Celebriamo oggi la scomparsa di Wolfgang Sawallisch, mancato alla soglia del novantesimo compleanno. Se non sbagliamo è la prima volta, dall’inizio del Corriere, che ricordiamo un direttore d’orchestra e e lo facciamo, oltre che per la fatalità della circostanza, per un musicista che della discrezione e dell’anti divismo ha fatto la propria più autentica e memorabile sigla. Non la sola, però. Wolfgang Sawallisch è stata l’ultima e più completa declinazione del Kapellmeister, inteso senza alcuna negatività, ma riferendoci alla nobile professione del direttore stabile di un teatro che della vita del medesimo si occupa integralmente e che ne risponda sempre e comunque a tutti. Figura che oggi manca e sotto differenti profili. Manca perché mancano direttori, che, come il defunto, vantino repertori sterminati e un curriculum esperienziale di primissima qualità. Il primo diretta derivazione del secondo. Basta guardare la formazione di Sawallisch pianista e direttore d’orchestra nell’immediato dopoguerra, maestro sostituto, dapprima, e poi direttore stabile in piazze di non primaria importanza fino ad approdi prestigiosi fra cui, trentaquattrenne, Bayreuth ed i massimi teatri e festival della Germania e poi di tutto il mondo. Carriere come quelle di Wolfgang Sawallisch e repertori come il suo, sono impensabili per direttori di poco più giovani ed ancora in carriera. Limitatamente al melodramma Sawallisch affrontò l’intera produzione tedesca da Mozart ad Hindemith con autentiche predilezioni per Wagner e Strauss. Furono questi, per la cronaca, gli autori con cui più spesso si presentò sul podio della Scala dove diresse dal 1965 (proprio con Lohengrin, seguito nei due anni successivi, da Hollander e Tannhauser e Parsifal nel ’71), nel 1970 Arabella, nel 1972 Elektra, il Ring o meglio tre quarti dello stesso (mancò il Gotterdammerung) dal 1973 al ’75, sino ad Ariadne auf Naxos nel 1984, Frau ohne Schatten (di cui è tra gli interpreti ancora oggi insuperati) la stagione successiva e, nel 1988 con i complessi di Monaco, tre capolavori raramente passati a Milano (e oggi presumo ignoti a chi di dovere): Die liebe der Danae, Daphne e la splendida Die Schweigsame Frau. Senza dimenticare che si devono a Sawallisch gli ultimi Meistersinger passati nel teatro ambrosiano (e sono 23 anni ormai). L’ultima opera diretta in Scala fu il Ratto del Serraglio (1994) con la memorabile regia di Strehler. Ma a Monaco di Baviera, dove fu direttore stabile per vent’anni, affrontò anche il repertorio italiano, persino con titoli desueti, per lui e per la tradizione germanica come il Mosè di Rossini (che peraltro aveva diretto nel 1968 alla Rai). Indimenticabile – e sintomatico per testimoniarne l’antidivismo – la Petite Messe Solennelle (ancora Rossini) a Santa Cecilia, dove il direttore si “accontentò” di suonare il pianoforte quale accompagnamento di lusso a quel capolavoro inafferrabile (vorrei vedere altri suoi più celebrati e schizzinosi colleghi fare altrettanto). Le medesime osservazioni possono essere relative al repertorio sinfonico dove, naturalmente, la preponderanza era di autori di scuola tedesca (in particolare Schubert, Bruckner e Brahms) e dove il rapporto è stato costante con tutte le maggiori orchestre: dai Wiener ai Berliner per arrivare al Concertgebouw ed alla Staatskapelle di Dresda. Ma anche a Milano fu ospite regolare della Filarmonica scaligera: l’ultima apparizione nel 2004 con lo Stabat Mater di Dvorak.
Le esecuzioni di Sawallisch (operistiche e sinfoniche) hanno sempre brillato per precisione, chiarezza, sicurezza, perfetto coordinamento/buca palcoscenico (anche e soprattutto in titoli che, privi di questo elemento non reggono o reggono male) il tutto nel solco della più grande tradizione direttoriale di scuola tedesca, per intenderci quella dei Bohm, Walter, Krauss, Knappertsbusch ed anche Karajan. Poi c’è il problema della personalità, il problema dell’autonomia di lettura, del “quid pluris”, dell’idea immediatamente riconoscibile e qui, certamente, i maestri citati prima ed anche molti altri avevano altro passo. Ma oggi la formazione, la sicurezza, il rispetto della musica che sempre contraddistinsero le prestazioni di Sawallisch sono non solo poco praticate, ma, per certi versi, impossibili.
Oltre ai Maestri Cantori, Arianna a Nasso e Ratto del Serraglio, tutte eccellenti esecuzioni, lo ricordo anche nella Winterreise sempre alla Scala nel 1979 quando accompagnò Fischer Dieskau (l’unica volta che ascoltai il leggendario baritono dal vivo). Peccato…il tempo passa proprio velocissimo
Sawallisch fu l’unico direttore ad opporsi alla prepotenza dei registi, che negli allestimenti prevaricavano il dettato musicale. Fu così che interruppe dopo Siegfried la Tetralogia in scala. Meriterebbe solo per questo atto una medaglia ,che invece è stata data ad altro tedesco, tale Schultz, per non chiari motivi.prosit
Mi par di ricordare che anche Giulini smise di dirigere opere più o meno per lo stesso motivo. Carlo Maria Giulini, grandissimo e già troppo dimenticato ….
La medaglia è stata data a Martin Schulz, presidente del parlamento europeo e tedesco per fortuna non allineato sulle posizioni del suo reazionario governo, per nobilissimi motivi. Non vedo cosa c’entri con Sawallisch e la sua grande arte interpretativa. Non lo vedo proprio.
Marco Ninci
Come sempre si segnala la gran cultura della stampa italiota. Enrico Girardi sul Corriere definisce Sawallisch un KAPPELMEISTER. “Kappe” in tedesco vuol dire berretto…
Chapeau!
Vedi, Gianguido, non è la stampa italiota, è Enrico Girardi. Io di errori ne ho visti dappertutto, in qualsiasi lingua, da parte non di giornalisti ma di scrittori di grande prestigio e rilevanza. E mai mi sarebbe venuto in mente di fare dei loro errori dei sintomi del degrado del loro paese di origine. Non credi che sarebbe l’ora di farla finita con questo assurdo livore?
Ciao
Marco Ninci
Kapellmeister si definiva anche Mozart, e prima della connotazione ottocentesca diversa e limitativa, significava “musicista completo”,
Il suo rigore e serieta’ e antidivismo dovrebbero essere oggi modello di riferimento per i giovani direttori.
Lettura consigliata: La mia vita per la musica, appunto di Sawallisch
Però con il giusto omaggio a Sawallisch, non si demonizzi la figura del “direttore d’orchestra” così come è stato connotato a partire dall’800 (almeno in Europa, che in Italia ha ritardato a conquistare il giusto ruolo) che ha reso possibile un certo sviluppo della musica altrimenti impensabile. Sawallisch, poi, come giustamente ricorda Donzelli, è stato sì grande professionista del podio, ma mancava di quel “quid pluris” da grande interprete.
é vero quello che dice Duprez però aggiungo che il fascino di Sawallisch era proprio la dote di andare molto al sodo e di produrre sempre qualcosa di molto equilibrato. La sua riconosciuta capacità di concertare con pochissime prove non significava essere un battisolfa che cercava il risultato migliore con il minimo dello sforzo, era invece come il grande cuoco che anziché essere mago dell’impiattamento privilegiava il sapore, il grande cuoco che anziché fare nouvelle cuisine si cimentava con le ricette della tradizione facendoci uscire sempre con la pancia piena.-
Certo, quello che dico, però, è di attribuire i giusti meriti senza eccedere: Sawallisch non fu certo un battisolfa che si limitava ad assecondare i vizi dei cantanti (anche se rifiuto questa logica opera centrica), ma neppure il più grande esempio di come dovrebbe essere un direttore d’orchestra. Perché la personalità e le scelte interpretative fanno la differenza tra un grande professionista e un musicista. Il kapellmeister dal repertorio sterminato non è di per sé “più completo” del tanto denigrato – chissà perché poi – direttore in senso ottocentesco. Divismo e antidivismo non sono vizi o virtù a prescindere: Furtwaengler, Walter, Reiner, Karajan, ma anche Toscanini o De Sabata etc…furono certamente “divi”, per questo però non mi sentirei di sconsigliare un giovane direttore dal prenderli a modello.
caro Duprez, in parte hai ragione, quando parli dei meriti dei direttori post-ottocento. Non concordo sul divismo e gli esempi che fai, non tutti furono “divi” allo stesso modo, ma taluni col “divismo” hanno guadagnato palate di danaro. Un giovane direttore non dovrebbe prendere a modello il loro modo di essere divi, ma il loro modo di dirigere ( non faccio nomi per non essere lapidato )
Guarda il discorso che “divismo e antidivismo non sono vizi e virtù a prescindere” é un discorso centrale proprio per i potenziali nuovi appassionati (io si sa sono convinto che più ce ne saranno più sarà possibile che nascano grandi artisti). Io per esempio ricordo che quando finalmente nel 1987 mi pagarono arretrati per circa 500 mila Lire (i miei primi guadagni della libera professione) li convertii in scellini per andare ad ascoltare dal vivo il “divo” Karajan e relativi Berliner per verificare se tutto il veleno che gli riversavano addosso a Milano da quando non dirigeva più in Italia fosse proprio giustificato. Ovviamente non lo ritenni proprio così giustificato e riuscii a sentirlo quattro altre volte senza rimpiangere i soldi spesi.
Ribadisco quanto affermato dianzi e cioè che Sawallisch in italia, ha lavorato tantissimo, con straordinari risultati, tali da meritare dalla nostra Repubblica non uno ma più gratificazioni, che non sono venute, non si sa per quale ragione, mentre …. le si sono elargite
in altri campi: la politica, per esempio. Eppure siamo un popolo di navigatori, poeti, artisti… ma…sulla carta.Prosit
Non posso che sospirare ricordando anche l’ultima “”Arabella” scaligera da lui diretta in quel magnifico allestimento.
Un grande che rimarrà grande anche senza manifestazioni “requiemesche” falsificate da lagrime da coccodrillo scaligere.
Giusto per medicare le orecchie a chi ha assistito stasera al terrificante Olandese scaligero………
http://www.youtube.com/watch?v=3wFWzt4qdFI