La voce di Nazzareno de Angelis è, in corda di basso, una delle più celebrate e per la qualità del timbro di autentico basso, benchè facilissima in zona acuta e per la completezza tecnica, che trova il suo più alto compimento nell’esecuzione degli ariosi di Mosè, ruolo che de Angelis in ogni teatro italiano, spagnolo e sud americano interpretò frequentemente e che distanzia tutti gli altri esecutori, specialisti rossiniani compresi. Il problema delle registrazioni dei bassi , soprattutto quelli più autentici e dotati di ampiezza e vibrazioni era, sino all’avvento del sistema elettrico, non rendere i suoni cavernosi.
Dalla registrazione emerge sempre e comunque la qualità della voce, parimenti all’assenza di suoni ingolati o velati in qualsiasi zona della voce. L’esecuzione del’aria è completa. All’incipit indica Verdi “come trasognato” De Angelis lo risolve con suoni morbidi e soffici anche in zona del passaggio di registro esibito sul do diesis di “amOr per me non ha”, idem il di “Francia venne”. Sul versante dell’interprete è un Filippo molto sovrabbondante e quando arrivano gli acuti come il mi della ripetizione l’indicazione di forcella è di molto amplificata e il portamento discendente sul “per me non” ha conclusivo assai marcato. Alla frase “sparì dai miei occhi languenti” nessuna delle note previste mette in difficoltà de Angelis, ma ci sono due riprese di fiato, non previste in spartito una dopo “sparì” e l’altra prima di “languenti” che, se servono per scendere con agio alla zona grave (splendida fra l’altro per cavata e sonorità), possono, però essere censurate sotto l’aspetto musicale. Prendere fiato prima di una nota acuta o prima di una discesa al grave sembra essere un vezzo del cantante romano perché lo fa prima della salita a “sotto la volta” ed anche la frase “l’avello dell’Escurial” è un po’ enfatica nell’accento ed anche il rispetto del valore delle singole note è arbitrario. Che si tratti di vezzo o addirittura di una scelta espressiva per rendere il personaggio è evidente quando de Angelis sale senza nessuna ripresa di fiato al mi nat “che Dio puo’ sol vedere”, che esegue sulla u e non sulla o. Un altro vezzo che deve essere segnalato è che talvolta sul si bem o sul si nat probabilmente le note che precedono il passaggio il cantante esegue la nota con una sorta di acciaccatura (vedi il “manto mio regal). L’enfasi è ancor presente nell’esecuzione dell’indicazione parlato (che è poi cantato con splendido timbro) di “se dorme il prence veglia etc” Solo che talvolta l’enfasi e l’accento scandito servono alle ragioni del personaggio come accade nella sezione conclusiva dove la doppia forcella di “leggere nei cor” è resa quasi con nervosismo per giustificare e rendere il senso di disperazione dell’ultima perorazione di Filippo “Ella giammai m’amò” con tanto di corona tenuta a perdifiato più che forcella sull’ultimo mi di “amOr”. Anche qui saggio oggi irripetibile di canto sulla parola, figlio del dominio e del controllo della tecnica. Poi riconosco l’oratoria romana (anzi romanesca) sia ben differente da quella francese.
Sul lato vocale non è del tutto irreprensibile… Ci sono spesso suoni gonfiati, fa un po’ il vocione, non sa fare le i, e questo lo costringe ad esempio a sbagliare l’accento sul re naturale di “il sonno MIO sparì”, dove glissa sulla i di mio pronunciando miO’… Nei dischi incisi ad inizio carriera la voce peraltro ha un colorito ben più chiaro.
Pardon, le parole esatte sono “il sonno o Dio sparì”, comunque l’errore non cambia.
Ci troviamo sicuramente di fronte ad una grande esecuzione (bellissima in particolare la morbidezza dell’inizio), ma sono d’accordo con Mancini sul fatto che diverse cose non sono del tutto convincenti. Ogni tanto compare uno strano ingrossamento del suono, che sinceramente non mi spiego, visto che in altri passi dimostra di essere benissimo in grado di legare lunghe frasi con emissione omogenea. Quasi che anche lui in questa fase della sua carriera stia iniziando a farsi condizionare – più o meno consapevolmente – da quello che ho definito lo stereotipo “moderno” della voce del basso. Queste tendenze sono del tutto assenti in questa registrazione http://www.youtube.com/watch?v=BdOkuXtqSsg , dove si fa davvero fatica a trovargli anche un solo difetto! Siamo non a caso una ventina di anni prima rispetto all’incisione dell’aria proposta. Notare la perfezione delle “i”, giustamente rilevate qui come difettose da Mancini. Credo comunque che la vocalità di De Angelis possa essere classificata quasi da basso-baritono (molto adatta infatti ai ruoli anfibi wagneriani) . Mi sembra tra l’altro che l’estremo settore grave della sua voce (intendo sotto il SOL basso) non sia il suo forte.
L’orecchio di Mancini è come sempre molto fine. E mi trova concorde su tutto quanto rileva. Io aggiungerei una tendenza, riscontrabile anche in altre incisioni coeve, a schiacciare un po’ i re3 a voce piena. D’altra parte mi sento anche di dire che questo difetto potrebbe essere accentuato dal sistema di incisione che, per voci di tale ampiezza – un carissimo amico mio ha avuto la fortuna di conoscere Gina Cigna e, alla domanda di come suonasse la voce di De Angelis in teatro, la signora rispose che era impossibile da descrivere per potenza e squillo – è sempre penalizzante. Poi che dire, il cantante attore si fa molto (troppo?) sentire, io però lo trovo comunque emozionante. Gli acuti sono splendidi così come le mezze voci. Insomma, forse non una fonazione perfetta – mi ripeto: concordo con i rilievi di Mancini – ma comunque di gran qualità. Come al solito, averne oggi…
difetti a parte che tutti ovviamente siamo in grado di cogliere, la statura dell’artista é sicuramente leggendaria. Particolare la sua ostentata sicurezza nel farsi seguire dal direttore, la sua estroversione e fantasia da capocomico che rimane comunque nei limiti e non cade nel gigionismo
Devo dire che rispetto a Plançon e Marcoux, si sente una grana più grossolana oltre a certe cadute nel mero “gigionismo”. Non mi piace per nulla l’enfasi (che trovo del tutto fuori luogo) così come l’inutile e sgradevole tenuta a perdifiato delle corone – che dovrebbero avere un valore espressivo e non significare “spazio per ginnastica vocale” – dall’effetto così triviale. Neppure trovo apprezzabili i frequenti colpi di glottide (finalità interpretative?) che danno l’idea del singhiozzo invece della sofferenza. Del pari l’inizio vagamente piagnucoloso è quanto di più lontano possa intendersi dall’aristocratica costruzione musicale verdiana (la voce dovrebbe emergere come dal buio e stendersi sul letto preparato dal velluto dei violoncelli – non dal violoncello solo, come una errata tradizioni ci ha, purtroppo, inflitto). Il gusto è molto datato, anche in confronto a suoi contemporanei o antecedenti (per stare ai cantanti italiani si ascolti Pinza o, soprattutto, Pasero per avere tutt’altra eleganza e perfezione DAVVERO regale). Dei tre ascolti sinora è il più deludente e il maggiormente travisato. Almeno a mio gusto.