Esempio tra i più classici di emissione pomposa, autocompiaciuta, tendenzialmente gonfia, cavernosa, indietro, pesante, priva di varietà nelle dinamiche, nei colori, nel “dire”: solo la statica, pigra e narcisistica ostentazione di una generosa natura vocale. La registrazione live evidenzia poi, rispetto al disco ufficiale, anche talune pesanti défaillances nell’intonazione, conseguenze matematiche delle carenze nell’emissione. Il breve recitativo evidenzia già l’incapacità di “dire” con semplicità, schiettezza e comunicativa, all’italiana, non c’è ombra di scavo psicologico nella parola verdiana (invito al confronto con il canto sulla parola di un Tajo). Nell’aria osserviamo sul lato vocale il ricorso ad una emissione scavata in basso, “scucchiaiata” all’indietro per aggredire le note del registro acuto, come il re3 di “DunCAno” a 1’58’’, una A molto indietro e ovattata, rozzamente arrotondata in una O priva di squillo. Nessuna differenziazione dinamica o coloristica sulla frase “mille affannose immagini m’annunciano sventura”, segnata con una “p” sullo spartito, per creare la tensione che prepara lo sfogo nel successivo “e il mio pensiero ingombrano”. A 2’39’’ l’intonazione cala sensibilmente sul do#3 di “di larve e DI terror”, la nota di passaggio della voce di basso, per di più sulla vocale “i”, tallone d’Achille delle voci ingolfate. Intonazione ancora problematica nei due impegnativi attacchi sul mi3 della ripetizione di “il mio pensiero ingombrano”, ancora sulla difficile vocale i. Raro peraltro sentire un qualsiasi basso del dopoguerra in grado di risolvere dignitosamente quel passaggio, vuoi per le diffuse durezze, forzature, stonature, vuoi per il rifugiarsi in un’emissione sorda, indietro e ovattata: colpa di Verdi o colpa del malcanto?
78 pensieri su “I venerdì di G.B. Mancini: impariamo ad ascoltare. Nicolai Ghiaurov nel Macbeth.”
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Mancini, hai descritto un obrobrio vocale che francamente non riconosco. Sono d’accordo con te sugli acuti ingolati, ma l’emissione di tutta la tessitura ingolfata, indietro ecc. no. Poi Tajo è un altro pianeta, d’accordo.
Per i bassi del dopoguerra, senti quì che bravo http://www.youtube.com/watch?v=bC_y1Piz1eg
Ho ascoltato molte volte Lorenzo Gaetani, una voce di basso autentica. Aveva studiato con Marcello Del Monaco, insegnante da molti dipinto come demolitore vocale, che invece ebbe diversi allievi i quali divennero ottimi professionisti dalla lunga carriera.
Ciao Antonino.
Ma veramente non trovi ingolfato il canto di Ghiaurov postato qua’ sopra? Puoi ammirare la voce se ti piace, puoi dire che ha eccellente dote naturale, ma se non e’ ingolfato lui…per non parlare della piattezza interpretativa.
Anche Gaetani, che ho visto due volte in Macbeth, ci mette del suo sia chiaro, pero’ in effetti in alto e’ tanto meglio del basso bulgaro. Ciao .
tra i bassi del dopoguerra non dimenticherei Giaioitti! Solido e affidabile come una roccia, forse poco fantasioso, ma tecnicamente sicurissimo. Il migliore e piu’ assiduo Zaccaria per oltre un trentennio!
ma quanto ballava Giaiotti…..da farsi venire il mal di mare. Siamo precisi, il primo basso Giaiotti non lo ha fatto per sistema come Ghiaurov o Raimondi. Spesso era secondo cantante…
Dai! Giaiotti ballava, ma ballava da vecchio (e comunque piu’ in disco che dal vivo)! Da giovane era di una solidita’ unica per l’epoca… poi ovvio che Pasero e De Angelis erano un altra cosa…
c’era un po’ di autocompiacimento per l’affetto che gli dimostrava il pubblico nelle ultime “ballate” che ho ascoltato (87-88 v. concerto carreras arena 1988). Due tre anni prima quando era tornato prepotentemente di moda (v. anche un bel Sarastro a Torino) ballava ma in maniera minore quasi simpatica direi
vale quello che ha scritto fleta…io la penso così.
Gli acuti di Ghiaurov sono sempre stati osceni, e sgradevoli, anche nel Simon Boccanegra.
Bravo Mancini che ricordi Tajo! …dovrebbe essere preso a modello di emissione almeno dai bassi italiani.
Quando ero agli inizi di tutto ammiravo molto Ghiaurov perché la voce che mi giungeva dai dischi con una certa imponenza.
Poi si comincia ad imparare ad ascoltare e le magagne diventano abbastanza patenti… Gli acuti però, fin dall’inizio mi hanno sempre suscitato orrore.
In ogni modo, meglio Ghiaurov che non, che so, un Robert Lloyd…
Antonino: ti nomino mio scova-bassi ufficiale!
La vocale “i” è un’arma a doppio taglio: da un lato è la vocale più difficile in acuto, dall’altro è quella che porta fuori il suono almeno nei centri. Se si emette bene, s’intende.
Non l’ho mai sopportato. La sua voce greve, i perenni slittamenti d’intonazione mi sono sempre sembrati fastidiosissimi. Per inciso:le recensioni estatiche ed entusiastiche di un suo noto “fan” le ho sempre trovate sommamente ridicole!
il suo declino é cominciato presto, tanto che nel 1978 quando incominciai ad ascoltarlo dal vivo, tutti in loggione parlavano del velluto che fino a tre quattro anni prima vantava. Dal vivo però era spettacolare soprattutto quando entrava nel Simone o in tutto il Boris dove alla prima cantava con Ghiuselev (Pimen) e Raimondi (Varlaam).- Qualche giorno fa riguardavo il concerto del centenario dell’opera di Roma (quello con Tagliavini che canta per l’ultima volta) e il trionfo che decretarono alla sua calunnia era quello che Macbeth a parte (ruolo dove non ha mai brillato tanto che prendeva i suoi applausi di stima alla fine del secondo atto e poi se ne andava) tutte le sere il pubblico gli decretava. A me Ghiaurov ha dato grandi emozioni
Anche io come Tamberlick sono cresciuto ascoltando Ghiaurov, e imitandolo pure agli inizi. Poi crescendo, come dice Tamberlick, si impara!
Assolutamente d’accordo con la recensione di Mancini. Purtroppo questa impronta di scuola slava (Christoff non presenta molte differenze rispetto a Ghiaurov se non forse una voce più legnosa) tutt’oggi rimane e ha mietuto molte vittime: Giaurov per i bassi è come la Callas per i soprani!
A parte tutto, un brano con una musica STUPENDA!
Quindi De Reszke esempio di buon canto e Ghiaurov schifo? Davvero?
Entrambi a loro modo esemplari: De Reszke esempio di come possa anche un basso cantare con la propria vera voce, con schietta naturalezza, Ghiaurov esempio opposto, e a mio giudizio negativo, di un canto basato sull’autocompiacimento timbrico, sulla superficiale ostentazione del colore, del vocione impastato. Lo so che non riuscite ad accettare un cantante come De Reszke, avete le orecchie troppo assuefatte al canto corrotto del dopoguerra.
e no caro mio! orecchie assuefatte un tubo! i difetti di ghiaurov non li nego, pero’ i pregi suppliscono. il legato che pare un violoncello per esempio.
de reszke e’ una caricatura, da tutti i punti di vista. vogliamo parlare dell’intonazione??? indecente! sembra un degno compare della de andrade… e’ orrendo e basta! e non centra l’assuefazione all’eccesso di copertura tipico del dopoguerra, perche’ io plancon lo adoro cosi’ come endreze pinza e de luca, voci gravi ma chiare! de reszke e’ uno scherzo e basta! e ghiaurov nei suoi difetti resta un fuoriclasse
che tu condivida o meno la voce si mette come la mette de reszke punto e basta.
ma allora se dici chevla voce si mette come de reszke punto e basta non sei coerente quando dici le tecniche sono tante il canto e’ uno
Che le tecniche siano tante è un dato di fatto, non esistono due soli cantanti identici tecnicamente. Ma il suono giusto è uno solo, al di là della tecnica.
Forse Mancini dovrebbe spiegare cosa intenda per diverse tecniche.
Io non so se esistano diverse tecniche. La penso più come il nostro Orfeo Sardo quando poco tempo fa riportava le semplici paroline della Joan…
Si tende a confondere il canto con la tecnica. La tecnica non è che un mezzo, uno strumento, una stampella che aiuta la voce a sostenere il canto. Tutti, eccetto forse taluni eccezionali casi di cantanti nati, devono passare attraverso una fase tecnica per poter cantare, molti anzi non la superano mai. Ma il canto non è tecnica. Ciò che nel canto è tecnico (vuoi una vocale modificata per propiziare l’emissione, vuoi una sottolineatura del passaggio mediante l’oscuramento, e via dicendo) è sempre qualcosa di imperfetto, di non trascendentale, di non sublimato, di non finito, è uno stadio graduale, una impalcatura da superare. Le tecniche sono diverse perché devono rispondere ai problemi particolari, alle esigenze fisiche di ogni soggetto, è il fine che la tecnica persegue che è, o dovrebbe essere, UNO, in quanto il canto è uno e non può che essere uno.
premesso che de rezke non mi finisce, ma nemmeno mi pare una cariaatura, trova ghiurov stomacale, come lo definì con esattezza celletti. L’emissione mi disturba prorpio, la vce sempre pompata e allargata . nè trovo questo legato super, piuttosto una natura super…..un dono eccezionale che abbaglia al primo ascolto. Poi alla lunga diventa triste ew noioso, retorico. Insomma uno stereotipo di aulicità estranea al canto italiano
Tutti veri i difetti che elenchi. Dico solo che, fino agli anni 70, in virtu’ di una natura mostruosa, i risultati erano comunque apprezzabili. Poi, come ho detto per Giaiotti (che comunque gli era tecnicamente MOOOOOLTO superiore), Pasero e De Angelis sono altra cosa. Ad ogni modo la colpa piu’ grave da imputare a Ghiaurov non e’ come ha cantato (che a mio avviso non era cosi’ male), ma la scuola che ha involontariamente creato: quella infinita pletora di pessimi imitatori di estrazione spesso (ma non sempre) est-europea….
mah, forse non ha colpa lui della scuola che ha creato, ma l’aver fatto cotanta carriera, avere avuto cotanto mezzo, e non avere avuto nessuno che gli scrivesse che cantava male e alla fine malissimo, salvo il noto vituperato critico. Se poi andiamo al tema del factory di cuisi sta parlando oggi, ecco moltissimi maestri ed allievi tendono a cercare quella voce di stomaco. Uno per tuti dei giovani, che mi sa che ha pagato salato il farlo, anastassov…..che imita persino il vecchio stanco sulla scena. Cantanti come modelli schiaccianti, e giovani che fanno il verso sino alla caricatura
Mi spiace enrico, ma Mancini ha ragione: la voce si mette come la mette lui. Che è una cosa BEN DIVERSA dall’apprezzare il colore chiarissimo della voce.
Poi sarà stata anche una voce acciaccata nel momento della registrazione, oppure quella registrazione del 1903 (millenovecentotre) non è che fosse la cosa più efficiente della terra. Si trattava comunque di Edouard De Reszke, non di uno scherzo: visto che non è certo passato alla storia per essere il contraltare maschile della Foster Jenkins!
A me comunque Ghiaurov non fa schifo.
Non lo trovo stomachevole.
E anche a me come ad Alberto, sebbene solo in disco, ha trasmesso molte emozioni. Soprattuto nel Simone di Abbado. Ma dire che canti bene, NO.
Ed è anche questa una bella differenza con i canidi che popolano i teatri, oggi.
Digredendo: pure Cappuccilli, in quell’edizione… quel suo “Taci! Non dirle…” mi è passato sotto la pelle e lì è rimasto.
D’accordissimo con Mancini. La carriera di Ghiaurov è un mistero: ci vuole molta fede per soprassedere sull’orribile fraseggio, i suoni stomacali, le stonature continue, gli acuti peggiori mai ascoltato… In questi giorni riascoltavo Nabucco (EMI), beh il suo Zaccaria non sarebbe stato accettato neppure nelle osterie.
Ps: Christoff era decisamente meglio
Perfettamente d’accordo su Christoff. Secondo me era tutto fuorché un pessimo basso. Emendabile, ma molto meglio di Ghiaurov.
Non posso che condividere quanto scritto da Mancini. Ghiaurov aveva delle qualità naturali fuori dal comune, purtroppo non supportate da una tecnica (e in qualche caso anche da un gusto) adeguati. Nonostante sia stato il basso verdiano di riferimento del massimo teatro italiano per un ventennio, lo trovo tecnicamente inferiore a Boris Christoff i cui acuti erano, almeno a mio parere, molto più intonati, rotondi, timbrati (e potenti) rispetto a quelli,francamente spesso imbarazzanti, di Ghiaurov. Purtroppo della bellissima scena di Banquo non esistono, almeno a mia conoscenza, incisioni dei grandi bassi dei primi decenni del secolo scorso. Neppure i tre grandi italiani (Pasero, De Angelis e Pinza) credo abbiamo mai inciso il brano del Macbeth.
beh, era più significativo incidere qlcsa di Zaccaria di Nabucco. benvenuto!
Grazie per il benvenuto (anche se sono parecchi mesi che vi leggo con piacere). Si, certamente all’epoca Macbeth non era forse così popolare (o di repertorio) ed è, come dicevo, un vero peccato. Su Zaccaria, beh ciò che ci hanno lasciato De Angelis e Pasero (ma anche Mardones) sono, o dovrebbero essere, dei punti di riferimento per tutti i giovani cantanti e non solo per la perizia tecnica ma anche per l’interpretazione, il fraseggio, l’aderenza al personaggio che rappresentano, sempre a mio modesto parere, una vera e propria lezione di canto verdiano
non s puo’ tirare fuori solo il peggio d ghiaurov. Il valore del suo filippo II diretto da Solti il boris con von karajan fiesco colline timur puritani lucia e tanti altri ruoli sono eccellenti. senza contare il valore aggiunto nelle recite live
è sempre con la voce nella gola …..larga larga……fai un parallelo, senti lui e poi uno che preferisci, kipnis pinza…e senti nettamente che ha sempre cantato così
per me, lo ripetero’ fino alla noia, il pubblico ne capisce piu’ del preteso grande intenditore che puo’ essere uno come mancini. Nell ascolto dal vivo d un artosta la matita rossa e blu del critico s spunta facilmente
Gentile albertoemme, premetto che non sono (ne mi reputo) un critico o un intenditore (nel senso di esperto di tecnica vocale) e non ho mai potuto ascoltare Ghiaurov dal vivo. Tuttavia credo di poter dire, da semplice melomane, che vi è un abisso fra Ghiaurov ed i grandi bassi dei primi decenni del novecento. Per limitarmi ad un esempio da lei citato (la versione in studio dei Puritani incisa con Bonynge per la Decca) la invito ad ascoltare l’aria di Giorgio incisa da Ezio Pinza nel 1924 e facilmente reperibile su you tube. Mi pare impossibile non riconoscere (tralasciando ogni aspetto tecnico) che Ghiaurov è monotono, piatto, sempre ancorato ad un perenne mezzoforte e per dirla tutta noioso. Forse dal vivo “l’avvenenza scenica” avrà mascherato questi (ed altri) difetti ma il disco è implacabile.
Con viva cordialità
ma tutte le critiche su ghiaurov c possono stare compreso la sua relativa al ruolo d giorgio. volevo solo precisare che come metodo d analisi d un artista utilizzerei il meglio e non il peggio d quello che ha fatto e d non dimenticare l impatto che l artista aveva sul pubblico
ma è dagli errori che si impara ad ascoltare
ma é dagli esempi positivi che nascono gli stimoli per fare qualcosa di ancora migliore
Nella mia rubrica non mancano gli esempi positivi.
si…qualche volta e col cuore di un vulcaniano
Vedi, Mancini, se il tuo metodo deve essere quello di indicare errori da cui si impara o di esemplificare qualità positive da seguire, tutto diventa inutile. Si tratta di esecuzioni singole da esecrare e di esecuzioni singole da ammirare. Sono gradini che ci portano a quell’autentico feticcio che è il canto uno e solo, il quale governa dall’alto ogni valutazione. Se si vogliono indicare difetti, si prende il peggio di un singolo cantante, magari da confrontare con il meglio di un altro prescelto.In questo modo tutto torna; ma soltanto per uno sprovveduto. Altra sarebbe la valutazione se si prendesse in esame Ghiaurov nel Don Giovanni diretto da Klemperer; un Don Giovanni oltretutto enormemente, e giustamente, osannato dal nume tutelare di questo blog, Celletti. Come è stato disonesto prendere la Schwarzkopf in un tardo Così Fan Tutte del ’62, non in quello, meraviglioso, diretto da Karajan. Ma quello che è più sbagliato nel metodo di Mancini è che le prestazioni dei cantanti sono per lui soltanto mezzi per la dimostrazione di una tesi; una tesi ovviamente sballatissima, come quella del canto uno e uno solo. Tutto quello che è storia, tutto quello che un cantante ha significato nel suo rapporto col repertorio, con la sua evoluzione, con gli altri interpreti, per lui non esiste; esistono soltanto errori, errori più grandi, errori più piccoli, qualità più positive, meno positive, una lontananza più o meno grande da un ideale ipotetico di perfezione, la cui esistenza è più difficilmente dimostrabile di quella di Dio nella prova ontologica di Anselmo d’Aosta. Così non si impara ad ascoltare; ci si rinchiude soltanto nella tribuna di Beckmesser, che non è quel che si dice un grande intenditore di canto.
Marco Ninci
bel discorso, professore.una bella sega mentale di uno che di canto non capisce niente! cedo la parola a mancini
grisi il tuo commento é di un eleganza pari a quella di una che si mangia la bistecca in un panino tagliato a metà per far prima
ha parlato il maestro di bon ton! Ma che palle, sono anni che scrive sempre le stesse idiozie fintoculturali e che ci da lezione di niente perchè non sa niente!
Le osservazioni di Marconinci sono a mio avviso ben argomentate : suggeriscono agli ingenui una possibile interpretazione del meccanismo e questo può dare molto fastidio. Naturalmente le si può non condividere ma – dovrebbe essere ovvio – è necessario rispettarle. Dispiace dunque davvero – a prescindere dal merito – leggere risposte come quelle date dalla padrona di casa, indizio che la sedicente competenza in merito di tecnica vocale inciderebbe assai poco sulla “civilisation”, cosa che alla fine renderebbe tale competenza del tutto sterile.
alla lunga, l’insistenza e la continua molestia di ninci come di altri che vengono qui solo pre provocare non avendo nulla da dire, stufa. anzi, rompe le scatole.
non ti abbiamo mai visto però su altri siti ove si organizzano linciaggi ai sottoscritti, a cui il buon ninci spesso partecipa, postare messaggi come questi parlando di civilisation. anche tu, quando userai lo stesso metro per tutti sarai credibile. fino ad allora, per me fai parte del gruppo di cui sopra.
Marco, Ghiaurov ha “retto” fino ai primi anni sessanta, poi, mano a mano, da appena sopportabile a cessissimo (Silva!)
anni settanta non sessanta lily siamo nel 2013 😉
Caro Alberto, mi riferisco a uno dei tanti Don Giovanni da lui cantati in
Scala (il mio diretto da Scherchen): fu l’ultima volta che mi parve in qualche modo apprezzabile.
Oltre alle carenze tecniche indiscutibili – puntualmente analizzate da i molti competentissimi amici cui sopra – rimprovero a Ghiaurov il continuo rifugiarsi in una certa prestante, elegante, ripetitiva genericità – sia vocale sia scenica – che pareva fatta apposta per piacere alle Contesse Clare e alle Zie Principesse.
Che noia!
tale indispensabile vaso è quello che io ho sempre sentito in scala dal 1971 circa. ma anche quando era peggio che un feretro (aida 1985 per tacere dell’ultima apparizione nella gioconda) in scala sembrava cantasse il padreterno in persona.
Anche nel Don Giovanni, ruolo che gli veniva meglio degli altri (l’edizione Rai con Giulini, non certo quella catatonica di Klemperer!) non mi ha mai convinto. Mi ha sempre fatto pensare al lupo che insidia Cappuccetto Rosso, troppi suoni cavernosi. (ovviamente è un’opinione del tutto personale)
Caro Billy, non a caso ho detto “in qualche modo”.
cacchio lily pensavo t fossi sbagliata e invece t riferivi al don giovanni e per d piu’ non a quello di maazel del 66 dove cantava anche dame joan ma quello del 63! Dai sei terribile e consentimi il tuo giudizio e’ un po’ esasperato. T chiedo ma del Boris d Ghiaurov cosa ne pensi? Per me anche quello che inauguro la stagione 79 era favoloso e tutti quelli che ho sentito dopo inferiori (per es. kotsherga raimondi furlanetto vaneev
Caro Alberto, penso che il Boris del ’79 sia stato una delle produzioni che hanno reso la gestione Abbado-Grassi più viva e interessante di quelle successive. Per quanto riguarda la presenza di Ghiaurov, la mia opinione – personale ma non troppo, a giudicare dagli altri interventi – è quella espressa qui sopra.
Se poi – da parecchio tempo – non ci sono più grandi Boris, non è colpa né tua né mia.
Sento citare quel catatonico pesante e serioso Don Giovanni di Klemperer come fulgido esempio..e resto di stucco! Sarà che la voce di Don Giovanni per me (e credo per Mozart..a leggere partitura e fonti) non può essere un megafono intubato e stomacale che pare ingolfare appena sale all’acuto. Il mio ideale resta Siepi e la sua eleganza.
Ps: attendo che qualcuno mi mostri la grandezza di Ghiaurov come Zaccaria…
Caro Duprez, Schoenberg diceva – forse esagerando un po’ – che Klemperer era incapace di distinguere Verklaerte Nacht da Stille Nacht.
Anche lui, come me, sarebbe stato capace di vendersi l’anima per una battuta.
Vedo che siamo in buona compagnia. Ciao Lily.
Naturalmente il Don Giovanni diretto da Klemperer non è affatto catatonico. Immagino che lo si consideri così per la lentezza del tempi. Ma la lentezza in se stessa non significa nulla; è grossolano pensare altrimenti. Quello che è invece importante è la tensione interna del suono, che determina un legato di qualità impressionante; in questo Klemperer è sommo ed attribuisce all’opera di Mozart bagliori metafisici inediti.
Marco Ninci
Questione di gusti…
Caro Marco, A volte il tuo parlarci ex cathedra – come se fossimo tutti ragazzini deficienti – veramente mi sconcerta. Che la lentezza dei tempi in sé non significhi nulla è banalità che è grossolano, questo sì, venirci a spiegare. Gli ultimi Don Giovanni di Maazel avevano una durata superiore a quello di Klemperer, però – ove richiesto dalla situazione e dalla partitura – scintillavano di leggerezza. Per favore evitaci (ed evitati) le intemerate, soprattutto se basate su luoghi comuni che non appartengono a nessuno di noi. Ciao
Cara Lily,
su Don Giovanni hai ragione da vendere,
la voce era ancora integra, e gli appoggi sul pancreas di Ghiaurov erano solo appena intuibili, anche se c’erano gia’.
Quanto a Boris invece trovo che tu sia stata troppo generosa, era orrendo vocalmente, tanto quanto l’inascoltabile Silva da te giustamente ricordato. Inascoltabile come la maggior parte degli artisti che parteciparono a quell’infausta, sempre vocalmente parlando, produzione di Boris.
Caro Duprez,
Aspetti invano, se ti riferisci all’ incisione di Nabucco con Muti : nessuno potra’ mai dimostrare che e’ un grande Zaccaria.
Io lo vidi molti anni prima, parlo sempre di Zaccaria, certamente piu’ in forma, certamente meno pancreatico, certamente con una voce che per natura nel dopoguerra ha avuto pochi rivali, ma i difetti erano presenti anche nel 66 a Milano.
Caro Enrico,
Giaiotti secondo me non e’ affatto stato il miglior Zaccaria del dopoguerra, non lo fu per doti naturali, non lo fu per metodo, non lo fu a livello interpretativo, non lo fu scenicamente. Siepi Christoff, Rossi-Lemeni e Petrov lo hanno surclassato. E lo avrebbe senz’altro surclassato anche Ramey solo che avesse iniziato a cantarlo qualche stagione prima, ma questo non toglie che lo canti senz’altro meglio.
Sono invece d’accordo con te sulle stonature e sul canto malfermo di De Reszke’, che, pur con l’attenuante dell’eta’, ci lascia una brutta incisione dell’aria di Silva. Dell’antica (a quanto pare) grandezza , del basso francese non rimane che l’imposto correttissimo. Poco.
No Miguel!! Di questi tempi abitati da bassi infognati, quell’imposto non è un misero resto… È TUTTO!! 😀
Qui vi sembra ondivaga l’intonazione? A me no:
http://youtu.be/-iAd85gz8YM
Esegue pure un trillo alla perfezione.
Anche secondo me se non si sentono calature nell “Infelice” di DR, il discorso e’ chiuso. E se non si sente un canto oscillante e’ chiuso due volte.
I fiati sono corti, in questo sono d’accordo. Ciao.
per quanto mi riguarda il discorso non è mai stato aperto.
Per Tamberlick.
Per te e’ tutto? Libero.
Per me e’ poco. Libero anch’io, no?
E non mi parlare dei bassi d’oggi o di domani, parlo del brano eseguito da De Reszke’. Punto.
Amen! 😀
Che ti devo dire? Lo scopo della rubrica di Mancini è quella di dare indicazioni d’ascolto a chi ne è interessato per cercare di capire cosa voglia dire, tra l’altro, impostare correttamente la voce. Avrebbe potuto prendere anche la Magda 99enne che intona Francesca nel ridotto della Scala che sarebbe andata bene lo stesso. È lontano dal tuo e dal nostro gusto De Reszke? Amen e – aggiungo – chissenefrega! Cantava nel modo giusto? Lo proclamo a caratteri cubitali e pure luminosi! Così come Plançon, Didur etc…
Allora facciamo una bella cosa: cominciamo col dire e col riconoscere qual è la base del canto, l’imposto, cosa che oggi si è persa e che è il fondamento di pietra, e non di sabbia, sul quale si regge tutto quello che viene dopo.
Amen! Amen! E punto e virgola.
Ciao Tamberlick, qui però mi pare che pur citando mancini cadi nell’errore da lui poc’anzi sottolineato e cioé di confondere la tecnica con il canto
MA caro, proclamati e ascoltati quello che vuoi, non ho bisogno di ascoltare un basso che traballa e stona per capire cos’e’ un imposto corretto. E chi mai t’ha parlato di lontananza di gusto? Ma non lo hai ancora capito che non ascolto volentieri le calature?
No? Be’ adesso lo sai. Che siano di questo o di quello, non importa. NON MI PIACE ascoltare la stonata, sia essa dovuta a note crescenti o calanti. Ciao.
De Reszke non è affatto stonato né traballante, ha invece fiati corti e tende ad aprire e allargare troppo in acuto.
Se De Reszke non e’ stonato (in Ernani) allora qui finisce il nostro dialogo, perché abbiamo diversi concetti dell’idea intonazione.
Mancini ha affermato che ci siano diverse tecniche che conducono all’unico canto. Io parto da un presupposto sensibilmente diverso e dico che esistono diverse scuole, cioè diversi modi di insegnare i fondamenti tecnici che quelli sono e quell rimangono sui quali si edifica la voce cantata, che è una roba più semplice di quanto non si possa pensare. Che poi, come giustamente dice Mancini, non esistano due cantanti uguali, sono d’accordo: ma perché non esistono due voci che siano uguali (e non mi riferisco al colore)
Per Paolone.
Pinza è bravissimo nell’aria di Giorgio. Ma per me anche lui viene superato facilmente dalla linea di canto ispirata, precisissima eppure dolente e commossa di Sesto Bruscantini. A cominciare dalla parte introduttiva della scena non presente nella registrazione di Pinza, in cui Bruscantini trova dei colori e pone degli accenti, che sono l’epitome di tutto ciò che vuol dire opera per poi intonare l’aria in un modo tale che pure le prese di fiato diventano musica, perché il legato non è solo respirare al momento giusto, ma il primo strumento di espressione. E lì salta fuori il talento. Sesto avrà anche avuto una voce modesta, ma ci faceva tutto quello che voleva.
Il paragono invece con Ghiaurov diretto da Bonynge purtroppo è impietoso per il secondo: laddove il canto di Bruscantini è un susseguiris di archi a tutto sesto, la linea di Ghiaurov è una sgraziata linea spezzata con imbarazzanti suoni presi da sotto e acuti che si fermano a metà del giro sfocando sul palato. Purtroppo. A cantar bene avrebbe sarebbe stato un fenomeno. Anche se l’interprete non era dotatissimo come altri.
Per tirar fuori dal dimenticatoio altri bassi che secondo me si ricordano poco ed erano tutto meno chiaviche: io dico Ezio Flagello e poi visto che s’è parlato di Giorgio, ve lo ricordate Agostino Ferrin? timbor senile, ma tecnicamente mangiava in testa a diversi più blasonati colleghi.
Gentile Tamberlick, Bruscantini è uno dei miei cantanti preferiti e, quindi, mi riesce facile concordare con lei circa la notevole esecuzione dell’aria dei puritani. Se proprio vogliamo trovare due piccoli nei (almeno a parer mio) si può segnalare la ripresa di fiato sull’ultimo “ognor più amante”, che mi pare meno bella rispetto al legato di Pinza, e la zona grave piuttosto esile (cosa, peraltro, normale considerato che Pinza era un vero basso mentre Bruscantini prediligeva le tessiture più baritonali) Ad esempio il LAb finale è un poco vuoto mentre quello di Pinza è certamente sonoro, timbrato e assolutamente omogeneo al resto della voce. Comunque grande esecuzione, neppure lontanamente paragonabile a quella, per me mediocre, di Ghiaurov.
Su Ferrin e Flagello che dire ? Anche loro non sono, a mio parere, veri bassi ma piuttosto bassi – baritoni. Ciò precisato non ho difficoltà a dire che nel panorama attuale sarebbero di gran lunga i numeri uno.
Cara Lily, non io ma Duprez ha detto un luogo comune, dal momento che “catatonico” chiaramente a quello si riferiva. Io gliel’ho soltanto fatto notare e per fare questo bisognava dire proprio quello che ho detto. Io parlerò anche dall’alto ma certo non sono l’unico qui. Pensa a Mancini e alla sua allergia ad ogni critica. Del resto, non credo affatto di parlare “ex cathedra”. Nessuno me l’ha mai detto e secondo me non è affatto vero. Sarebbe davvero un bel caso se avessi cominciato a farlo qui. Ma c’è sempre una prima volta.
Ciao e un saluto affettuoso
Marco Ninci
Caro Marco, mi spiace che – come di consueto – interpreti i gusti altrui come mero “luogo comune” prodigandoti, successivamente, a ristabilire la verità. Quale verità poi? La tua? O la Verità assoluta? Ma chi la decide? Dove si distribuiscono le patenti di dispensatore di verità? Che corsi bisogna seguire? Forse ti sfugge che il mio giudizio (condiviso da molti peraltro) non è frutto di eccesso umorale, ma arriva dopo svariati ascolti del disco in questione e di tanti altri e – ti sembrerà strano – dall’immensa ammirazione per il grandissimo Klemperer. Direttore straordinario ma che, nell’incisione EMI (forse giunta troppo tardi) a mio gusto non convince. Ribadisco il “catatonico” sin dall’incipit della sinfonia..per non parlare del clima plumbeo, tragico, severo e pesante. O la gestione dei recitativi. Questo se non ti spiace, a mio gusto più che legittimo.
Marco carissimo, i tre aggettivi usati da Duprez sono “catatonico” (che ha ripreso da Billy) “pesante” e “serioso”. Nessuno dei tre, mi pare, ha a che fare con la durata. Io, ad esempio, interpreto il primo come “statico”, “che non va da nessuna parte”, “imbambolato”. La sua è un’opinione (che può non coincidere né con la tua né con la mia), la tua è un’interpretazione ingiustamente riduttiva che ti porta a dire “immagino che lo si consideri così per la lentezza dei tempi.” Beh, forse immagini male. Un caro saluto.
Per Duprez: scusa l’esegesi non richiesta. Mi serviva solo per fare un esempio.
In effeti il Don Giovanni diretto da Klemperer sembra scritto da Brahms, se non addirittura da Mahler…..
Ciao Lily
Esatto – ringrazio per l’esegesi – io non ho affatto parlato dei tempi, ma dell’andamento, dell’identità, del clima in cui viene calato il dramma giocoso che è (DEVE essere) qualcosa di diverso da un’opera seria. In ciò sta l’ambiguità geniale della musica di Mozart. Certo Klemperer usa tempi larghi, ma non è questo il punto – anche Harnoncurt è molto lento, forse ancora di più; ma pure Marriner o Karajan (lo splendido live, non l’aborto DGG) – il fatto è che Klemperer estremizza la propria visione estetica trasformando Don Giovanni in una cupa parabola di morte. Affascinante forse, ma riduttiva a mio parere e realizzata in modo non convincente (soprattutto per il piglio mefistofelico del protagonista e l’estremo rigidità di tutti gli altri).