I venerdì di G.B. Mancini: impariamo a… confrontare. Mattia Battistini e Renato Bruson in “Caro mio ben”.

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Arietta da studio buona per studenti al primo anno di conservatorio. Verifichiamo con questo ascolto comparato come la decadenza del canto abbia reso invece ineseguibili per primi proprio i brani più semplici, tecnicamente elementari, che richiedono naturalezza di imposto, cura della parola, espressività cameristica, senza pose pompose da caricatura di cantante lirico. Confrontiamo i due attacchi. Il brano è una perorazione amorosa, chi canta si rivolge alla persona amata perché cessi di farlo languire e sospirare d’amore. L’attacco di Battistini (che esegue il brano in tonalità di mi maggiore, più alta di mezzo tono rispetto a Bruson), sul mi naturale (per un baritono siamo in piena zona acuta), è in pianissimo, una mezza voce sospirata su cui vengono condotte tutte le prime frasi. Va segnalata la tendenza a prendersi qualche fiato di troppo (derivante anche dalla scelta di un tempo molto lento e riflessivo, e dalla notevole libertà agogica, che mai segue pedestremente il metronomo), e l’uso talora eccessivo del portamento (nella prima frase “senza di te-languisce il cor”). L’attacco di Bruson è strombazzato a piena voce, pare di sentire Rigoletto scagliarsi contro i cortigiani, nessun fraseggio, nessuna dinamica, tempo frettoloso, tirato via, metronomico. Nella sezione centrale (“il tuo fedel…”) Battistini sa gestire da sapiente artista il climax espressivo che porta allo sfogo sul punto clou di “CEssa crudel tanto rigor” (fa#), e lo fa attaccando ancora in pianissimo ed eseguendo un impeccabile crescendo, in cui la voce percorrendo la strada del’acuto resta sempre raccolta nella giusta posizione avanti. La ripresa è ancora sognante, leggera, sospirata, magnifica ancora la capacità di diminuire il suono in zona acuta, nella chiusa, sul mi naturale di “senza di TE”. E ricordiamo che il cantante in questa incisione ha largamente superato i sessant’anni, e la voce è chiara e fresca. Non così Bruson, dall’emissione come sempre grossa e imbolsita (anche se oramai siamo arrivati purtroppo ad assuefarci a questo modo di cantare nel repertorio verdiano, appare comunque in tutta la sua grottesca artificiosità quando messo alla prova in arie antiche come questa), ma quel che è peggio censurabile qui anche sul versante stilistico e musicale. La sezione centrale è ancora malamente strombazzata, tutto spinto sul forte dall’inizio alla fine, con suoni particolarmente brutti sulla vocale E (“il tuo  fedel”, o l’acuto su “cEssa crudel”). Arrivato alla ripresa non esegue il portamento per legare il “rigor” con il “caro”, dove per inciso la A (mib, sul passaggio) è risolta con una intervocale sporca e indietro. Neanche un accenno di diminuendo sul mib finale di “senza di TE”. Solo rozza ed inespressiva vociferazione.

13 pensieri su “I venerdì di G.B. Mancini: impariamo a… confrontare. Mattia Battistini e Renato Bruson in “Caro mio ben”.

  1. Gianbattista, confronto altamente paradigmatico.
    L’esecuzione di Battistini è un incanto dalla prima all’ultima nota.
    Bruson inascoltabile come sempre (ormai anche inudibile), sia per l’intollerabile ed orrenda emissione, sia per la mancanza totale di musica, che altrove non gli mancava (il che non ne giustificava in ogni caso il suo canto).

  2. Ah, caro Mancini, che crudeltà !
    Basta l’ attacco per aver voglia di buttare via Bruson.
    Battistini è uno splendore, incanta e rapisce – concordo con D’Emilio – il povero Bruson qui sembra la pecorella che bela sperando di essere salvata.
    Dissento con D’Emilio – si fa per dire – solo sull’ uso della parola canto che, trattandosi di Bruson, è concessione generosa.
    Per me è solo uno che spara – un signore che fece la coda con me, anni fa’ a Como, per un Andrea Chenier, disse di un noto “cantante” : “bravo, si ma el vùsa…”
    Siamo tutti ben consci che l’ uso di archètipi può solo essere fastidioso per chi del canto a fatto solo mestiere, ma mi auguro che, chi ascolti le due incisioni, si renda conto di quale differenza ci sia fra cantare e.. vabbè – diceva un mio amico romano -lassamo perde ch’è meglio.
    Grazie per l’articolo e gli ascolti, ben fatto.

  3. A parte la spocchiosa considerazione che questa sia una “arietta […] buona per studenti al primo anno di conservatorio”, la presente ha avuto un forte seguito di cantanti affermati che l’hanno cantata spesso in concerto: mi viene in mente De Luca (citato dal buon Tamberlick), Gigli, Kraus, Pavarotti e la Crossley, la Galli-Curci, la Caballé, e tanti altri che non cito per mia ignoranza.
    Messo da parte il massacro da parte di studenti di ogni sorta che la affrontano non avendo ancora i mezzi tecnici indicati per l’infelice casualità di trovarsi nella raccolta di arie del Parisotti, quest’arietta trova la sua maggiore difficoltà tecnica nella gestione del fiato, con frasi che andrebbero tutte legate, e se consideriamo la tonalità del Parisotti, in zona acuta per la voce media, come segnala Mancini (Kraus la sollevava anche di una seconda maggiore).
    Non sono un amante dei vezzi stilistici di Battistini, che trovo melensi e gigioni, però la tecnica di respirazione-appoggio-proiezione c’è tutta! Bruson, spiace dirlo per la sua fama, sembra un dilettante!

    • Come non concordare? Il Parisotti è tutt’altro che un catalogo di giochi per bambini: la mia maestra soleva sempre dire che prima si impara a cantare il repertorio da camera; dopo si passa alla lirica e viene pure più facile perché è sulla prima che si impara a, giustamente, utilizzare il fiato. Si può cantare decentemente il Ballo in maschera e cascare miseramente su Giordani.

      Sai che ero indeciso se suggerire De Luca o Kraus? Ho optato per il primo per due ragioni: conformarmi alla scelta di far sentire dei baritoni, ma anche perché Kraus pur bravo attacca troppo forte. Trovo invece morbido al punto giusto l’attacco di De Luca. E non “bluffa” – si fa per dire! – con la mezzavoce. E in quest’aria credo che sia quella una delle cose meno riuscite a tutti. Mio modestissimo parere.

    • La voce è messa benissimo, peccato solo che qui non si impegni molto sul versante musicale ed espressivo (l’accompagnamento dell’organo poi, come pure in Bruson, non mi piace). Da notare anche il trillo nella cadenza finale… grandissimo cantante.

  4. Per me é ancora una volta un confronto che non ci sta e comunque mal scelto. Due interpretazioni agli antipodi: una manierata, l’altra molto austera e quindi, tenuto anche conto dell’accompagnamento con l’organo (che non stimola certo la sfumatura) tagliata giù con l’accetta. Ciò a prescindere che anche Battistini lo trovo grandissimo solo in questi tre spezzoni 52″-1’07” 1’22-1’32” e 1’35”-2-00″” e per mio gusto (che é relativo ma alla fine il confronto proposto da Mancini é come sempre l’autocelebrazione del suo gusto) preferisco un’esatta via di mezzo tra le due impostazioni. Più in generale ritengo che Bruson risulti molto interessante se si riesce ad apprezzare quel suo misto di austerità ed eleganza che molti trovarono “rivoluzionari” quando si cimentava -nel suo periodo d’oro- in Posa o in Simon Boccanegra dopo anni in cui il cd. stile grandioso, tanto celebrato da Celletti per esempio in Warren, si era perso. Io ovviamente amo molto Renato Bruson e già che ci sono, visto che anche lui penso legga questo sito, lo ringrazio per tutto quello che mi ha dato comeappassionato d’opera. Se poi non é un maestro di canto pari a quello che é stato come cantante, non se ne dolga…é la regola!

    • Sono assolutamente d’accordo con te. Amo moltissimo Bruson nel suo repertorio d’elezione: eleganza, tecnica, gusto. Trovo splendido e misuratissimo il suo Macbeth o il suo Rigoletto (liberato, FINALMENTE, dagli eccessi trucibaldi e grotteschi di certa becera tradizione). Splendido in Falstaff. Così come in Donizetti. Se poi lo si vuole “condannare” perché manca di certe “trombonate” o perché il loggionista di Como – novella cassazione evidentemente – ha detto che “è bravo ma ‘l vusa” o perché i suoi allievi sono grami (ma sarebbe interessante fare una bella analisi su altri allievi di celebri cantanti, anche amati da chi ha scritto il pezzo o lo ha commentato con entusiasmo)…resto perplesso sulla serentità di giudizio. Detto ciò sostenere che “l’uso della parola canto, trattandosi di Bruson, è concessione generosa” oppure definire “Bruson inascoltabile come sempre (ormai anche inudibile), sia per l’intollerabile ed orrenda emissione, sia per la mancanza totale di musica” siano iperboli talmente eccessive da non meritare considerazione alcuna o risposta…dato che si commentano da sole. Solo suggerirei il confronto con altri cantanti e lasciar scegliere alle orecchie.

  5. Esimio Duprez, ci deve essere un malinteso -. spero per lei -, lei ha frainteso, : il “loggionista” di Como non parlava di Bruson, ma di un tenore, si riferiva a cantanti che amano molto riempire il teatro col proprio volume di voce, magari badando meno alee “finezze” (sic !), mi spiego ?
    Il mio era un “esempio”, per “esemplificare” (tautologia voluta), giacchè – beato lei che trova misura in chi spara “piangi fanciulla, piangi” come se fosse il finale dell’ atto, – il buon Bruson, in fatto di trombonate, non si è certo risparmiato.
    Sorvolo sull’ emissione, che definirei di forte e spiegata gola e sul timbro fortemente “vibrante”.
    Le piaccia o no, questione di gusti compresa, è belante e eccessivo dove, magari, potrebbe-dovrebbe farne a meno: Don Carlos 1978 – O Carlo ascolta…
    E pensare che era “giovane”, ma forse erano i bollenti spiriti (eh eh !!!)
    Mi spiace, lo trovo “monovolume” e quindi monocorde.
    La sua obiezione è cassata.

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