Il pubblico scaligero pietoso o, forse, di facile contentatura all’esito di una serata di bolsi applausi ha distribuito una misurata riprovazione ai responsabili della parte visiva, un paio di buh al direttore (oggetto di un solitario, ma benemerito buh al rientro dopo l’unico intervallo) e misurati applausi al cast. Insomma una serata di quelle passate via sotto silenzio quasi che fosse una dodicesima recita o giù di lì riservata a scolaresche e club per anziani.
Per certo la dirigenza avrà tirato un sospiro di sollievo per l’esito dello spettacolo ed, ancor più per il silenzio del massimo quotidiano milanese con il quale sembra scorrere cattivo sangue.
Precisiamo Nabucco deve essere considerato una sorta di Mosè popolare, senza che il termine assuma valenza denigratoria, ma semplicemente per indicare che alle maestose e grandiose architetture e strutture drammaturgiche e musicali rossiniane si sostituisce la visione popolare della vicenda biblica. Quasi da quadri viventi, che venivano praticati nelle campagne lombarde sino ai primi anni del XX secolo.
Il marcato ed accentuato descrittivismo verdiano impone chiarezza nella realizzazione visiva dello spettacolo. Tradotto in pratica se, privi di ogni minima fantasia ed animati dalla datata e scontata equivalenza persecuzione ebraica = shoah, regista, scenografo e costumista ambientano in quegli anni il dramma devono chiarire quando agiscano gli Ebrei e quando i loro persecutori e per coerenza vestirli da Gestapo o da SS. Altrimenti perseguiti e persecutori sono uguali. Non credo che si debbano identificare nei persecutori quattro o cinque ragazzotti di bel fisico messi, da tempo usata esibizione in ogni spettacolo per lusingare certe frange del pubblico. Magari ho male inteso io . Certo è che un gesto, una movenza capace di illuminare il pubblico, di svelargli le intenzioni dell’autore o il carattere dei personaggi, di sottolineare la drammaturgia non l’abbiamo vista in tutta la sera. Anzi ci sono stati i soliti errori come le donne che nel primo quadro maneggiano il libro sacro, per gli Ebrei non riformati di esclusiva spettanza maschileo il suggerimento al protagonista di manifestare la demenza con le movenze di un anziano affetto da Alzheimer tipo Bernard Blier in “Speriamo che sia femmina”.
Che Nabucco sia discendenza rossiniana anche più di certi titoli coevi di Donizetti o Mercadante, è di tutta evidenza sin dalla sinfonia. E qui sono cominciati i guai. Il tema enunciato da flauto traverso e clarino (alla maniera della sinfonia di Semiramide) era greve e pesante oltre che meccanico e tutta la sinfonia era dolore per i timpani (quelli degli ascoltatori) piatta e tutta impostata sul forte e sul fortissimo. In questo Luisotti ricalca la direzione del recente Attila, dimentico della matrice donizettiana e della drammaturgia dell’opera, rendendo certi gli ascoltatori che il direttore confonda la nevrosi e lo slancio verdiano con il rumore ed i clangori orchestrale, come se queste scelte risolvessero tutti i problemi e costituissero una cifra interpretativa. Infatti nei due o tre momenti (terzetto Abigaille-Fenena-Ismaele, Aria di Abigaille nella sezione “anch’io dischiuso”, finale secondo “s’appressan gli istanti” ) in cui ha moderato volume e clangori è risultato piatto ed abulico.
Insomma in buca un Nabucco rumoroso e monotono al tempo stesso.
Certo sul palcoscenico nessuno poteva offrire una prova che raggiungesse la sufficienza vuoi per impreparazione tecnica, vuoi per sopraggiunto declino, vuoi per entrambi gli elementi.
A Zaccaria il nostrano Mosè spettano tre numeri solistici spettacolari che mettono alla frusta le doti vocali e tecniche della voce di basso perché se nella prima aria è richiesta ampiezza sacerdotale in tessitura grave subito nella cabaletta “come notte a sol fuggente” compaiono gli acuti sino al fa diesis. Quando Zaccaria canta “Vieni o Levita” o sa cantare morbido, rotondo a fior di labbro o viceversa si impicca e il sacerdote e profeta sparisce e nella profezia, che chiude il terzo atto, o si controlla il registro medio alto e si grida. In tutti i casi si sono verificate sempre grazie alla prestazione di Vitalij Kowaljow le previsioni negative. E se per freschezza ha retto la prima scena dal secondo assolo in poi le difficoltà vocali hanno evidenziato una prima ottava vuota e sorda e la difficoltosa salita ottenuta solo comportamenti e suoni tubati e di dubbia intonazione. Esemplare in tal senso il “Del futuro il buio discerno”.
Scadente la coppia amorosa con una Veronica Simeoni piatta nell’arietta di Fenena ed in difficoltà non appene la tessitura accenna a scendere; ben peggio l’affondista Aleksandrs Antonenko. In una parte di amoroso e neppur troppo eroico grida senza pietà salvo poi risultare sordo ed opaca nell’unica frase in cui sarebbe richiesto ad Ismaele una certa dose di ormoni maschili. Alludo all’ esplosione “per amor del Dio Vivente” alla scena quarta del secondo atto dove più che disperato, come il libretto richiedere questo Ismaele è afono. Non mi risulta che la tessitura batta una zona particolarmente problematica della voce.
L’equivoco che la voce verdiana sia una voce grossa permea tutta la prestazione di Liudmyla Monastyrska . Solo che quando si disponga in natura della voce di discreto volume, di un soprano lirico da Desdemona, Butterfly e Adriana e non del torrente naturale di una Dimitrova (indiscusso modello in certe parti per certe voci di area slava) si finisce con emettere suoni sordi in prima ottava (discesa al si grave di “ di mia vendetta il folgore alla sortita o il salto di due ottave di “Oh fatal sdegno”) opachi al centro (aria) e gridati negli acuti estremi, di cui la parte è prodiga. Devo segnalare quando accade quando Abigaille, che ha cantato in falsetto l’andante “Anch’io dischiuso”, arriva ai due la nat “del perduto incanto”. Siccome non li sa cantare piano (in falsetto, meglio) prende un bel fiato e li bercia in pianissimo (autentica prodezza), analogo suono spinto e stretto in gola compare sul do, preceduto da abusiva presa di fiato,dopo la scala di trilli della cabaletta. Quando Abigaille vuole essere ironica ed insinuante “Io t’amava il regno ed il core” all’ingresso o il breve “un’altra figlia” emette suoni fissi e senza appoggio.
Insomma una cantante con una cospicua dote per altro repertorio (ben più leggero) e priva del controllo e sostegno tecnico indispensabile. E questo dispiace perché di voci di qualità il teatro d’opera ha quotidiano bisogno.
Come il teatro e chi muova i primi passi nella carriera avrebbe bisogno di imparare il decoro ed il rispetto per sé e per il pubblico dai colleghi più anziani ed onusti di oneri e di compensi. Ma sulla scena di questo Nabucco tale insegnamento ed esempio è mancato. La prestazione di Nucci non merita di essere recensita, merita di essere compatito chi del pubblico parlava di perfetta aderenza drammatica al personaggio. Credo che questa persona assidua in loggione ignori il significato italiano di queste parole e per questo solo, credo, applauda.
Venerdì sera c’ero anch’io alla prima di Nabucco…. riguardo l’allestimento, vogliamo parlare di Nabucco che canta “O prodi miei seguitemi” in BRETELLE?
Quando un’ OPERA MUSICALE viene eseguita mediocremente ed un orchestra scaligera sembra la banda d’Affori, quando una scenografia ed i costumi nulla hanno a che fare con quanto accade sul palcoscenico, quando tutti gli interpreti sono in camicia e bretelle al punto di far dire ai profani, “beh si tratta di una prova…” Quando un basso come il personaggio di Zaccaria è un baritono ingolato e la sua aria passa nel totale silenzio…Quando la difficile aria d’Abigaille viene disturbata dall’incantesimo del fuoco della Walkiria, quando Leo Nucci oggi settantenne è l’unico che riesce ancora in qualche momento a dimostrare che cosa è il canto, quando un’opera che dovrebbe festeggiare il bicentenario verdiano è una tale offesa all’autore da farlo rigirare nella tomba. Al mio rientro in Casa Verdi ho sentito il dovere di recarmi alla Sua cripta e dirgli: “Maestro, scusali non sanno quello che fanno. Claudio Giombi
signor giombi, mi stupisce vederla qui. Trovo che lei metta il suo nome dappertutto esagerando nel farsi pubblicità. Le do il benvenuto, ma la prego di limitarsi a firmare i post. Una volta basta e avanza
wow claudio giombi il mio caratterista preferito (m accorsi d lui nelle nozze di figaro del 1981) se m e’ concesso un saluto e tanti tanti complimenti
In caso, trovo che parlare di “bolsi applausi” sia più che appropriato. Personalmente trovo che non siano state fatte porcate, ma dalla Scala ci si aspetta ben di più che il minimo sindacale! E infatti un titolo come Nabucco alla Scala che termina con pochi minuti di asfittici applausi trovo possa essere considerato un fallimento tout court! A quanto un’opera scaligera che infiammi?
Il testo della e mail speditami da un amico americano, che ha assistito alla prima del Nabucco scaligero:
“It was hard to enjoy this very poor performance. For Nucci is a sprechgesang opera, for the others is written in quart tone notation. For Luisotti is an enigma.”
A proposito della banalità di certi manierismi registici e del riflesso quasi pavloviano che provoca nella scarsa originalità di taluni, la presenza nella drammaturgia dell’opera di ebrei in qualche modo perseguitati (ovviamente attualizzata nella solita shoa), ho trovato di scarsissimo pregio l’evidente “ispirazione” (diciamo così) dell’apparato scenico all’orribile “Holocaust-Mahnmal” di Berlino (quella serie di parallelepipedi di calcestruzzo ad altezza variabile che occupa – e deturpa – una vasta area nei pressi della Porta di Brandeburgo). Ora Daniele Abbado non è nuovo a scelte minimaliste, ma stavolta mi sembra superato il segno nell’evidente mancanza di ispirazione. Pare che qualcuno, comunque, abbia gradito e ringraziato sentitamente per averci “risparmiato” tuniche, copricapi e iconografia babilonese (eppure mi sembra che il libretto in qualche modo faccia riferimento a tutto ciò, ma probabilmente sbaglio io…).
Ps: non sono d’accordo sulle ascendenze rossiniane del Nabucco (né del suo essere un Mosè popolare). Troppo diversa è l’impostazione drammatica, musicale e vocale. Così come nel Donizetti degli anni ’40 (che scriveva Favorite, Linda di Chamounix, Don Pasquale, Maria di Rohan, Caterina Cornaro…) lontanissimo dalla scrittura e dalle convenzioni rossiniane.
Mi sono sintonizzata su RAI5 appena in tempo per assistere all’entrata del Gran Sacerdote di Belo che annunciava sconvolto: “Orrenda scena s’è mostrata agli occhi miei”. Beh, non ho potuto che essere d’accordo.
fa molta tristezza vedere Nucci che alla sua età si presta a scelte registiche come quelle che abbiamo visto, chi è nello star system
potrbbe permettersi ,se vuole, di rifiutare invece che subire certe scelte;ma si sa se fosse andata così avremmo visto Nabucco
con altro baritono e non con altro regista. Giancarlo
CArissimo Otello, anche noi continuiamo a sperare che le superstars tornino a dire di no a certe assurdità registiche. Una volta lo facevano, si rifiutavano. Oggi….nessuno. E non so se è perchè non gli frega nulla di quello che fanno, nulla del pubblico o che altro……So però che la schifezza non trova barriere tra il pubblico, a cui poi viene detto che non deve contestare, e chi produce. Continuiamo pure così
Era un’assurdità registica? Mah si continuiamo a creare le Opere come nell’800 senza contestualizzare, così finalmente presi da incredibile noia potremmo spegnere il cervello portando a morte Lirica e Teatro.
Contestualizzare significa rimpiazzare la drammaturgia originale con una serie di topoi registici buoni per tutte le occasioni?
io domenica sono andato molto prevenuto a questo Nabucco e tuttavia devo dire che non era poi così male. Le proiezioni sullo sfondo (sfasate rispetto a quello che succedeva al proscenio) erano suggestive e lo spettacolo nell’insieme aveva una sua eleganza che soprattutto non disturbava la musica. Alla TV risultava molto più piatto e scuro.
Non un’assurdità ma una risaputissima, abusatissima, irrispettosissima banalità. Se per accendere il cervello le basta questo le tenebre devono essere veramente fittissime.
veramente le altre volte si utilizzava lo specchio dietro per riflettere quello che succedeva davanti (mi ricordo per es. il Mitridate a Salzburg o la Traviata con le scene di Svoboda) qui la sfasatura ci stava bene. cmq de gustibus
I quadri visivi proposti da Abbado, minimali, erano molto belli, e oggi ho acceso il cervello cercando le interpretazioni date dal regista…
Molto differenti da come appaiono da una superficiale interpretazione dell’Opera. Ricche di consapevolezza e per niente banali, anzi, forse lei non le ha viste e ha dato del banale ad uno spettacolo che non lo è, spegnendo il cervello… si, interpretazioni di non facile lettura, ma d’altronde penso sia anche un bene, lo spettatore può informarsi e avere del cibo intellettuale aggiuntivo anche dopo lo spettacolo. Oppure fermarsi alla prima impressione e giudicarlo banale… e magari spoglio… come un quadro di Rothko
ohohoho….lo spettatore intellettuale che deve pensare e abbandonare l’idea ludica del teatro. Che noiosa frittata anni’70….dai. Uno spettacolo che non c’è, e meno c’è, più ci vengono a dire che siamo ignoranti e non capiamo. Spettacolo d’autore, abbado jr……dinasty!!
Rothko? Guardando Nucci e le sue comiche espressioni facciali ciò che torna alla mente è Joe E. Brown in “A Qualcuno Piace Caldo”, senza purtroppo l’immortale battuta (ancor più appropriata nel suo caso): “Nessuno è perfetto”.
non ho mai asserito questo. Si può fare sempre grande teatro anche senza ricalcare stilemi triti e ritriti. Si può fare tutto e con ogni cifra, ma occorre avere idee vere. Se non ci sono qlunque cifra si scelga non si riesce a convincere. Il teatro col libretto di istruzioni o col traduttore mi ha sempre ispirato diffidenza, come pure quello….vuoto e povero di idee, come quello di abbado. Il genio se c’è brilla da solo e traspare senza difficoltà.
Io credo che Daniele Abbado sia uno dei registi più sopravvalutati di sempre: nessun suo spettacolo è stato mai appena decente. Molti parlano di “minimalismo” (quando non si sa che dire) e, in effetti, hanno ragione: siamo al minimalismo ideale, ossia al vuoto spinto di idee. Nessuna vera regia, ma l’evoluzione “minimalista” del tremendo concerto in costume di pizziana memoria: qui al posto del costume non c’è nulla però.
Detto questo non trovo vi sia nulla di male nel restituire l’opera ad una dimensione narrativa e, perchè no, storica, fidandosi (una buona volta) dei libretti su cui e per cui i compositori hanno scritto quelle determinate musiche. Francamente mi interessa di più la drammaturgia e il senso del teatro di Verdi piuttosto che le idee radical chic di un esponente del clan Abbado (e come lui tanti altri) che – IDEA NUOVA E GENIALE – reitera stilemi da avanguardia anni ’70…con quarant’anni di ritardo.
Qualcuno ha scritto che “finalmente” ci sono state risparmiate tuniche, corazze e ambientazione assira…e all’opera è stata tolta certa sacralità. E perché “finalmente”? Se può essere polverosa una messinscena tradizionale (ma bisogna anche distinguere, non è detto che lo sia per forza) lo è senz’altro di più la riproposizione di manierismi raffazzonati senza alcun talento (davvero mancavano solo i nazisti).
Peraltro ci sono molti registi moderni e apprezzati (penso a David McVicar) che fanno ottimo teatro musicale senza per forza riempire il palco di sabbia, parallelepipedi di cemento (evidente “ispirazione” all’orribile monumento all’olocausto che deturpa Berlino) e gente in canottiera e braghe di tela…
Io trovo il monumento berlinese bellissimo e commovente.
Marco Ninci
Io lo trovo orribile.
che abbado non sia un mostro d fantasia e’ vero ma le sue regie anche le meno riuscite visivamente (vedi rigoletto) almeno non disturbano la musica e credo che costino poco. Davvero dai piani alti lo spettacolo appoggiato su quella sabbia cremosa non era male e come ha rilevato inox i fondali per niente banali