Non poteva mancare in questa galleria dei migliori frutti editati dallo star system, incessante agenzia di promozione dell’avanguardia interpretativa, l’arte incomparabile di Simon Keenlyside, tra i cantanti di oggi forse il più sublimato e imaginifico maestro del canto sulla parola. La chanson à boire dell’Amleto è un prodigio di studio e imitazione del vero, ché gli effetti dell’ebbrezza, magnificata dal malinconico danese, si riverberano come meglio non si potrebbe sulla dizione – da Promenade des Anglais – e sul controllo del suono sfoggiati dal baritono, il quale fa giustizia (in uno con il direttore d’orchestra) dell’eleganza vacua e affettata di tanti suoi colleghi in questa medesima pagina, abolendo qualsiasi leziosaggine di fraseggio e proponendo un suono cupo, chiaroscurato, testimonianza di autentica disperazione quanto di pregnante virilità. La stessa gestione conflittuale del registro acuto ha il sapore di una confessione combattuta e offerta quasi a malincuore, suggello ideale di una lettura che è già Storia. Clinica.
8 pensieri su “Quaresimal VII: Simon Keenlyside in Hamlet”
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peccato per Keenlyside che alll´inizio della carriera era abbastanza promettente. Troppo Verdi, troppo voce gonfia, suono grosso, troppo volume per una voce che una volta sarebbe andata bene per Amleto. Di che anno è?
2010. Dal punto di vista anagrafico è o dovrebbe essere un cantante al culmine della carriera (al limite, all’inizio della sua china discendente). Vocalmente è pronto per Casa Verdi.
ho ascoltato Keenlyside tre settimane fa a Londra nell’Oniegin accanto alla Stoyanova e a Breslik, che dire…? Mediocrissimo Oniegin. Voce sorda, indietro, tubata, oramai corta, intonazione spesso periclitante.
Interessante rilevare come “il più sublimato e immaginifico maestro del canto sulla parola” abbia per tutta la serata, e in una parte non certo impossibile, sfoggiato un fraseggio straordinariamente monocorde, noioso e totalmente privo di sfumature. La tanto decantata espressività di Keenlyside si espletata solamente in un continuo dimenar di braccia, che lo faceva sembrare più a Gianni Morandi sul palco di Sanremo che al complesso eroe di Puškin.
Da sottolineare come il pubblico del Coven Garden abbia accolto con generosi applausi la scena della lettera cantata da Krassimira Stoyanova, per poi passare sotto un imbarazzante silenzio la successiva aria di Oniegin…. ancora non sono tutti sordi.
Caro Aureliano, ho assistito a quell’Onegin e in parte concordo con quanto tu dici su Keenlyside, inesistente il registro acuto e basso, la voce sorda e tubata, eppure l’interprete, per me, non è mancato. Non trovo adeguato il paragone con Gianni Morandi a Sanremo, sicuramente, la regia ha caricato la gestualità, vedi i ballerini come doppio, la stessa Stoyanova non è stata esente da una recitazione “sovrabbondante”.
Ho visto un’Onegin credibile nelle sue incertezze, smarrito nell’angoscia della colpa, infuocato dalla passione, come pure un disinvolto ed annoiato dandy nel primo atto. Scenicamente mi è parso credibile, peccato che la voce sia molto compromessa, più che un “fraseggio straordinariamente monocorde” ho sentito una voce stimbrata e opaca, straordinariamente monocorde. Il tentativo del dire permane, ma con quali mezzi…
Olivia cara, io ho assistito alla recita dell’11; la questione è sempre la stessa, senza un adeguato strumento, senza un sostegno tecnico adeguato, espressione non ci può essere. Che nella testa di Keenlyside ci fossero le migliori intenzioni interpretative, può essere, ma di certo dalla sua bocca non sono uscite. Sorvolando sullo stato di una voce così precocemente invecchiata (se canta Oniegin così, non riesco a immaginare come possa reggere un Verdi) per quanto riguarda l’azione scenica, probabile che cerchi di supplire con una recitazione a mio parere fin troppo caricata a quanto non può con il canto.
Carissimo Aureliano, ero alla recita del 14. Hai ragione, sicuramente Keenlyside ha cercato di supplire scenicamente alle carenze tecniche e vocali, anche quanto tu sostieni sulla tecnica e il mezzo lo condivido, pur credendo che, soprattutto, la personalità, l’energia, la capacità dell’artista di adeguarsi al ruolo e di rimodellarlo sul proprio carattere siano fondamentali all’espressione.
So che questo è un tasto importante nelle discussioni del Blog, e autorevoli pareri sono già stati forniti, tuttavia, vorrei proporti il mio punto di vista, che non è quello dell’esperta ma della spettatrice assidua negli anni, principalmente per argomentare quanto detto sopra .
Pur essendo elementi fondamentali, vale poco, dal punto di vista espressivo, cantare tecnicamente bene, con bella voce, con capacità di legare e di articolare la parola se poi la voce non veicola nulla, nessuna informazione sulla compartecipazione alla vicenda di cui si narra, sulle emozioni del personaggio, nulla ! se mancano il fraseggio, gli accenti ed il gusto dell’interprete.. Quindi, l’espressione, mi pare non dipenda solo da voce e tecnica ma da quanto il cantate sia artista e dal suo modo di porgere la parola. E qui Keenlyside ha qualche freccia nel suo arco, senza contare che la sua naturale malinconia ha giovato alla creazione del tormentato personaggio di Onegin
Nella mia serata è stato lungamente applaudito, meno della Stoyanova, a sua volta meno applaudita di Breslik ( incredibile ma vero )
Capisco cosa intendi, capisco anche se non condivido. Io ho studiato canto ma non ho mai fatto il cantante; ho riposto il diploma di conservatorio in un cassetto e ho scelto altre strade, l’orecchio tecnico però rimane, la capacità di sentire come è emesso un suono, rimane. Ciò non toglie che lungi da certe posizioni fondamentaliste, anch’io possa aprezzare in alcuni casi un brano anche se “non emesso” in modo men che perfetto. La tecnica, il canto sulla parola, la capacità di modulare i suoni permettono alle “buone intenzioni” a quello che chiami con una bella espressione “il tentativo del dire” di essere trasmesso al pubblico. La Stoyanova nella recita a cui ho assistito io è stata emozionante; non è un prodigio di tecnica, ma è buona cantante e un ottima musicista, forse aiutata dalla lingua che padroneggia certo meglio dell’italiano, il fraseggio era vario, analistico, ogni parola scolpita, sentita, detta; la sua volontà di dire, arrivava al pubblico perchè una buona tecnica le consentiva la flessibilità necessaria ad esprimere tutto quel che voleva esprimere. Non in Keenlyside dove le buone intenzioni, recitazione a parte, rimanevano a mio parere al 90% intenzioni, a cui una tecnica mediocre non consente di far arrivare granché al pubblico (o almeno al mio orecchio bacato da anni di vocalizzi…). Per contro siamo d’accordo che una tecnica pur perfetta in mano ad un interprete pedestre o senza personalità non ci farà comunque uscire da teatro entusiasti…
piccolo regalo… http://www.youtube.com/watch?v=7YBXCJDrq8Q – tecnica, flessibilità, espressione 😉
Grazie Aureliano della risposta, mi ha fatto capire molte cose sulla serata e grazie per l’ascolto eloquente nella differenza !
Spero di non averti fatto intendere d’aver apprezzato Keenlyside più della Stoyanova… Il senso del mio intervento era quello di mitigare il tuo giudizio netto e senza appello per un cantante le cui buone intenzioni che si erano fatte notare nella serata.
Sono d’accordo che la voce e Il canto giusto siano indispensabili oltre a quel “quid pluris”, di cui parla Donzelli nell’articolo di oggi, e che senza tecnica non servirebbe a nulla. E proprio “quid pluris” era ciò che mi è parso mancare alla pur bravissima Stoyanova che molto ho apprezzato ed amato.
Cordialmente, Olivia.