Dopo avere “ripassato”, grazie all’amico Garcia, l’arte di Emma Kirkby arriviamo con questa puntata, o per meglio dire, stazione del nostro quaresimale percorso a un’altra specialista del canto haendeliano, gluckiano e mozartiano, Dame Janet Baker. Osservare come la signora compendi tutti i malvezzi della scuola anglosassone, altrimenti detto, che canti in itangliano e sfoggiando la proverbiale patata in bocca, nemica giurata dell’astrattezza del suono e della fluidità di ornamentazione, che questo repertorio esige, osservare quanto sopra è certamente ovvio e scontato, ma non per questo meno opportuno. E per sincerarsi della modestia della cantante (e precisiamo: della cantante, non del mezzo naturale) non serve neppure ricorrere ai dischi ufficiali, che la Baker seguitò a sfornare fin quasi all’occaso della carriera, bastando e avanzando questa registrazione dal vivo, effettuata quando la cantante era poco più che trentenne. Che poi a questo siano seguiti, negli anni, sull’Isola come nel Continente, Sextus anche più sgangherati, è ben misero conforto e insufficiente giustificazione.
3 pensieri su “Quaresimal XXXVI: Dame Janet Baker”
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Presenza fissa in moltissime incisioni targate UK è – per mio conto – l’ennesima dimostrazione della sgradevolezza della scuola anglosassone. Vale per il canto e vale per la direzione d’orchestra: comuni denominatori sono la distaccata leziosità, il manierismo, la generica compostezza, la noiosa educazione. Purtroppo a farne le spese è molto spesso il povero Mozart ridotto a pallido soprammobile per sale da té frequentate da benpensanti dame britanniche. Un Mozart reso esangue e devitalizzato come un dente dolorante..e trattato come un prodotto pari a Gilbert & Sullivan (che restano i veri prototipi del gusto musicale inglese).
Ma scusa Duprez, non mi dire che uno fne come te non ama il Mikado. L’hai mai sentito dal vivo?
Lo apprezzo, come pure H.M.S. Pinafore, ma vedere ricondotto ogni genere musicale ad un’algida farsetta di humor britannico non mi sta certo bene. In particolare Mozart che, da Beecham in poi, è trattato solo con superficialità e facile ironia.