Per il padre e la figlia non può che valere il brocardo milanese “mal trà insema”. Quanto alla figlia dalla voce vuota in basso, sorda al centro, imprecisa nell’ornamentazione (perché Brunnhilde prevede anche, quale esplosione di forza, i trilli) e dagli acuti abbaiati e ghermiti, viene il legittimo dubbio che non stia cantando, ma stia subendo una tortura con martellate su giunture di mani e piedi, di loro già dolenti per artriti, artrosi e reumi. Dimenticavo che la signoia è il sublimato della finezza kulturale, l’apoteosi del saper dire. A me, povero ignorante, l’urlo di guerra di questa Brunnhilde ricorda più un AHIAtoho di qualche cartone animato che non l’invettiva di una semidea. Buon ascolto.
8 pensieri su “Quaresimal VI: Anja Silja nella Valchiria”
Lascia un commento
Devi essere connesso per pubblicare un commento.
Mah!
Non e’ per usare sempre l’espressione “il meglio” o “il peggio”,
ma e’ proprio la peggior entrata di Brunilda che abbia mai sentito,
persino peggio del suo Fidelio e della sua Kabanichka, giuro.
(parlo ovviamente di cantanti di grande fama), e anche quell’altro…
Caro Miguel, il suo meglio la Silja lo dette in una famosa recita di Salome quando – rimasta totalmente afona nel bel mezzo della scena finale – si buttò giù a capofitto nella cisterna che era stata del Battista, risparmiando così al pubblico in sala il resto del canto e ai soldati in scena il compito di trucidarla. Ciao
Avrei dovuto dire “il meglio di sé” e “diede”: adesso Marco carissimo non farmi le pulci, lo sai che l’italiano è la mia seconda lingua…
alla fine quelli che non mi stanchero’ mai d ascoltare sono tuker tagluabue emi 1955 e carreras cappuccilli scala 1978. Divertente anche il terzo duetto tuker merril 1972 metropolitan gala bing
ovviamente mi riferivo ad altra quaresima…scusate
Trauma multiplo
Lily carissima, non capisco quali mai pulci ti dovrei fare. Il tuo italiano è, come sempre, impeccabile.
Ciao
Marco Ninci
Mannaggina: non trovo il post della adorata Flagstad che diceva ai giovani cantanti “Lasciate stare Wagner” ma ne approfitto per scrivere proprio in questo ormai devoto e passato Quaresimal una (contemporanea) ERESIA per quanto riguarda l’odierno canto (di stile) wagneriano.
La storia ci narra che il buon Riccardo Wagner avesse una nipotina di nome Giovanna (figlia adottiva del fratello Alberto) e che la suddetta fosse particolarmente portata per la musica ed il canto. Vista tale predispositione, nel 1846 la impacchettarono e spedirono a Parigi con la benedizione del Duca di Sassonia per studiare con … udite udite … la buon anima del mio amato Manuelo Garcia jr.
La giovine pulzella fece così tanti progressi con Manuelo che quando tornò indietro in casa Wagner, lo zio scrisse al Garcia una lettera piena di riconoscimenti calorosi per i progressi fatti dalla sua cara nipote.
(Durante gli studi a Parigi ebbe modo di sentire pure nonna Giulia cantare la Norma: che donzella fortunata!).
Ben venticinque anni dopo, durante il primo Festival di Bayreuth la buon anima del nostro Riccardo scrisse all’altro buon Manuelo per prendersi tutta la compagnia di canto sotto l’ala istruttiva. Purtroppo però l’anziano Garcia era molto impegnato e dovette rifiutare sebbene ringraziasse.
Questi fatti vengono racconati dal Mackinlay in un suo libro del 1976 per la ricorrenza dalla morte del Garcia figlio (1906), sottolineando come questo fatto sconfessi che Wagner debba essere cantato con rutti, rantoli o sfiati!