Il soprano prima della Callas, ventiquattresima puntata. Claudia Muzio (1889-1936)

Chiunque voglia leggere pagine illuminati e definitive  su Claudia Muzio può affidarsi a Rodolfo Celletti de “Le grandi voci”. Callas esclusa –forse- nessuna cantante,  è stata celebrata dal critico romano,  che la sentì, seppur  declinante, quale Violetta a Roma nel 1934 con Schipa e ne sentì narrare le gesta vocali ed interpretative da Giacomo Lauri-Volpi,  altro estimatore della divina Claudia. Il tenore romano -è risaputo- nelle prime tourneè argentine si innamorò della cantante, donna non bella, ma di grande personalità ed affascinante e fu il solo che la soccorse nella fase finale della vita facendole incidere gli ultimi dischi, pagandone il monumento funebre al campo Verano di Roma, dove tuttora la cantante riposa.

A quelle pagine non vi è nulla da aggiungere se non l’ascolto della divina Claudia esemplificativo più di ogni altra parola e riservarsi la gioia ed il piacere di scoprire la geniale grandezza della cantante o “cantatrice” per utilizzare il termine caro a Lauri Volpi. Divina Claudia  per decreto del pubblico del Colón soprattutto dove si esibì costantemente dal 1919 al 1934 e fu amatissima.

Nel mistero è avvolta la fine della cantante, secondo i più, depressa ed in miseria  morì suicida a Roma  l’8 maggio 1936. Momento politico (era il giorno della cosiddetta proclamazione dell’impero) ed orientamento del regime per tali accadimenti, in cui parte un personaggio pubblico, fecero dichiarare la morte avvenuta  per attacco cardiaco.

Una personalità come quella della Muzio deve essere ascoltata anche se le registrazioni non sono molte ed inoltre: alcune, le prime, non particolarmente felici quanto a qualità e le ultime del 1935, pure realizzate con il sistema elettrico, colgono la cantante ormai alla fine della carriera e con difetti. Difetti che erano solo accentuati dall’età e dalla carriera onerosa e spesasi per ben cinque lustri in un repertorio,  che non coincideva in pieno con le caratteristiche naturali della cantante.

La carriera e la notorietà furono immediate; dopo il debutto nel 1910 la Muzio nel 1913 era  alla Scala nel 1916 al Met e  nel 1919 al Colón di Buenos Aires;  toccò tutti i maggiori teatri del mondo. In nessuno dei quali, se si esclude il Colón, la Muzio rimase a lungo e stabilmente a differenza di alcune colleghe, altrettanto famose e fascinose, come la Ponselle o la Raisa. In alcun casi fu anche il carattere, tutt’altro che facile, ad interrompere il rapporto in altri casi, invece, l’ evidente preferenza accordata dalle dirigenze ad altre colleghe le fece preferire nuovi palcoscenici. Era una cantante richiestissima e, quindi, quando ritenne ed a ragione che il Met non la valorizzasse a sufficienza abbandonò il teatro dopo ben 6 anni e  quasi 200 rappresentazioni (vi fece tardivo ritorno nel 1934 per due recite di Traviata e una di Cavalleria rusticana). In effetti la concorrenza era fortissima perché nel repertorio pucciniano imperava la Farrar ( tanto è che alla prima del Trittico pucciniano alla Muzio venne affidato il personaggio di Giorgetta e non già il title role della Suora) dal 1918, in poi,  sul repertorio pesante verdiano apparve l’astro Ponselle e  fu gioco forza ripiegare su Chicago e, poi, su San Francisco. Lo stesso accadde nei teatri italiani cantò in tutti, ma in nessuno “mise radici” come accadeva ad altre colleghe come Arangi-Lombardi, Cobelli, Scacciati.

Donna non bella, ma affascinante come la propria voce, interprete unica, fraseggiatrice  geniale, tale da rendere perfetto o almeno credibile tutto  quello che cantava, persino le canzoni patriottarde. E potremmo anche smetterla qui accludendo dieci ascolti, che esemplificano l’assunto.

Nel tentativo di un esame dettagliato. La voce, modesta anche se timbricamente suggestiva, di limitata estensione, che poteva derivare dalla natura, ma anche da un limite tecnico. La Muzio, infatti, come alcune altre cantanti della propria generazione tendeva ad aprire un poco i suoni al centro e questo può pregiudicare la gamma acuta. A favore del limite naturale sia il fatto che, dopo un inizio con Rigoletto,  la Muzio passò subito al repertorio lirico e lirico spinto. Se poteva le note dal  do5  in poi le evitava (vedi aria di Giselda dei Lombardi, Trovatore) già sul si nat. le poteva capitare di emettere suoni tutt’altro che gradevoli ( vedi aria di Micaela o i famosi “cieli azzurri” dove, per altro, la fraseggiatrice è  insuperabile). Eppure padroneggiava smorzature e legato anche a fine carriera come testimoniano le registrazioni dei duetti di Otello con Francesco Merli  (vedasi il famoso la bem  dei “soavi  abbracciamenti” a titolo di esempio).

La parte preponderante del repertorio della Muzio era rappresentato da Puccini,  Mascagni, Leoncavallo, il tardo Verdi, soprattutto Otello,  titolo del debutto alla Scala nel 1915, Catalani, il Mefistofele di Boito, Cecilia di Refice,  la Manon di Massenet, Arlesiana di Cilea (mai Adriana e Fedora, che pure sono il terreno di elezione della cantante attrice), in italiano il Cavaliere della rosa ed Eugenio Onegin (prima esecuzione al Metropolitan), scarsissimo, invece, il rapporto con Wagner in un’epoca in cui tutti
i soprani lirici e lirico-spinti cantavano almeno Eva, Elsa, Elisabetta e Sieglinde. Cantò titoli quasi desueti come la Bérthe del Profeta ed anche altri onerosi  come Norma e Turandot, quest’ultima nel rifugio impenetrabile e sicuro del Colon. In un periodo in cui abbondavano voci femminili sonore e poderose Aida,  Forza del destino, frequentemente il Trovatore. Precorreva la generazione post Callas, riuscendo, grazie di contrasti  accentuati (anche se non accentuatissimi, come dirò poi) a creare atmosfere e il personaggio per la cui vocalità difettava la dote naturale, forse sarebbe storicamente più esatto dire che che proseguiva la tradizione di una Darcleé, una Kruscenitzky o una Farneti.

Alla resa dei conti “d’amor sull’ali rosee” ha conosciuto  esecuzioni ben più fluide e facili in zona acuta della Muzio, ma nessuna Leonora è misurata e disperata al tempo stesso come la divina Claudia come fra le cantanti, che non dispongono della voce di Aida,  nessun recitativo è così sentito e pensato, nonostante qualche suono un poco aperto, che, però, riesce ad  esaltare l’attacco sublimato ed aereo dell’aria.

E qui versiamo nell’interprete Claudia Muzio. Tanto geniale quanto indescrivibile, ogni frase porta la sigla della cantante, della sua sensibilità di artista. Gli esempi possono essere migliaia e senza pretesa di esaustività: ascoltare l’incipit del “La mamma morta”, la chiusa della scena Scarpia – Tosca con la frase “egli vede ch’io piango” troncata dal pianto, senza alcuna platealità, ma realizzando un effetto teatrale unico, ove con tale aggettivo si deve indicare che nessuna cantante è stata in grado di fare altrettanto.  Lo stesso può valere per la scena di Violetta “l’amami Alfredo” dove abbiamo l’eccitazione del personaggio, lo slancio ad onta di una voce che è, soprattutto in prima ottava piuttosto fragile, supportata da dizione scolpita pur nella drammaticità del momento manca qualsivoglia enfasi gratuita e plateale.

Chi ascolta Claudia Muzio soprattutto nel repertorio verista può essere indotto al paragone con Madga Olivero, altra cantante attrice e, nell’ascolto e nella memoria collettiva la più completa rappresentante di questa categoria. La dinamica della Muzio è meno esasperata e ricercata varia di quella dell’Olivero e la vocalista meno perfetta (vedasi gli acuti estremi , ad esempio, l’ornamentazione della nenia di Margherita), eppure la cantante è egualmente espressiva, perfetta nel cogliere il personaggio. In questo senso l’interpretazione più vicina alla Muzio è la Callas. Con la peculiarità che la Muzio, senza vantare un timbro sopraffino e privilegiato era, comunque superiore alle altre due per qualità vocale.

Ma se ascoltiamo l’esecuzione di un’aria  desueta ai tempi della Muzio ed anche oggi (se si fa eccezione per un’esecuzione di  altissimo livello di Lella Cuberli) ossia “Sorgi o padre” del Bianca e Fernando di Bellini senza esagerazioni e con un tempo piuttosto sostenuto la Muzio inserisce nei luoghi topici  come “sacro dover” della prima ripetizione piani e rallentando ed il clima sognante dell’evocazione è reso. Poi si può anche discutere che i si bem ribattuti siamo un po’ schiacciati, ma siamo davanti all’arte del canto più che alla perfezione dell’esecuzione.

I poeti, magari baritoni mancati, si sa, sono sensibili al fascino femminile e  allora scrivono

Eravate sublime

per cuore e accento,

il fuoco e il ghiaccio fusi

quando Qualcuno disse basta

e fu obbedito.

Ovviamente

non fu affar vostro la disubbidienza

ma questo non conforta, anzi infittisce

il mistero: che sia pronto a dissolversi,

cio’ che importa, ma tardo e incancellabile

l’essere per cui nascere fu un refuso.

A Claudia Muzio, Eugenio Montale (1978), le colleghe molto meno eppure così parlano della divina Claudia

In the first act ( as Violetta), with her great figure, she was a beautiful and attractive great lady. then, at the same pace
the tragedy was unfolding, she was changing. I’ve never hear a third act comparable to hers. It was impossible not to cry.

Frida Leider 1959

Gli ascolti

Claudia Muzio

Verdi

La Traviata

Atto II

Amami Alfredo (1911)

Atto III

Addio del passato (1935)

Il Trovatore

Atto IV

D’amor sull’ali rosee (1920)

Aida

Atto III

O cieli azzurri (1918)

Otello

Atto I

Già nella notte densa (con Francesco Merli – 1935)

Atto III

Dio ti giocondi o sposo (con Francesco Merli – 1935)

Atto IV

Ave Maria (1918)

 

Bellini

Bianca e Fernando

Atto II

Sorgi o padre (1922)

 

Giordano

Andrea Chénier

Quadro III

La mamma morta (1920)

 

Boito

Mefistofele

Atto III

L’altra notte in fondo al mare (1922)

 

Catalani

La Wally

Atto I

Ebben ne andrò lontana (1922)

 

Puccini

Tosca

Atto I

Mario! Mario! Mario!…Non la sospiri la nostra casetta…Qual occhio al mondo…Mia gelosa!…Un tal baccano in chiesa!…Ed io veniva a lui tutta dogliosa…Tre sbirri, una carrozza (con Dino Borgioli, Alfredo Gandolfi, dir. Gaetano Merola – 1932)

Atto II

Vissi d’arte (1935)

 

Refice

Cecilia – Ombra di nube (1935)

 

Oliver-Mercantini: Inno di Garibaldi (1917)

4 pensieri su “Il soprano prima della Callas, ventiquattresima puntata. Claudia Muzio (1889-1936)

  1. La Muzio ci fa sentire la differenza tra “cantante” ed “artista”. Donna ovviamente poco fortunata e felice nella vita privata che si sfogava tutta in palcoscenico. E si sente: “bisogna aver sofferto per cantare così”.

Lascia un commento