Quaresimal XXXVII: Hermann Prey

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Voce estranea al cantare all’italiana, ammorba con la sua presenza prestigiose produzioni discografiche ufficiali come questo Barbiere o le Nozze di Figaro di Böhm, sempre targate DG. Emissione perennemente indietro, finta, artefatta, di una monocorde e superficiale suggestione timbrica, da cui deriva un canto di inespressiva mollezza e indefinita intonazione (profluvio di attacchi da sotto, nasaleggiamenti, note che restano incagliate  in zona retro buccale: bleah).  Pronuncia italiana alquanto improbabile con goffi scivoloni nei passi di sillabato veloce, risolti a prezzo di vistosi alleggerimenti sconfinanti col falsettino: conseguenza del cantare sul timbro – finto – anziché sulla parola. Sgradevole anche l’ostentato e disomogeneo registro acuto, aggredito con singhiozzi e scivoloni dal basso. Sul lato espressivo solo il più posticcio manierismo che in quegli anni impestava il canto di scuola tedesca.

8 pensieri su “Quaresimal XXXVII: Hermann Prey

  1. Altro bluff prodotto dai finti intellettuali di area tedesca . Non è l’unico caso di liederista che cimentandosi nel repertorio operistico oltre a non avere ne il colore ne la preparazione tecnica per affrontare il suddetto si sente in dovere di emettere versetti ,falsettini , risatine e chi ne ha più ne metta dimostrando oltre che presunzione anche ignoranza di stile

  2. naturalmente non mi riferivo solo al Figaro rossiniano dove credo sia evidente lamancanza del colore in primis ma a anche al suo tanto sbandierato Mozart delle nozze e del cosi’ fan tutte . una volta per tutte: in tutto il repertorio che non sia singspiel Mozart ha scritto per voci di scuola italiana .

  3. per me invece é stato un baritono quadrato nel senso positivo e negativo del termine. Il suo Rossini é stato un esperimento riuscito a metà ma interessante. Il suo Figaro mozartiano era comunque notevole anche se effettivamente inserito in quella deriva salisburghese dove leziosità e calligrafismo abbondavano. I suoi colori hanno comunque il fascino delle foto anni 70 scattate con le Kodak instamatic. Io l’ho sentito tre volte Wolfram (FI) Bekmesser (MI) e in un liederabend (VI) e in quel repertorio i suoi difetti risaltavano meno.-

  4. E’ un interprete che definirei “noioso”: concordo sul fatto che fosse molto manierato e artefatto (ma non quanto Fischer-Dieskau). Non mi interessa molto il suo Barbiere (non era certo il suo repertorio d’elezione) salvo per il rimpianto di non aver voluto trovare un cantante più idiomatico, vista l’importanza dell’incisione (che però aveva il grave handicap di Alva, pessimo Almaviva). Il suo Mozart, però, non lo butterei affatto: sì, è manierato, ma nulla di grave rispetto a certi suoi colleghi e la pronuncia perfettibile, ma non inaccettabile. Certo sulla piazza c’era di meglio, ma i cast venivano e vengono fatti secondo criteri spesso insondabili.

  5. Lo ascoltai in teatro proprio nelle Nozze . Hai detto due cose giustissime : noioso e c’era molto di meglio. Per quel che riguarda la scelta dei cast e vero quello che sottolinei ma il panorama non era certo quello tristissimo di oggi quindi le scelte potevano essere più idonee.

  6. Nel quaresimal ho spezzato la mia lancia in favore di Fischer-Dieskau e lo rifaccio ora per Prey, che fra i baritoni tedeschi contemporanei ne rappresentava la grande “alternativa”. Se Dieskau rappresentava il versante più spirituale ed intellettuale, Prey era un’individualità più immediata e spontanea, il coté “gemuetlich”. Non aveva le pretese enciclopediche di Dieskau ma aveva piuttosto un penchant per l’operetta e per il Volsklied. Non a caso apparvero affiancati in parecchie opere dove i ruoli baritonali venivano ripartiti fra loro in base a questa tipizzazione caratteriale prima ancora che vocale: a Dieskau l’aristocratico/intellettuale, a Prey lo spontaneo/popolare. E così: Nozze con Prey/Figaro e Dieskau/Conte, Così fan tutte con Prey/Guglielmo e Dieskau/Alfonso, Capriccio di Strauss con Prey/Olivier e Dieskau/Conte… Fu sommo liederista e molto attivo anche in ambito oratoriale (grande il suo Jesus nelle Passioni bachiane). Il suo suono, così carico di umana “simpatia” in tutti i sensi del termine, rappresenta un’altre delle inconfondibili eredità del Novecento.
    Ho voluto tracciare questa sommaria presentazione perché mi sembra che debba essere preliminare a qualsiasi giudizio sul cantante, positivo o negativo che sia. Non condivido ovviamente la stroncatura di Mancini, tranne che sull’incipit da cui discende tutto il resto, e cioè che si tratta di un canto lontano da quello all’italiana: ma ho già spiegato altrove che per me questa non è necessariamente una diminutio (va detto comunque che il Figaro rossiniano rappresenta la più rilevante fuoriuscita di Prey dal proprio repertorio d’elezione: a mio avviso molto riuscita, ma sicuramente discutibile). Comunque io credo che sia lecito stroncare a volontà, però è giusto che chi legge abbia il quadro dell’oggetto di cui si parla: siccome in Italia Prey è probabilmente meno noto di Dieskau, c’è il rischio che qualche neofita si faccia l’idea che la sua rilevanza storica sia paragonabile a quella di meteore qui citate come Nimsgern, la Studer o la Baltsa. è invece importante ricordare che stiamo parlando di un monumento della storia dell’interpretazione, che resta tuttora un imprescindibile punto di riferimento. Dopodiche è lecito anche sputare sul monumento e giocare a chi lo centra meglio nell’occhio: con Prey io a questo non ci gioco, ma per me è giusto che non ci siano “intoccabili”. Recentemente ho assistito a una prova della Quinta di Beethoven in cui il direttore, uno che sapeva il fatto suo, diceva che “dopo tutto questa roba non è perfetta”… E forse non aveva nemmeno tutti i torti.

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