Le cronache di Napoleone Moriani e Manuel García. Il concerto di Abbado (… e di Barenboim)

Sul clima e sulle aspettative generate dall’attesa del nostos abbadiano a Milano già si è detto nell’articolo di Donzelli, quindi, eccezion fatta per una piccola nota di cronaca che sbrigheremo in fretta, passeremo subito alla recensione del concerto.

Le nota di cronaca riguarda l’abituale pubblico scaligero: non sono di certo passati inosservati almeno ai nostri occhi, (evidentemente non era questo il loro intento) certi individui che attraversavano i corridoi e il foyer a lunghi passi e gonfi di orgoglio per le loro bandierine, spillette, borsette e gadget vari riportanti scritte quali “Bentornato Claudio” o “I <3 Abbado” (per i non esperti di emoticons si legga “I love Abbado”): gadget che sarebbero più consoni fra i tifosi di una squadra di calcio, tra i giovanissimi fan dei divi del pop odierno, o fra i sostenitori di movimenti politici populisti, piuttosto che nella casa della Musica e dell’Arte, o presunta tale.

Spiacevoli incontri a parte, torniamo a noi.

L’ingresso in sala del Maestro Abbado a inizio serata è stato accolto, come prevedibile, da calorosi applausi, andati avanti per diversi minuti, dimostrazione di affetto e di ringraziamento ben più significativa della tifoseria da stadio sopra descritta.

La serata è cominciata con il primo concerto per pianoforte di Chopin, che ha visto alla tastiera Daniel Barenboim: questo brano aveva l’evidente scopo di non lasciare che il Maestro Scaligero restasse sotterrato dall’ombra del suo ben più illustre predecessore, tornato finalmente a far sentire della musica degna di questo nome in Scala; addirittura il Corriere della Sera riporta che questo concerto celebra, al pari del ritorno di Abbado, anche “il settantesimo compleanno di Daniel Barenboim, che si esibisce al pianoforte”. L’effetto però è stato opposto a quello evidentemente auspicato dal direttore e pianista argentino-israeliano. Sin dal primo movimento infatti, questi è apparso in grande difficoltà, difficoltà che si declinava da un lato in un grande affanno nel cercare di stare nei tempi non rapidissimi, ma giustamente cadenzati del direttore, sfociando talvolta in grossolani pasticci capaci di raggelare l’intero pubblico stretto in scambi di sguardi imbarazzati; dall’altro lato in un’eccessiva e abusata “licenza artistica” nelle cadenze e nelle parti principalmente affidate al pianoforte, spesso di cattivo gusto. Addirittura Abbado è stato più volte costretto a voltarsi per ricercare nel volto o nei gesti di Barenboim qualcosa che gli lasciasse intendere i tempi che quest’ultimo aveva in mente. Ma il solista si è  guardato bene dal considerarlo non degnandolo neanche d’uno sguardo.
Le situazione si è parzialmente risollevata con l’Adagio, che ha visto il pianista più a suo agio per il tempo lento: ma il non aver commesso errori non è equivalso a un’interpretazione degna di nota, nonostante la gestualità plateale di Barenboim, consistente in larghi gesti delle braccia ad ogni pausa o in ritmiche e vistose oscillazioni del corpo, accompagnate dalla solita mimica facciale che, eccezion fatta per i tratti etnici, è la stessa del collega Lang Lang. Tutto questo teatrino così in contrasto con la direzione composta, educata e lineare di un Abbado assolutamente fuori luogo per questo brano nel quale l’orchestra non ha alcuna identità musicale, e soprattutto per la qualità del pianista che si è trovato ad accompagnare.
La situazione è definitivamente crollata col Rondò finale, dove abbiamo assistito quasi con imbarazzo ad un anziano (ma una volta distinto) pianista costretto a battere rumorosamente il piede sinistro sul palco in legno per scandire il proprio tempo e che nonostante questo puerile ausilio è andato ancora parecchie volte fuori dallo schema orchestrale con altri vistosi errori, fino a doversi quasi interrompere per dover ricominciare nelle vertiginose e virtuosistiche scale, per eseguire correttamente le quali si richiedono mani non solo esperte, ma anche ben allenate a simili esercizi.

Tiepidissimi sono stati gli applausi del pubblico, che alle uscite singole di Barenboim, peraltro risparmiabili vista l’oggettivamente scarsa esecuzione, ma soprattutto l’oggettivamente scarso entusiasmo di una sala che si attendeva ben altro, gli ha anche riservato qualche fischio e “bu”. Nonostante ciò il maestro di casa, abituato a tali “apprezzamenti”, è uscito per l’ennesima volta quando gli applausi erano ormai un eco lontano per pronunciare questo discorso che riportiamo ad un di presso: “so che vorreste un bis, ma questa non è la mia serata, è la serata di Claudio Abbado e il bis dopo la pausa sarà la Sesta di Mahler”.

Eccoci dunque alla 6 di Mahler, sicuramente il momento più atteso e desiderato della serata. Davanti ad un’orchestra di ben 156 elementi (157 se consideriamo il furioso digrignamento di denti di Barenboim dietro le quinte per lo scarso successo del suo concerto) Abbado ci ha mostrato, e non per la prima volta sia chiaro, di appartenere ad una razza in via d’estinzione, di cui (forse) rappresenta l’ultimo grande esemplare. Quella razza nobile ed eletta di musicisti di grande esperienza e di grande cultura, di solidità e coerenza, con gusti talvolta troppo particolari e che forse si perdono in scelte non sempre condivisibili ma che quello che fanno, lo fanno con dedizione, umiltà e serietà, ponendosi sempre al servizio della Musica e dello spartito.

Davanti a questa compagine mista, formata da professori della Filarmonica della Scala e della Orchestra Mozart (entrambe volute e create dal Maestro), Abbado ci ha portato per mano nel suo Mahler mostrandocelo nota dopo nota con una perfezione e una chiarezza capaci di declinare con moderazione sia nella delicatezza e nella luminosità che nel tragico e nel tetro che tanta parte hanno in questa affascinante pagina sinfonica.

L’orchestra si è mostrata compatta in ogni suo settore, unita nel suono e nelle intenzioni musicali mostrandosi duttile e capace di rispondere ad ogni stimolo della bacchetta, ormai famosa per la semplicità e la chiarezza del gesto, puntualmente confermate. Stupendo ad esempio l’inizio della sinfonia (Allegro energico ma non troppo) dove ai vari fortissimi l’orchestra ha risposto con pienezza e concretezza di suono: insomma dei veri ff mai pestati, mai sporchi o volgari ma sempre chiari, energici e rotondi. Lo stesso dicasi per i vigorosi tutti del quarto movimento talvolta preceduti da dei crescendo assolutamente perfetti nel cambio di dinamica e coinvolgenti. Ovviamente il tutto avvolto da un suono compatto e sicuro, legato e coeso nell’esecuzione che mai ha mostrato crepe o incrinature.

Nota a parte merita l’andante moderato, dove Abbado è riuscito a ribaltare completamente l’orchestra portandola dal fuoco energico ad una finezza ed una delicatezza senza pari. Assolutamente notevole l’omogeneità del suono, sempre unito e compatto. Altrettanto pregevole, e questo vale anche per gli altri movimenti, l’equilibrio fra le varie parti: nessuno strumento prevaleva negli altri, e, dove uno spiccava, l’altro accompagnava senza sparire o sottomettersi.

Alla fine, un vero trionfo, di quelli che ormai non si vedono più. Certo, in gran parte c’era la gioia e la felicità per un ritorno atteso da anni a riscaldare gli animi del pubblico, ma spero che almeno buona parte degli applausi siano stati rivolti non già a Claudio Abbado come divo e come persona, che ormai varie associazioni si occupano di esaltare e celebrare in modi talvolta assai poveri e superficiali, ma all’artista, al nobile e raffinatissimo musicista che ieri, come in altre sere, ci ha mostrato come si fa e come si vive la Musica.

 

Napoleone Moriani (Chopin)

Manuel García (Mahler)

 

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71 pensieri su “Le cronache di Napoleone Moriani e Manuel García. Il concerto di Abbado (… e di Barenboim)

  1. Tutto giusto. Tranne il fatto che sarei un po’ più clemente con Barenboim, musicista che non amo, ma che l’altra sera forse per non sfigurare troppo ha dato fondo, come ho già scritto, a tutte le sue doti di interprete . Un Chopin certo pasticciato, ma altrettanto certo nè gelido nè accademico.

  2. Io con il mio commento volevo solo contestare un articolo che cerca di fare polemiche pretestuose e prive di senso. E se volete vi spiego il perchè.
    1) Se anche Abbado nel 1985 fosse stato licenziato dalla Filarmonica, cosa tutta da verificare perchè si tratta di una diceria che gira da anni senza essere mai stata confermata, non vedo dove sia il problema. Mahler fu licenziato dagli orchestrali della Filarmonica di New York e Karajan fu quasi cacciato dai Berliner perchè voleva imporre la clarinettista Sabine Mayer che non era gradita all’ orchestra. Che piaccia o no, in tutte le grandi orchestre del mondo la scelta dei direttori è esclusiva pertinenza dei musicisti.

    2) Non vedo problemi neanche nel fatto che Abbado si sia portato i musicisti dell’ Orchestra Mozart. Mi risulta che lo abbia fatto anche a Roma e a Firenze, senza che nessuno ne facesse un caso. Ma poi sono tanti i direttori che si portano le loro prime parti quando devono dirigere un’ orchestra che non è la loro. Sinopoli quando veniva a dirigere alla Fenice si portava le sue prime parti da Dresda. Addiritura Carlos Kleiber, quando diresse a Ravenna nel 1997, volle a tutti i costi il suo vecchio primo violino della Staatsoper di Monaco, e il festival dovette mandarlo a prendere con un aereo privato, altrimenti il concerto saltava.

    Per questi motivi, ritengo che postare quel link qui sopra sia una cosa assolutamente fuori luogo e che con la musica non ha niente a che fare.

    Spero di essermi spiegato chiaramente.
    Saluti.

  3. …quanto all’articolo di Nazzareno Carusi su Libero, credo che una tale insulsa, pecoreccia e provinciale ripicca poco abbia a che vedere non Chopin, con la musica, con la Scala e con Abbado. Non vale la carta su cui è stampata per cui….
    Grazie a Moriani per aver parlato di musica nella sua recensione.

  4. Grazie ai giovani Moriani e Garcia per la bella cronaca, e speriamo che Claudio Abbado possa trovare spazio nelle prossime stagioni ordinarie della Filarmonica e del teatro, di modo che questo ritorno non resti un hapax. E speriamo soprattutto che, in futuro, non vi siano più “dazi” da pagare alla regnante sovrintendenza.

    • Mi associo completamente alle speranze, caro Antonio, un po’ intristito dal fatto di non aver potuto ascoltare dal vivo questo concerto, causa inesistenza pressochè totale di biglietti (come prevedibilissimo, d’altro canto). Una piccola, sciocca nota di colore: nella foto allegata all’articolo, lo sfondo dietro il palcoscenico, che ritrae il sipario della Scala, mi sembra funestamente simile a un elemento scenografico del DG Carseniano 😀 spero non sia quel desso, certi spiriti malisgni non dovrebbero infestare le poche serate belle della Scala 😉
      Cordialmente.

  5. buongiorbo a tutti, sono nuovo nel blog e confesso che sinora non ho mai voluto partecipare alle discussioni perche’ talora si tramutano in lapidazioni. In effetti sono molto (troppo??) spesso d’accordo con il contenuto delle recensioni, anche se il tono talora “sanguinario” mi spiazza; detto questo, abbadiano di nascita e mutiano di crescita (li conosco entrambi bene, e col secondo ho buoni rapporti personali, lo dico subito), trovo molto di buono in entrambi i direttori che alla Scala hanno “coperto” circa il 90% della mia vita musicale (ma ho viaggiato parecchio per ascoltare altro in giro, giuro); continuo a seguire muti a roma e chicago e abbado un po’ dove mi capita, e ho molto goduto il concerto dell’altro ieri, pure io infastidito dalla sarabanda (non messa in piedi dalla Scala, almeno, riconosciamolo) ma predisposta da una simpatica (?) banda di “pistola” ben rappresentati dal soggetto che andava attaccando adesivi qua e la’ per il teatro (se lo facesso un mio ipotetico figlio glieli farei togliere con la lingua). Trovo che l’articolo di Libero sia il giusto contrappasso alle cose affettate ed elegiache scritte (spero sotto dettatura) da Corrierone e (meno) Repubblica; tutto vero, soprattutto la questione della cacciata abbadiana e del suo voler imporre la mozart (e aggiungerei la filarmonica invece della orchestra della Scala, differenza sottile ma importante). Per quanto concerne il pianista, la parte migliore e’ stata la battuta sul “bis”, che da sola ne ha giustificato la presenza; sulla sua interpretazione francamente diciamo che ho altri riferimenti e me li tengo cari. Per quanto riguarda mahler, che dire? il mahler di abbado a volte mi ricorda un certo beethoven (adesso partira’ la lapidazione, lo so… nel secondo movimento della sesta dell’altro ieri io sentivo l’adagio dell’Imperatore) e forse mahler lo avrebbe diretto diversamente, ma a me piace lo stesso, e anche tanto. Per me la cosa piu’ triste di martedi’ sera e’ stato percepire quella atmosfera elettrizzata che ormai in scala, nel bene e nel male, si e’ persa completamente, e rendermi conto che e’ poco probabile che la si possa percepire ancora, almeno nel breve termine. E la seconda cosa piu’ triste e’ stato poter verificare che il suono della MIA orchestra non si e’ perso, solo che non c’e’ nessuno che lo sappia (voglia?) far tirar fuori a quei cento-e-piu’ cornutazzi…

    • caro otto, benvenuto.
      Mi dai modo di domandarti, e domandare retoricamente in pubblico, perchè mai il podio della scala non possa ancora essere il podio di una produzione lirica all’anno o di un concerto per ciascun grande direttore del mondo. Chè i nomi , stando ai valori reali in campo oggi, non sarebbero i nomuncoli dei rumoristi e direttori di bande di maracas che ci pappiamo, ma quelli di abbado, muti, levine, chailly, harding, noseda, pappano, thielemann etc? I grandi teatri dovrebbero pretendere di avere solo questi sui loro podi, e non i loro voltapagina, figli di sponsor e di dei minori? Perchè non accettano di essere così scritturati o non vengono chiamati secondo questi principi? Perchè il podio scaligero è occupato da piccoli fans della direzione e non da chi èloro superiore comunque? Come arrivarono e lavorarono a milano gli schippers, i karajan, i bernstein, i mitroupulos? Scritturati come ogni altro artista di pregio, ma per normali produzioni di cartellone. Il sistema è storto e malato, e gli attacchini di adesivi sono il frutto ultimo della demenza corrente che promana dall’alto, del culto deistico della personalità, della mitizzazione commerciale…….anche dei podi, non trovi?

      • Tutto vero giulia cara, anche se tra i grandi che indichi qualcuno lo trovo fuori luogo (opinioni personali, me lo consentirai). Il sistema e’ malato da sempre, solo che siccome tutto peggiora, peggiora anche il sistema… E’ un po’ come dire che una volta i partiti rubavano e facevano fare le cose, poi si sono “evoluti” e hanno finito col rubare e basta. E nel campo artistico questo approccio ha portato, a mio avviso, a perdere una generazione di potenziali buoni cantanti, gente che non e’ riuscita a entrare nei giri giusti (sono d’accordo con chi dice che spesso a muti sono mancati i cast; pero’ a guardare in giro gran voci in quegli anni non ne vedo molte -un esempio: persino domingo negli anni ’80 era ormai un viaggiatorcantante, e col tempo e’ migliorato-; diciamo che abbado e’ stato in questo piu’ fortunato, anche per motivi anagrafici). Di chi la colpa? come sempre, di tutti e di nessuno, e non solo in italia: a salisburgo e’ lo stesso, a vienna pure peggio (i Wiener sono dei simpatici travet, che secondo me suonerebbero pure a un matrimonio di mafiosi russi diretti da, che so, il fratello minore di dudamel, tanto basta pagarli; unica eccezione quando c’e’ qualcuno che li mette gentilmente alla frusta e li obbliga a ricordarsi di chi siano eredi e allora fan faville), a newyork si suona a tassametro… e per i cantanti idem. E allora un grande direttore (e magari anche un grande uomo) cosa fa? se ne frega, che’ non ha nulla da dimostrare (non piu’, per fortuna), e allora fa quello che gli piace dove gli piace e con chi gli piace, e a volte il risultato e’ 1.000 volte migliore dei megaeventi hollywoodian/scaligeri, perche’ si SENTE che c’e’ una idea dietro, e che magari si sono fatte quattro settimane di prove otto ore al giorno. E questo stesso direttore, anzi uomo, perche’ mai dovrebbe farsi tirare dentro nelle camarille scaligere, o viennesi, o romane, o che so io? semplicemente cerca di fare quello che gli va, e fa bene, e per fortuna che va cosi’. Ma allora chi resta a lottare per le magnifiche posizioni di potere nei principali teatri mondiali? ecco, appunto… quelli che non possono permettersi di fare quello che gli va. E i risultati li vediamo. Per quanto riguarda come mai la scala non riesca ad avere una stagione fatta di tanti “singoli” al top come quelli da te nominati, sinceramente non lo so. Forse e’ colpa delle troppe assenze di abbado e delle troppe presenze di muti (riporto i giudizi del “mercato”, io la penso un po’ diversamente su entrambi i casi), forse e’ colpa delle agenzie, forse dei troppi soldi che girano e del dover puntare al pareggio di bilancio anche in campo artistico, per cui si punta a economie di scala (in Scala sono palesi se si guarda a certi cantanti semiresidenti…), ma in realta’ non lo so; forse i grandi faticano sempre di piu’ a formare la squadra con i cantanti che vogliono e i registi e i musicisti… Io sono fortunato e posso andare in giro vedere sentire farmi una idea, ma molti non possono. In generale pero’ quello che dici tu e’ vero non solo da noi.

  6. Innanzitutto, grazie a voi per i complimenti.
    Volevo dire due cosette sui temi emersi in questi commenti…
    L’opinione del giornalista di Libero di cui vi allego un’intervista in cui esprime le stesse opinioni (http://www.youtube.com/watch?v=E6H2Ws1YaYo), mi sembra semplicemente poco interessante e rilevante. E credo poco utile ed edificante mettersi lì a cercare i perchè, le cause e le conseguenze di questa scelta di unire due orchestre. L’ha fatto, punto: il risultato è stato splendido. Penso che sia già un’ottima risposta (anche perchè penso che con la sola filarmonica della Scala l’esito sarebbe stato leggermente inferiore). Se poi si vuole continuare a difendere a spada tratta il made in Scala ( mi chiedo poi come, visti i risultati scadenti degli ultimi anni della gestione Lissner-Barenboim…) beh…liberissimo il sig Carusi.

    Ahimè Abbado credo non metterà più piede in Scala. Il mio consiglio è di fare un bel concerto d’addio con i Berliner o con la Mozart o con qualsiasi altra orchestra per andarsene con tutti gli onori e le glorie che si merita. Prima di fare la fine di Domingo…

    MG

  7. Manuel, temo che la scala (minuscolo) non abbia progetti interessanti per il redivivo Abbado. Considerata la pochezza di questa sovrintendenza, è meglio così!.Per quanto concerene Domingo, vedrai che tornerà con qualche altra schifezza tipo Simon Boccanegra, e constatato che non vuole pensionarsi da solo, ci vorrebbe un coraggio da leone per tenerlo alla larga. Lo dico da vecchio ascoltatore avendolo “gustato” nel Don Carlo Arena di Verona , agosto 1969, nel ruolo di tenore. A Milan s’e dis: “ofelè, fa ‘l tò mestè!

  8. Domingo sicuramente tornerà a farsi vedere con una delle sue schifezze…bisogna capire con cosa e quando.
    Per quando riguarda Abbado, farebbe anche bene a trascorrere i suoi ultimi anni di carriera lontano dalla scala, un teatro ormai marcio e malato.

  9. Caro Tamburini, io accetterei che il governo italiano concedesse motu proprio un bel attestato di vecchiaia e lo ricoverasse alla Casa di riposo Verdi di Milano, in alternativa al Pio Albergo Trivulzio. E la Traviata del 2013 la vedesse in TV a colori con due infermiere accanto.Prosit

  10. Ma sì, penso anch’io che non abbia senso interrogarsi sul perché Abbado sostituisca le prime parti dell’orchestra che dirige volta a volta con altre prime parti di suo gradimento. Alla fine conta il risultato. Comunque una cosa la voglio dire. Si afferma che è un fatto umano, che adesso ha bisogno di guardare i musicisti negli occhi, che vuole sentirsi circondato da amici. Per amore di verità, devo ricordare che questa cosa lui l’ha sempre fatta, quando dirigeva un’orchestra che non conosceva. Nel ’78 ha diretto a Firenze un’eccellente Terza di Mahler. Tutte le prime parti se le portò dalla Scala. Un direttore a lui in nulla inferiore, anche se circondato da un battage infinitamente inferiore, Ozawa, è venuto diverse volte a Firenze e non ha avanzato nessuna pretesa del genere. Così Muti, che a Roma non porta nessun elemento estraneo all’orchestra. Questo per la verità.
    Marco Ninci

  11. Poi, per quanto riguarda Sinopoli che si portava le prime parti da Dresda, questo è vero. Anche quando doveva avere un incarico stabile all’Opera di Roma, questo voleva fare. Ma (mi è stato detto da chi era presente alla trattativa) fu su questo, anche se non solo su questo, che la trattativa si arenò e tutto andò a scatafascio. Evidentemente, il prestigio di Abbado e Kleiber era sufficiente per permettere comportamenti di questo genere, quello di Sinopoli no, se non nella sua città natale; il che è ben comprensibile. Per Abbado a Firenze, mugugni ci sono stati eccome, lo so per certo. E non escludo, anche se ovviamente non posso esserne sicuro, che l’articolo di Libero dia voce al malcontento di importanti orchestrali non proprio contentissimi di essere stati rottamati per l’occasione.
    Martco Ninci

  12. Poi, l’argomento per il quale il risultato ottenuto con le immissioni della Mozart è stato superiore a quello che si sarebbe ottenuto senza immissioni è quanto meno un po’ strano. Non so, Karajan veniva alla Scala e si portava le prime parti dei Wiener. Mitropoulos per il Wozzeck si portava le prime parti della New York Philharmonic. Il risultato sarebbe stato senz’altro superiore. Ma bastava questo per giustificarlo?
    Marco Ninci

    • …conosce i suoi polli!…o forse sono orami ristemente famosi pure loro?……sai com’è marco, e dai una dai due dai tre, finisce che poi ti squalifichi da solo.Anche l’orchestra, come la gestione del teatro, è in calo di consensi, perchè c’è una qualità mdia delle grandi compagini che si vorrebbe sempre garantita. a Milano non è così….Abado mica aveva il tempo di fare mille prove. Porta gli uomoni con cui è in sintonia da anni, e fa guidare loro gli altri. ha fatto solo bene!

      • Beh, io invece concordo appieno con Ninci e con l’articolo di Libero. Un vero grande direttore non ha bisogno di portarsi dietro i propri orchestrali. Ci si dimentica sempre che è il direttore a dover servire l’orchestra, e non viceversa.

          • la realtà dei fatti è che questa mitizzazione del direttore d’orchestra è tutta vanità.

          • Sono d’accordo con Mancini: troppo comodo portarsi dietro la propria orchestra (o meglio “rimpolpare” con la propria l’orchestra che si trova a dirigere). Dovrebbe essere il direttore (con qualche prova in più magari) a trovare il suono che cerca o che può trovare. Furtwaengler ha diretto il Ring alla Scala con l’orchestra scaligera (che non era certo la Filarmonica di Berlino) eppure ha saputo sfruttare al meglio quel che aveva. Così Bernstein, così Celibidache, così Wand…

          • l’orchestra della scala all’epoca di Furtwaengler non suonva e non avrebbe MAI potuto suonare nel modo in cui si permette quella attuale. Idem per tutti gli altri che citi. pergiunta Abbado é anziano. Faceva un concerto e non un restilyng dell’orchestra…..ha deciso di far prima, è chiaro. pensi che se avesse voluto, non ne sarebbe stato capace? io credo che non abbia nemmeno voluto mettercisi…..e su questo non gli do’ torto. Sul resto dell’atteggiamento, invece, la faccenda dell’esule, il suo fare il rpezioso….quello si che non mi va.

          • Beh, il lavoro del direttore d’orchestra consiste proprio nel provare con l’orchestra, nel mettere l’orchestra in condizioni di fare musica al meglio… se è anziano e non può sostenere simili fatiche e ha bisogno dell’orchestra personale, itinerante, che suoni da sola e soprattutto che abbia già confidenza col suo gesto, allora si ritiri e smetta di dirigere. Ma che discorsi sono?! Ai tempi di Furtwaengler un concerto si provava per settimane mica in due giorni… Trovo semplicemente ridicolo che oggi si vada a sentire un concerto provato pochi giorni auto convincendosi di sentire grande musica solo in virtù della garanzia che dà il nome prestigioso. E poi in base a quali criteri, con quale consapevolezza musicale giudichiamo l’esecuzione? Con quali conoscenze di tecnica direttoriale valutiamo le capacità, il gesto di un direttore d’orchestra? Quanti riuscirebbero a distinguere un direttore da un altro solo attraverso l’ascolto? A capire se sul podio ci stia davvero un direttore capace, o invece solo un pallone gonfiato che sventola elegantemente le braccia e si atteggia da grande artista con facce studiate ad hoc, mentre l’orchestra fa tutto da sola? Quanti invece si fanno influenzare solo dal nome? Credete che il direttore possa fare molta differenza in un concerto preparato in due giorni? La differenza, appunto, in questi casi la fa solo l’orchestra, che deve saper fare tutto da sola, e che meriterebbe lei gli applausi che invece si prende la bacchetta. Ecco a cosa serve portarsi le proprie prime parti. Il grande nome è solo un richiamo per la vanità degli idolatri.

  13. Questo può essere, Giulia. Eppure quegli stessi orchestrali hanno suonato magnificamente per Salonen e Boulez. Come gli orchestrali del Maggio hanno suonato meravigliosamente per Ozawa, in un modo che poche orchestre al mondo sarebbero state in grado di uguagliare. Mi pare che Abbado, col suo comportamento (non ho difficoltà ad ammetterlo, lo trovo discutibile), non faccia che confermare l’idea di compagini e istituzioni italiane straccione e prive di orgoglio, quasi bimbetti che abbiano bisogno delle dande per poter camminare. Questo non è giusto e, soprattutto, non è neppure realistico, visti i risultati che ho nominato sopra e che dimostrano la raggiungibilità di certi obiettivi. Tutto ciò rientra nell’autolesionismo italiano, di cui si vedono esempi innumerevoli e disperanti. Ma te lo immagini, Giulia, un direttore che arriva a Dresda, Berlino, Londra o Vienna e pretende di portare le prime parti da altrove? Giustamente, gli riderebbero in faccia, qualunque fosse il prestigio che portasse con sé. Ma finché l’italiano non riscoprirà non il nazionalismo, che mi fa orrore (certi rigurgiti odierni di nazionalismo tedesco mi danno la nausea), ma l’orgoglio per esiti artistici in tutti i campi per certi versi tuttora ineguagliati, questo discorso non potrà neppure venire incominciato.
    Marco Ninci

    • si ma è poco perchè mediamente suonano male. io credo che se anche li dirige un pirla, debbono comunque garantire un livello medioalto PER IL PUBBLICO! PER LA GENTE CHE GIA’ VIENE RAGGIRATA ABBASTANZA, non trovi?…..

      PS se poi a lor piace essere umiliati…perchè uno che si porta le sue prime parti di fatto ti dice che non si fida, o che non gli basti….affari loro. otto ci ha parlato dei wiener travet, che se l paghi vanno. venali, certo, ma con un senso della dignità del prorpio corpo, di essere un ‘ente professionale di altissimo livello. evviva i travet!

      • Io sono d’accordissimo con donna Giulia: gli orchestrali dovrebbero essere artisti, non timbratori di cartellini. Se un direttore è alla ricerca di un determinato suono e sa che potrà ottenerlo solo con determinati innesti, ma, scusate, qual è il problema? Che un direttore voglia raggiungere un suo personale obiettivo durante una rappresentazione? In questo caso poi si parla di un “evento”, non di una direzione stabile: Abbado, pertanto, non aveva alcun compito educativo nei confronti dell’orchesta scaligera. Che poi abbia fatto una cosa che altri grandissimi direttori non hanno fatto o non avrebbero mai fatto, e chi se ne frega. L’unica cosa che conta è la performance, è la rappresentazione, è quel suono che si espande nella sala… il resto sono discorsi da impiegati d’ufficio. Oppure, paradossalmente, da eccessivo personalismo dei singoli (in questo caso opinabile, perchè la serata era di Abbado e del suono che lui voleva dare)!!
        PS: discorso che ovviamente non vale per i Wiener, ma solo per la questione di Abbado.

  14. Il problema, cara Dionisopiùapollo, è molto semplice. Fai conto che tu venga invitata a parlare ad un congresso. Due settimane prima ti dicono che, per la migliore riuscita del congresso (un evento anche questo), è meglio che tu venga sostituita da uno studioso di maggiore fama che si è reso libero all’ultimo momento. Che problema c’è? Il fine è la migliore riuscita del congresso, che porta prestigio all’istituzione. I singoli non contano, sono studiosi che devono inchinarsi volentieri al progresso della scienza e all’opportunità che studiosi più grandi di noi possano incontrarsi fra di loro. Del resto, siamo studiosi, mica timbratori di cartellini, no? Può darsi che tu ti faresti da parte di buon grado e non considereresti questa un’umiliazione, risaputa da tutti. Può darsi, ripeto. Ma mi permetto di dubitare che questa sarebbe la tua reazione e un pochino della timbratrice di cartellini verrebbe invece fuori.
    Ciao
    Marco Ninci

    • stai parlando di un congresso di angeli vero ? hahahah…..una cosa simile scatenerebbe la furia accademica, lotte e brighe, tresche, attentati notturni ed imboscate alla fermata del tram per eliminare il candidato sostituto, fosse pure un nobel. così è il mondo accademico.

  15. Poi, se si va in un luogo, ci si fida di quel luogo; altrimenti è buona regola non andarci. I commenti all’insegna del “che problema c’è” non tengono conto del fatto che chi li fa non è minimamente coinvolto in quella situazione e da quella situazione non subisce nulla. Magari per qualcuno il problema c’è eccome; e non sempre si tratta di un pelandrone di impiegato. Cercare di mettersi al posto di coloro che si criticano è sempre salutare; dà una buona prospettiva delle cose; è, direi, un buon esercizio di democrazia.
    Marco Ninci

  16. vorrei ricordare a duprez la stecca del trombettista quando bernsyein venne a fare petruska…forse era meglio se si portava qualche prima parte anke lui. al recensore del concerto d chopin faccio notare che il buu a barenboim c e stato anke al suo

    • Alla prima del “Siegfried” l’orchestra sembrava, alla radio, molto curata e precisa.
      Alla seconda, vista da me dal vivo, l’orchestra ha stonato tutto quello che poteva stonare, soprattutto in TUTTA la sezione degli ottoni; meglio è andata per gli archi e soprattutto i flauti.
      Apice del “concerto per stonature obbligate” l’agghiacciante suono dei corni e la stecca che ha interroto l’azione per una manciata di secondi, del corno fuori scena nel secondo atto (che doveva mimare il corno di Siegfried nel momento in cui sveglia Fafner)
      Uno sfacelo, ma il pubblico ha applaudito per qualche minuto, senza sbilanciarsi troppo, eh…

  17. Allora, ci sono direttori che arrivano e fanno tutto con l’orchestra autoctona e ci sono direttori che si portano dietro qualche elemento straniero. Perché dovrebbe esserci opposizione tra i due tipi di direttori? Non sono opposti, sono solo diversi. E, soprattutto, quale sarebbe il parametro con il quale giudicare tale opposizione/differenza? Morale? Politico? Di sicuro non artistico. Ci aspettiamo dai direttori d’orchestra una sensibilità altruistica, una lungimiranza solidaristica, il bene per l’umanità? Ma davvero? Oppure ci aspettiamo un suono che sia davvero bello, un suono che sia davvero meritevole?

  18. Come in tutte le cose, il problema non è mai solo artistico. Ci sono ovviamente altri lati, se si vuole costruire qualcosa e se si vuole che un “evento” abbia un significato che vada al di là dell’occasione presente. Soprattutto, se il direttore è un artista come Abbado, che è stato sempre così attento al lato morale e politico delle cose. Abbado non è certo Carlos Kleiber. Mi dispiacerebbe che anche lui si fosse fatto coinvolgere da questo clima di sciagurato riflusso ideologico presente ora in tutta Europa, non solo in Italia. Questo concerto era anche un’occasione per la Scala, per la sua rinascita. Dimostrando di non avere alcuna fiducia nelle sue masse artistiche, Abbado non le ha certo fatto un favore. Tutto qui.
    Marco Ninci

    • beh, a mio modo di vedere il problema è invece SOLO artistico… L’arte del direttore d’orchestra consiste nel saper comunicare con l’orchestra. Un direttore che non sa fare questo con un’orchestra diversa dalla propria orchestra personale che direttore è?

    • “Questo concerto era anche un’occasione per la Scala, per la sua rinascita.”

      Marco carissimo,
      questa affermazione vale solo a registrare il candore e l’ottimismo che ti animano. Se Abbado avesse deciso di dimostrare la sua fiducia nelle masse artistiche, ciò non avrebbe minimamente influito sulla triste realtà, ovverossia che oggi come oggi l’orchestra della Scala SUONA MALE. Esattamente come la fiducia accordata dal sindaco Renzi alla sovrintendente Colombo (un caso di mancata rottamazione?) non cambia il fatto che – grazie anche al di lei operato – l’istituzione del Maggio sia ormai completamente allo sbando.

      Per quanto mi riguarda, sono convinta che la “rinascita” non possa arrivare da nessuno di coloro che sono stati in qualche misura corresponsabili della situazione catastrofica nella quale ci troviamo,
      e che quanto da me affermato possa essere esteso ben aldilà della sfera musicale e teatrale.

      Sconsolatamente tua.
      Lily

  19. Devo dire poi che mi stupisce questa divisione fra artisti e timbratori di cartellini. Tutti, assolutamente tutti, anche i più grandi geni, sono timbratori di cartellini. Perché tutti hanno anche, accanto alla loro genialità, atteggiamenti mediocri, da capufficio, sono rosi da invidie meschine, guardano l’erba del vicino che è sempre più verde etc. Nessuno è al riparo da queste cose. Per fortuna, aggiungo io, nemico come sono di ogni retorica.
    Marco Ninci

  20. Cari Ninci e Mancini, sia chiaro: in linea di principio non sono in disaccordo con i vostri ragionamenti, tutt’altro. E non sono – e non sarò mai – neanche una pragmatista cinicamente utilitaristica secondo la quale la realtà la si accetta così com’è, solo perché è la realtà. Tra l’altro il riferimento ai timbratori di cartellini non sottintendeva nessuna superiorità morale da parte mia: mi riferivo all’abitudine tutta italiana di inamovibilità assoluta di certi dipendenti, che, per il solo fatto di essere stati assunti, devono necessariamente essere coinvolti, magari senza essere mai più messi alla prova. Quello che penso è che nel migliore dei mondi possibili sarebbe bello, se non addirittura necessario come l’aria, quello che dite voi: direttori che arrivano e che instaurano con l’orchestra autoctona un rapporto di osmosi artistica in modo che possa essere raggiunto, da parte di tutte le componenti in questione, il risultato auspicato. Ma, visto che non viviamo nel migliore dei mondi possibili, questa evenienza di cui parlate molto spesso semplicemente non si può realizzare, vuoi per la qualità degli autoctoni, vuoi per le convinzioni incrollabili dei direttori. Per questo secondo me questa evenienza, pur rappresentando senza alcun dubbio un rilevantissimo VALORE AGGIUNTO, rimane un valore non vincolante. Non vincolante rispetto a quella che deve essere la priorità dell’espressione artistica, ovvero la qualità della rappresentazione, che è di certo fatta dai singoli, ma, se davvero grande, va sempre oltre i singoli. Un caro saluto.

  21. Carissima Lily, è così tanto tempo che sento parlare di “nuovo” e di “rinnovamento”, praticamente da quando avevo i calzoni corti, che il semplice suono di queste parole non lo posso soffrire. Tramontato un messia, se ne aspetta un altro. Peccato però che questo nuovo messia sia invariabilmente peggiore del precedente. O, meglio, ha esattamente lo stesso volto; soltanto, non è ancora venuto a noia. Ma per arrivare a questo, è solo questione di tempo; accadrà inevitabilmente.
    Ciao
    Marco Ninci

    • Marco caro, sarà come dici ma la parola “rinascita” l’hai usata tu e non io. Per altro, ascese e cadute ce ne sono sempre state, come Wagner ha cercato di dimostrare – ancorché pasticciando – con il Ring.
      Un saluto di cuore.
      Lily

  22. Cara Lily, penso di aver usato non correttamente la parola “rinascita” per il concerto di Abbado. In realtà il “nuovo” non nasce a causa di personalità carismatiche; questo volevo dire con il mio ultimo intervento. Il nuovo nasce per il movimento della società, che magari può esprimere dal proprio seno in queste occasioni personalità significative. Il liberismo che sta distruggendo l’Europa non se l’è inventato Margaret Thatcher; ma certo quest’ultima l’ha interpretato come megllio non si sarebbe potuto, insieme con il suo degno compare d’oltreoceano, Ronald Reagan. In questo senso la comparsa di una personalità come Claudio Abbado negli anni Sessanta è stata importantissima, perché ha portato una ventata di freschezza e di vera giovinezza nel mondo della musica, spesso così contorto e, proprio per questo, ripetitivo. Si può ironizzare sulla pretesa di quegli anni di portare Mahler e Nono nelle fabbriche degli operai, i quali magari preferivano le vicende delle piccole fioraie dei fiori finti e si divertivano a canticchiare le arie apprese nella casa dei genitori. Può darsi. C’è una cultura che è difficile apprezzare senza strumenti adeguati. E su questo intoppo molte nobili illusioni si sono arenate. Eppure non sempre è così. Una volta ero a Monaco con un’amica, totalmente digiuna di musica. Abbiamo visto insieme il Trovatore e il Wozzeck. Ebbene, il Wozzeck ha agito su di lei con un’immediatezza che l’opera di Verdi non ha avuto davvero; anzi, le è risultata molto noiosa. Questa impressione non è da sottovalutare. Significa che, quando una persona è intelligente (e io ho conosciuto operai di straordinaria intelligenza), la mancanza di filtri può addirittura aiutarla a comprendere cose dall’apparenza molto difficile. Cosa che non succede a volte a noi appassionati, che siamo tutto un filtro. A furia di paragonare centinaia di interpretazioni, ci dotiamo di una competenza che alla fine è più sorda e impenetrabile di un muro ciclopico.
    Ciao e a presto
    Marco Ninci

    • A proposito di Wozzeck e Trovatore. Conosco giovani studenti (Brera) che sono impazziti per “I dialoghi delle carmelitane” e hanno trovato insopportabilmente “stupida” la “Sonnambula”. Lasciamo a loro la responsabilità di tale affermazione, ma mi sembra significativo e degno di riflessione.

      • Pensa che io trovo i “Dialogues” degni di un attacco di narcolessia, mentre capolavori altissimi Wozzeck, Trovatore e Sonnambula.
        Che poi “Sonnambula” Con i suoi equilibri di cristallo e la sua inafferrabilità abbia sempre diviso i gusti del pubblico è cosa che avviene da sempre… sembra facile, ma se si studiasse di più e meglio…

        • Sonnambula e Trovatore “stupidi? Ma non scherziamo! E’ inevitabile che queste due opere – inquietanti nei loro doppi e tripli fondi – risultino, all’ascoltatore ignaro, più complesse, inafferrabili e assurde del Wozzeck, opera assai più schematica, semplicistica e programmatica negli intenti, ancorché più ostica dai punto di vista del linguaggio musicale.

    • caro ninci,
      traggo spunto da uno stralcio ossia “si può ironizzare” . Io che l’ho scritto, ma che, sopratutto, ho vissuto questa retorica non faccio affatto dell’ironia. Faccio della pesante polemica perchè Abbado ed il suo compagno di avventure Pollini erano su altra parte uguali ed identici alla lady di ferro. Stessa presunzione di possedere la verità (e questo era tratto caratteristica di tutta una pseudo cultura nata dal connubbio fra botteghe oscure e frattocchie), ed il sacro furore di propagarla, ma che dico di imporla a tutti. Non v’era al di là di un po’ di rispetto della forma differenza con battesimi e conversioni forzate all’indomane della reconquista. Quella era la cultura, quella doveva piacerti, quella dovevi applaudire ed in difetto eri oscurantista, ignorante, anzi fascista. Loro per altro non sapevano neppure lontanemente o facevano finta di non sapere quello che (discutibilmente magari) nell’abborito ventennio si era fatto per la cultura. A partire dal maggio musicale. Adesso sarai contento così potrai dire che sono fascista ed oscurantista. E naturalmente è sbagliato sono solo come qualcuno a detto pensante. ciao dd

  23. Ahimé, che dolore…. sono lontano da Milano per lavoro e non ho potuto godere di Mahler….

    E per quanto riguarda Daniel… l’incapace Lissner finalmente ce lo stiamo levando di torno, a quando il benservito al direttore? E pensare che io l’avevo sentito alla fine degli anni novanta (mi sembra nel ’98 o ’99) proprio alla Scala, dirigere (e suonare) il III concerto di Beethoven e la Grande di Schubert e ne ero rimasto entusiasta!

    Muti non era il paradiso, ma in genere sapeva fare dignitosamente il suo mestiere, con alcune punte di eccellenza. Barenboin ha detto tutto quello che aveva da dire. A quando una sana lettera di licenziamento?

  24. Ma no, Donzelli, perché? Ovviamente quella scelta dava dei problemi, che io ho segnalato. E penso che ci fossero anche delle nobili intenzioni. Secondo me avevano un fondamento; magari non sono andate a buon fine. Hanno dato dei risultati parziali, come tutte le cose di questo mondo. Tuttavia non mi ricordo di polemiche esplicite contro la politica musicale del fascismo. C’erano delle posizioni estremiste, che io per altro non ho mai condiviso. Ma, se permetti, anche qui di posizioni estremiste ce ne sono a quintali. E questo fatto non mi hai impedito di partecipare con piacere a queste discussioni.
    Ps. Non ti ho mai definito un fascista né ho alcun motivo di farlo. I fascisti sono Rauti, Bontempo, Servello e tutta quella eletta compagnia. Tu che cosa c’entri, scusa?
    Marco Ninci

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