte, che il grande
    Giacomo era al limite della perfezione in Pollione, pur ritenendolo “Tan simpaticòn como una cucharada de calabacitas piquantes en las narices” , c’e’ da crederle.
    Io, non l’ho mai sentito, ma quel brano di Norma inciso, sembra proprio dare ragione alla cara Concha, che Dio l’abbia in gloria.
    Ciao.

      • Ciao Aurelio,
        ma io non ho scritto nessun cast.
        Se lo scrivessi poi, oggigiorno sarebbe
        un vero disastro, l’ho gia’ detto.
        Cosa devo scrivere? Non ce n’e’….
        Riguardo invece ai brani postati, ripeto che non mi metto neppure lontanamente a far paragoni tra Bergonzi, (che comunque preferisco anche a Corelli), e Kunde.
        Per finire : gli artisti nominati nel mio precedente intervento, non sono ipotetici,
        sono solo gli artisti che per tre stagioni consecutive, alternandosi, componevano le
        locandine di Norma, a Buenos Aires e durante la meta’ degli anni venti.
        C’e’ stato anche di meglio.
        Se non ho capito bene la tua risposta, essendo io un poco tardo, fammelo sapere,
        intanto buon ascolto. Un abbraccio.

        • nel mio commento precedente ero stato molto-troppo implicito!
          ho scritto che quei cast (che sono composto da nomi di cantanti molto bravi) sono ‘rigorosamente ipotetici’ perché a volte preferisco crederlo! :)
          Sembra quasi impossibile che si riuscissero a mettere insieme quei nomi di cantanti molto bravi, proprio perché oggi non ce n’è, come dici tu.
          son molto dispiaciuto che non potrò – a meno di imprevisti – ascoltare Norma dal vivo nei prossimi mesi (faccia triste, duepunti parentesitondaaperta)

          mi risollevo il fatto che certamente oggi abbiamo la possibilità di vedere regie molto più fantasiose!
          ciao!
          marco

    • Francamente poco mi importa se in acuto non era propriamente un fulmine di guerra, questa compattezza di suono nel centro è una meraviglia, una linea vocale davvero impeccabile. Un ottimo esempio, non c’è che dire. E francamente lo trovo anche appropriato come accento, molto aulico, nobile, anche virile direi. Mi piace molto meno Corelli con quella sua pronuncia blesa, non parliamo di Del Monaco che spinge come un forsennato…

  12. io ritengo che ai punti vinca Corelli. Bassi bruniti e acuti (a prescindere dal si finale -perché mi pare non sia un do, il do di solito é nella variazione di “voluttaAde” o “rapitiisenSI” -ma scusatemi se sbaglio vado a memoria) fenomenali. Faccio notare che il pur eccellente Bergonzi, si fa scappare un paio di “difenede” una L al posto della N (stile Ramey, Furlanetto, La Scola, e tanti altri nei 78 giri) e sempre un paio (visto che fa il da capo) di “éllamorr-e che mi…ecc.)

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