Il nostro “rebatin de san Steven”

Ed ecco il nostro “rebatun” (che visto l’anno, in ogni senso, di crisi, sarà piuttosto un “rebatin”) di Santo Stefano, ovvero la sintesi del meglio e del peggio del 2012 secondo il Corriere della Grisi.

 

Avendo avuto un anno musicale né molto impegnato né molto interessante, a parte un concerto di canto che aveva dimostrato che con la necessaria preparazione, si può arrivare ad un vero tour de force solistico, vorrei piuttosto approfittare di questa occasione per ringraziare anche da parte mia i numerosi melomani che vengono nel nostro blog a dibattere con un entusiasmo inesauribile. Proprio in questo tempo c’è un bisogno particolare di discussioni radicali, perché il mondo d’opera si trova esplicitamente in una fase di trasformazione legata soprattutto ad un intervento sempre crescente di media, tecnologie ed altre cose che, essendo in fondo esterni al canto come praticato e percepito per secoli, vengono ad alterare le condizioni più elementari del funzionamento di quest’arte. E proprio perché queste trasformazioni hanno luogo in modo poco chiaro e trasparente per il pubblico, bisogna non solo stare particolarmente attenti con le orecchie, ma anche cercare di capire in modo forse più teorico che cosa stia accadendo. Ci vogliono appunto discussioni senza risparmio  e senza “buonismo” e non una facile e ridicola voglia di essere postmoderni a tutti i costi, postulando come l’unica soluzione un atteggiamento assolutamente acritico, un’accettazione quasi fatalista che “il mondo d’opera sta cambiando e che bisogna adeguarsi”. E’ un atteggiamento senza coraggio né chiarezza di pensieri che si dimostra sia a teatro che sulle piattaforme di scrittura e di discussioni. Io auguro a tutti gli autori e lettori del nostro blog che non si stanchino mai a continuare lo sforzo permanente, quotidiano con cui si ottiene e si mantiene il coraggio e la lucidità di giudicare senza compromessi e pregiudizi davanti ad istituzioni, figure e concetti che qualcuno ha dichiarato “culturali” ed intoccabili.

Giuditta Pasta

 

Non è facile scegliere fra tutte le belle cose che il 2012 mi ha regalato, musicalmente parlando ovviamente, ma un posto d’onore spetta sicuramente a una voce che ho scoperto un po’ tardi ma che mi ha regalato tantissime emozioni: John McCormack.

Partirei e finirei con lui, in questo Santo Stefano, con la sua tecnica sovrumana, col suo gusto elegantissimo, esempio assoluto sia di quell’unica forma di Cantare che i frequentissimi falsari di voci d’oggi continuano a smembrare e distruggere senza pietà, come pure di quel modo di vivere il canto e il mondo lirico con una dedizione, con una serietà, eleganza ed umiltà che il mondo d’oggi ha gettato via miseramente scegliendo una strada ormai nota. Insomma, ci sono tanti altri aspetti di cui John McCormack si può considerare esempio e modello insuperabile, ma basta ascoltarlo per capire…capire cosa? Tutto.
Manuel García

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This year I would like dedicate a general thought to operatic singing in our times. It started as a rumour during the later years in Pavarottis career when people started talking about sound enhancment and microphones in the opera house. Today, with live streams and HD transmissions microphones on opera singers are a more than familiar sight. Strictly for broadcasts, of course. Really….??? Almost every important opera house has a sound system used for special stage effects, backstage singing, etc. Only for that…? It seems many people accept as a matter of „modern times“ the more or less open secret that opera singers in many performances and many opera houses in general are being sound enhanced. – Also depending on the size of the orchestra  in the opera given and – well – the size of the voice of WHO is singing…………. These people are making a virtue out of necessity. General managers and understandably singers themselves still are not very outspoken about this issue – yet, upon paying for my ticket I absolutely demand the right to KNOW if I am listening to singers who are being amplified or NOT. Otherwise what is the sense of going to the opera anymore? How infuriating, when you cannot trust your own ears anymore – and how sad that many singers can barely be heard ALTHOUGH their singing is technically enhanced. I am sure we will hear a lot more about this issue……..

Tetrazzini singing her famous 1910 Christmas open air conert in San Francisco before some 250.000 people. “There were no microphones in these days but hjer voice carried for blocks. It was sweet, clear and pure in all its artless beauty.”, as a listener recalled back then.

Selma Kurz

Di questo 2012 ormai agli sgoccioli – e non molto ricco di contenuti musicali – vorrei fermare nel ricordo solo tre episodi, mentre di un quarto spero di scordarmi in fretta. Tre episodi marginali, insignificanti – direbbe qualcuno e forse con ragione – nel vasto mondo della musica più blasonata, ma che per motivi differenti hanno segnato il mio 2012 sulle sette note. Innanzitutto ricordo con piacere un Andrea Chenier di una calda sera di giugno, a Milano, dato in forma di concerto all’Auditorium: ennesima dimostrazione di come nel capoluogo lombardo ci siano altri luoghi per ascoltare buona musica (fuori dai saloni del Piermarini). Un’opera che appartiene ad una tradizione guardata con sospetto e snobistici pudori, resa per quello che è, con tutte le sue ingenuità, da un’orchestra attenta e capace (l’ottima Orchestra Verdi) e un direttore – Jader Bignamini – che fa musica, musica vera e che vorrei ascoltare più spesso. Il secondo ricordo è dedicato al disco: L’Arte della Fuga di Bach in quella che, secondo me, resta il vertice dell’interpretazione bachiana, ossia Tatiana Nikolaeva. Ancora una pianista russa (dopo Maria Grinberg e Maria Judina), perché trovo che quel modo di fare musica sia assolutamente straordinario: soprattutto oggi (ma non solo, dato che è malattia comune dell’occidente musicale, anche tra certi intoccabili del passato) dove tra sciocchi divismi e marchette pubblicitarie, l’arte è diventata un mestiere dove mettere in mostra l’ipertrofico Ego dei cosiddetti interpreti, che si servono della musica piuttosto che servirla. Il terzo riguarda un concerto di canto in cui June Anderson, davanti a una trentina scarsa di persone (di cui meno della metà paganti), nella mia piccola cittadina placidamente adagiata nella bassa lombardia, ha mostrato con onestà e senza capricci da primadonna, cosa sia il professionismo e l’amore per la musica. Oltre ad essere stato occasione di un incontro importante. Infine vorrei chiudere il 2012 con la speranza di scordare (o almeno l’auspicio di non assistervi di nuovo) il circo Barnum, il delirio collettivo, la retorica spiccia, le indegne genuflessioni, le frenetiche corse all’accaparramento di visibilità politica, la beatificazione anticipata, la corte dei miracoli, i profeti, i nani e le ballerine che hanno accompagnato il “ritorno” del Divo Claudio sul podio della Scala. Ecco credo che la musica non abbia proprio bisogno di questi spettacoli d’arte varia, con buona pace di Abbado, che resta un buon direttore nonostante tutto…

Gilbert-Louis Duprez

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Vorrei chiudere questo tempestoso 2012 con un’autentica perla del belcanto, una scoperta recente che come per magia – la magia che solo ai grandi artisti è concessa – ha saputo dischiudere le porte di un mondo che sembrava definitivamente tramontato, quello dei grandi vocalisti del diciottesimo secolo. Il mondo delle primedonne e dei castrati, che lasciano le morte pagine dei trattatisti e autori di memorie e rivivono, purificati e perfezionati dalla prossimità temporale, in questo canto funambolico, che si compiace di variazioni e aggiunte di ottimo gusto oltre che magistralmente eseguite, ma che al tempo stesso riesce a essere sommamente espressivo, trovando nel furore dionisiaco di questa musica il pretesto ideale per sfoggio di colori, invenzioni di fraseggio, scandaglio degli accenti nascosti, in una parola tutto quello che è la ragion d’essere di questo repertorio e che giustifica l’emozione estatica dell’ascoltatore di fronte a questo pirotecnico sfoggio di musicalità. Un solo difetto sono costretto a rilevare: la presenza di uno strumento vocale anche troppo potente e imperioso, che rischia, inutile orpello qual è, di offuscare, sia pure in misura minima, la pura meraviglia di un simile ascolto. Ed è con questo irripetibile poema sonoro che Antonio Tamburini vi augura serene, e ovviamente musicalissime, festività natalizie.

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Nel corso dell’anno che volge al termine ci siamo sentiti rivolgere, tra quelle riferibili, la minaccia “quando verrà in Scala fischierò la Pratt”. Non potevamo quindi esimerci dal proporre, in questa sede, la cantante australiana. Cui mancano, per essere davvero una star, due sole cose: ferrea costanza nello studio e la capacità, in capo a direzioni artistiche, agenti di canto e addetti ai lavori in genere, di individuare e proporre i ruoli giusti ai cantanti giusti. Il primo traguardo la signora può raggiungerlo in autonomia, quanto al secondo appare legittimo formulare le più cupe previsioni. Proponiamo la signora nella cavatina di Semiramide, perché l’unica, oggi come oggi, che possa sperare di riproporre la regina babilonese è proprio la Pratt, o come la chiamano i suoi irriducibili, la Jessicona. Certo, per rimettere in circolazione il titolo principe del catalogo rossiniano occorrono anche un Arsace e un Assur. Dimenticavo: una bacchetta, una vera.

Domenico Donzelli

Rossini – Semiramide

Atto I

Bel raggio lusinghierJessica Pratt (2012)

3 pensieri su “Il nostro “rebatin de san Steven”

  1. Personalmente, ricorderò il 2012 soprattutto per tre serate: il meraviglioso concerto di Maurizio Pollini a Baden Baden, la scoperta di una giovane talentosissima violinista, Arabella Steinbacher, e il Boris Godunov di Gergiev e Graham Vick sempre a Baden Baden, un perfetto esempio di come si possa fare teatro moderno senza attentare agli equilibri della drammaturgia e valorizzando al meglio i contenuti della partitura.

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