Quando leggiamo di cantanti che, in vena di autocelebrazioni, magari propiziate da proni intervistatori, raccontano di “essersi fatti da soli”, dal punto di vista vocale, e negano rapporti di qualsivoglia natura, genere e qualità con dischi del passato recente o, non sia mai, remoto, viene naturale pensare a Maria Callas, che letteralmente consumò i dischi di Amelita Galli Curci, e a Irina Arkhipova, che fece lo stesso, sic tradunt, con quelli di Ebe Stignani. L’imitazione dei pregi di un imposto vocale (e non già di un imposto vocale tout court, giacché rarissimi sono quelli in tutto perfetti) e più ancora lo studio e l’assimilazione delle grandi incisioni, ufficiali od ufficiose poco importa, è condizione necessaria, seppur non sufficiente, per lo sviluppo di una voce e, in prospettiva, di una carriera degne di questo nome. Ricordiamo peraltro che uno dei pochissimi mezzosoprani di buon tonnellaggio vocale e dignitosa preparazione artistica attualmente in attività ha studiato proprio con la Arkhipova, che proponiamo nella celebre aria della “Pulzella di Orléans”, per richiamare in primo luogo a noi stessi come debba suonare una vera voce di mezzo alle prese con una parte spesso frequentata anche da soprani lirici.
9 pensieri su “VOCI IMPORTANTI: IRINA ARKHIPOVA”
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Mah… non saprei se l’ascolto di dischi sia davvero condizione necessaria per poter imparare a cantare. Il disco di fatto ha segnato la morte del canto, prima dell’avvento del disco le scuole di canto per secoli hanno sfornato ottimi allievi, con il disco invece il canto si è via via omogenizzato, omologato su modelli imposti dalle etichette discografiche, le voci son diventate tutte uguali, tutti grigi imitatori, come i direttori d’orchestra peraltro. Certo oggi ascoltare gli incunaboli del disco può indubbiamente servire ad orientarsi, anzi credo che, paradossalmente, sia diventato effettivamente indispensabile, oggi, farsi una cultura di 78 giri per sturarsi un po’ le orecchie e purificarsi la coscienza, aggrapparsi ad essi per sollevarsi da queste odierne, fitte sabbie mobili stercorarie che intasano orecchie e cervelli, ma bisogna pur sapere come e COSA ascoltare, e cosa, eventualmente, cercare di imitare.
Nell’epoca in cui Internet mette a disposizione di qualunque ascoltatore dotato di accesso a un pc un patrimonio praticamente inesauribile di reperti discografici di ogni epoca, non servirsene equivale di fatto ad ammettere che si vuole essere ascoltatori non informati, e quindi alla mercè di quei soggetti (agenzie internazionali, etichette discografiche, “centrali del consenso” della carta stampata e virtuale) per i quali esiste solo il presente – anzi, certo presente, quello che per contratto, per status, per pedigree deve essere “tenuto su”. Quanto agli esempi giusti per “rimettere a posto” le orecchie, caro Mancini, per quelli c’è la tua settimanale rubrica, di fatto uno degli appuntamenti più attesi del palinsesto grisiano.
Perfetto, Antonio. Del resto nessuno ha la verità in tasca su questo punto. Se Mancini dice che il disco è la morte della musica, Glenn Gould invece dal 1964 in poi decise di fare solo dischi perchè secondo lui il concerto era una forma di spettacolo estinta. E adesso spero che non si ricominci ad accapigliarsi sul sesso degli angeli perchè francamente la cosa sta diventando stucchevole. La Arkhipova comunque è un modello insuperato di perfezione.
Mancini a volte mi lasci perplesso,le voci “pre disco” nessuno le ha ascoltate,ci vengono tramandate con scritti,recensioni dell’epoca,studiando le partiture,e le note che i compositori hanno magari adattato a un certo cantante o cantante di turno,e di qui capire queste voci come si comportavano,ma nessuno di noi le ha ascoltate,quindi scrivere che prima del disco ci sono stati ottimi allievi dopo i dischi le voci sono tutte uguale,o sono degli imitatori,mi sembra una forzatura,a meno che tu non ci dici la tua vera età,perche come minimo devi avere 240 anni
ciao!
Io do ragione a Pasquale. Il Sig. Mancini non riesce a resistere all’amore per la generalizzazione più volte censurata dal suo nemico storico (il Sig. Marco Vinci). A confutare la tesi che il disco é stato la morte del canto bastano due esempi. Non vorrete dirmi che un cantante come slava mukeria abbia fatto grande ascolto di dischi e a essi si sia ispirato, del pari uno come florez: che semmai ricorda un po’ il suo agente Ernesto Palacio (che ha inciso pochissimo, non so se sia stato suo maestro ed era comunque molto insicuro e alterno nelle sue esibizioni). Peraltro dal periodo dei castrati (l’ultimo grande era probabilmente quello amato da Napoleone che cantava Orfeo e di cui ora mi sfugge il nome) restano scoperti circa ottantanni di canto. Giacché anche di una come Adelina Patti ci si può fare un’idea concreta di che eccezionale cantante fosse (io me la immagino la migliore Caballé con tecnica da Sutherland) così come di Tamagno che pur ritiratosi lasciava registrazioni eccezionali (ad onta di stonature e fiati mal calibrati incisi mentre cantava a pancia in su). Tenuto conto che Caruso e la Burzio sono stati registrati abbastanza fedelmente. E’ secondo me possibile avere un idea di come fosse la Grisi (sempre sia lodata), la Pasta, Lablache, le Marchisio. Molto meno purtroppo la Malibran, Rubini. Per cui il disco non ha impedito e non impedirà il sorgere di voci molto caratterizzate. Certo é legittimo il dubbio che aspiranti cantanti come il nostro adorato Gian Papageno abbiano un approccio troppo colto allo studio del canto, così da indebolire quelle caratteristiche individuali che non avrebbero mai permesso l’affermazione di uno come Di Stefano che folgorava ascoltatori che avevano avuto la fortuna di ascoltare Caruso. C’é peraltro il rovescio della medaglia: il cantante poco colto rischia di assorbire come una spugna vezzi discutibili come fu per Gigli, la Burzio, la Pons e tanti altri che oggi definirei se mi passate la battuta il clan dei SUPERDATATI
Spero che tu ti riferisca ai soli “vezzi” quando li chiami “superdatati”… perché io, in loro, di datato ci sento ben poco.
Tenuto conto che certi “vezzi” fanno tipicamente parte della maniera di cantare il teatro d’opera, dal quale non a caso è stato spiccato l’uso e il senso in lingua corrente dell’aggettivo “melodrammatico”, sono, quelli e quelli soltanto che un cantante intelligente più che colto può modificare: peraltro facendo attenzione a costruirsi “caratteristiche individuali” che sappiano gestire al meglio una eventuale generosissima natura piuttosto che affidarvisi quasi del tutto ciecamente come fece Di Stefano, che pure ammiro, sia chiaro.
Mi inserisco brevemente anche io nella querelle disco-non disco. Io credo che se da qualche parte possa provenire la salvezza del canto, questa parte sia prorpio il disco che non è, come pensa Mancini, la morte della musica. È un mezzo che come tutti i mezzi non né buono né cattivo, in sé; ma, come sempre, dipende dall’uso che se ne fa.
Ascoltare una voce come la Arkhipova o come i tanti altri esempi di belcanto da voi continuamente riportati all’attenzione può aiutare su due versanti: circa il primo ricavarne un approfondito studio della parola, del fraseggio, dei colori: io ho amato Les Nuits d’été a partire dalla “parola” della Steber, non prima anche se non ne faccio un modello assoluto giacché intervengono le sensibilità particolari di ciascuno; intorno al secondo, di gran lunga più importante, ritengo che il disco possa aiutare eccome ad imparare a cantare.
È per questo che sostengo che se salvezza ci deve essere non può provenire che da lì: prima o poi qualche mezzosoprano capirà ascoltando la Arkhipova dove diamine si metta la voce; per capire quanto il canto sia affine al parlare come si ricordava dicesse Schipa, sarebbe sufficiente immergersi nella produzione liederistica di Patzak.
Insomma dai dischi non si imparerà tutto, ma,*per chi sappia ascoltare*, almeno un pensiero su come si imposti la voce da incisioni come questa http://youtu.be/DgZivdNvYLg non lo si può non fare.
mancini siamo tre a uno…
Beh, ragazzi, ascoltiamo una voce potente, personalita’ artistica, penetrazione , uguaglianza dei registri, proiezione, fermezza, intonazione infallibile, accento vibrante, e non c’e’ bisogno di saper coniugare i verbi irregolari in russo per capire che pronuncia in un modo scanditissimo e chiarissimo. Magari un filino di fraseggio in piu’ non avrebbe guastato, ma, e’ un fenomeno eh!
La dizione, ovviamente non conoscendo la lingua, non la posso certo giudicare, ma quello che sento basta e avanza.
Gran cantante.