Dopo averla già proposta mesi addietro nel Casta diva, impariamo oggi ad ascoltare servendoci ancora della voce di Rosa Raisa, esempio di canto femminile tra i più importanti, per esemplarità d’emissione, qualità timbrica, virtuosismo ed espressività, di tutta l’era pre-Callas documentata da dischi o cilindri. Ricordiamo che la Raisa discende dalla scuola del belcanto rossiniano attraverso la maestra Barbara Marchisio, di cui fu allieva anche la celebre Toti Dal Monte. Due voci dal diverso carattere e diverso repertorio, accomunate però sotto il profilo tecnico dall’emissione chiara e limpida, e da una pronuncia piuttosto nitida. Se la Raisa, rispetto alla mitica compagna di studi, pur in possesso di voce di ben maggior peso difettava di piena saldezza e omogeneità nel settore grave e centro-grave, compensava però tale carenza con un settore acuto facilissimo, puro e cristallino, con una eccellente tecnica d’agilità ed un trillo granito, che alla Toti sempre mancò. Pertanto l’aria di Margherita dal Mefistofele di Boito, che all’espressione tragica ed al canto spianato affianca complesse figurazioni virtuosistiche, funge da perfetto banco di prova per testare le multiformi capacità della cantante, belcantista per formazione tecnica (ma solo saltuariamente per repertorio), varia, intensa e drammatica per temperamento espressivo. A dimostrazione che alla cantante stavano scomode le tessiture gravi, l’aria, che sulla zona centro grave insiste non poco, è alzata di mezzo tono. La Raisa non era cantante perfetta, ascoltandola bisogna saper cogliere e apprezzare quelle frasi in cui la voce galleggia perfettamente sul fiato, e non disperare per alcune occasionali imperfezioni d’emissione, come le A che alcune volte si schiacciano in zona centrale, forse anche per malvezzo stilistico tipico dell’epoca verista: sono sgradevolmente schiacciate le A di “or per fArmi delirare” (do4, nota critica, che precede di poco il passaggio superiore, e che esce molto brutta e schiacciata anche nella ripresa sulle parole “or per cOlmo dell’errore”), “e la mestA anima miA”, “come il pAssero”, o il suono poitriné su “di me pietA’ “. Ma sono piccolezze, che probabilmente trovano quasi sempre giustificazione in una volontaria affettazione della pronuncia, secondo i canoni espressivi e stilistici del tempo. Si ammiri invece l’emissione libera e purissima degli acuti, dalla sonorità cristallina, e le discese repentine in zona grave (“il mio bimbo hanno gittato” “dicon ch’io l’abbia affogato”), dove la voce non si allarga e resta chiara, tutta davanti, nitida, vera nella pronuncia. Lascia senza fiato poi la bellezza della frase “l’aura è fredda, il carcer fosco”, che scivola leggera su un alito di fiato, fluida, facile, senza peso, perfetta nell’intonazione. Questo sì è cantar sul fiato, senza fibra! Arrivata al passero del bosco, la cantante sa trovare un colore di voce bianco e sottile assai pertinente; i due trilli fanno svergognare i sopranini di oggi, tanto sono sgranati, veloci, mordenti, ed intensi di volume. Allo stesso modo, trascendentale la quadratura dell’agilità negli arpeggi, e l’acuto che ne corona la ripetizione. A mio giudizio una delle migliori versioni mai incise dell’aria, una delle poche a non scendere a compromessi tra bellezza vocale, espressione e virtuosismo.
G.B.Mancini
che dire esecuzione piu che buona,ma preferisco che venga cantata in tono,col mezzo tono sopra viene a mancare come dire la drammticità insite nelle parole del testo, e della partitura ( a mio giudizio), la discesa verso i gravi al minuto 3,42 su pietA mi sembra un po sporca.
vorrei proporre l’ascolto della stessa aria cantata da Maria Vitale che ha il registro grave più robusto (una leggera scivolata al minuto 4,04 )
http://www.youtube.com/watch?v=IT_KY7EIo0w
Lei dice: “col mezzo tono sopra viene a mancare come dire la drammticità insite nelle parole del testo”. Scusi, ma non esageriamo, abbia pazienza: se non glielo dicevano lei avrebbe sentito che era mezzo tono sopra? Mi dispiace, ma per mezzo tono non cambia proprio nulla: il trasporto è un’operazione normalissima. Quello che dice lei non è da musicisti, assolutamente.
per i miei gusti si,e me ne accorgevo,anche se Mancini non lo diceva perchè quest’aria mi piace tantissimo specie se la canta Magda Olivero ,in Maria Vitale si sente la differenza ,mi piace di più per questo motivo..
A me invece di toni e semitoni sopra o sotto non me ne frega assolutamente niente quando sento cantare in questo modo…
E che diavolo c’ entra la drammaticità del testo col trasporto di tonalità? Forse che la Pira di Pertile perde in drammaticità perchè non è cantata in tono? Non diciamo sciocchezze per favore…
Il brano postato e’ giustamente famoso.
E’ famoso peche’ e’ eseguito benissimo, con voce splendida, emissione esemplare, trilli da far invidia alla Ponselle, bella dizione
e uguaglianza invidiabile.
E non sono un fanatico della Raisa.
Ma qui’ lasciatela stare.
Per quel che conta , anche per me e’ una delle migliori nenie di Margherita incise. Anzi la migliore insieme a Callas e Olivero.
Mezzo tono su’ o giu’, io non me ne sono mai accordo, e mi va benissimio cosi’.
Naturalmente anche io non me ne sarei mai accorto, se non avessi l’abitudine, per puro scrupolo, di verificare sempre la tonalità col pianoforte, quando ascolto questi dischi antichi. A me il timbro non sembra distorto, il tempo non mi pare alterato, per cui ritengo che non sia un problema di riversamento. Ipotizzo dunque che lei alzasse perché le stavano scomodi certi passaggi un po’ troppo gravi. Vi sembra plausibile come ipotesi?
può darsi,ma io la preferisco in tono,non è uns cabaletta,per me la tonalità qui conta.
se la disceva alle note gravi le andavano strette,poteva non cantarla..
pasquale, visto che insisti, hai mai fatto caso, per dire, che la Callas nella Norma abbassa i duetti con Adalgisa di un tono? E che tutti i più grandi interpreti di Chénier cantano il duetto finale abbassandolo?
il problema mozart che in questa romanza di margherita,una nenia lamentosa già un mezzo tono,sopra gli da quella leggera brillantezza,e chiarezza che stridono con le parole,se con altre arie ci può anche stare il mezzo tono sotto o sopra, in questa romanza per me deve essere fatta in tono,poi che la Raisa canta bene o male non mi interessa,io sono abituato ad ascoltarla in tono,è cosi la voglio sentire.
comunque l’ipotesi puo essere anche non corretta,magari è stata una scelta del direttore,quindi altri motivi.
io in questa romanza mi tengo stretto la Olivero
Daccordissimo. Assolutamente toccante di semplicità, naturalezza e pathos. Parrebbe addirittura facile, nella sua eleganza….
Daccordissimo con Fleta, naturalmente….
A me il suo modo di fraseggiare e accentare non mi sembra francamente granchè. E’ questa una tipica aria da cantante-attrice, ovvio che la Olivero e la Callas lascino tutte le altre due piani sotto.
Trovo invece davvero bellissimi i trilli!
Per Mancini :
Ciao, certo plausibilissima.
Per Bud :
Ciao Bud, io non conosco arie scritte per cantanti-attrici.
Gioconda e Margherita sono personaggi che s’esprimono, secondo me con una vocalita’ pre verista che ancora risente della vocalita’ romantica. La Raisa a questa vocalita’ aderisce benissimo.
E se un soprano, e’ in grado di essere oltre che una buona vocalista anche una buona o grande interprete, ben venga, al di la’ dei ruoli che affronta, sempre che tali ruoli siano le siano adatti. (Ed anche su questo ci sarebbero dei distinguo)
Snegurocka ed Amina di Lucrezia Bori, non erano, neppure sotto l’aspetto interpretativo, inferiori alle sue celebratissime Mimi’ e Suzel per esempio. Ovviamente sempre secondo me.
Per Antonino :
Buongiorno Antonino,
su questo sito non postano solo dei musicisti.
Ci sono pensionati, studenti, dirigenti, operai, cantanti camuffati da semplici ascoltatori, un po’ di tutto insomma. No?
Tutti, interessati quando non appassionati, all’argomento.
Per i titolari del sito (Grisi, Tamburini, Kurz, Brandt, Nourrit, Duprez, Pasta, Marchisio etc etc etc) :
Buongiorno a tutti voi,
Posso dare del cretino ad una persona, o mi bannate?
(Ho bisogno dell’ ok di almeno due dei padroni di casa). Miguel.
Sono pienamente d’accordo con Mancini. Per Miguelfleta: per favore, non diamo del cretino a nessuno…
Si, si. Hai ragione Fazzari.
PER PASQUALE (ed anche per conseguenza MIGUEL FLETA).
Mi dispiace, ma devo criticare duramente questo suo atteggiamento: chi ama la musica non può porsi così, come un vigile urbano o un ragioniere a controllare i cambi di tono; d’altronde a lei che è ascoltatore, non esecutore, non compete nemmeno (certo che poi è libero di dire quello che vuole). Ripeto: i cambi di tono sono normalissimi nell’esecuzione della lirica. Allora dovremmo obiettare anche della correttezza delle puntature? Ed i lieder? Altro che spostamento di mezzo tono. Forse a lei il colore è sembrato meno drammatico di altre esecuzioni per l’emissione così limpida (meravigliosa!) della Raisa, forse perchè il suono della registrazione è piccolo e poco, non so… Ma certo l’alzamento di mezzo tono non influisce per niente. E se per caso mi obietta qualcosa riguardo alla mistica ed i colori peculiari delle tonalità, le dico (ho studiato composizione) che in sede compositiva molto spesso l’estetica è seconda a ragioni di mero artigianato e vincolata dalle possibilità tecniche degli strumenti: cioè, detto in parole povere, se ti viene in mente di scrivere un concerto per flauto in si maggiore perché la tonalità ti piace per il pezzo che stai pensando, è proprio meglio meglio che lo scrivi in do perchè il flauto in si maggiore suona male. Lo stesso vale per l’esecuzione di un’aria: se la canti male in tono, cambialo! Oppure, sempre per dirle di come l’estetica sia spesso vincolata, lei sa perchè nel terzo tempo del concerto per pf in Mib di Liszt c’è il triangolo? Perchè altrimenti andrebbe fuori tutta l’orchestra: invece basta un colpettino di triangolo ogni tanto a mettere ordine. Certo, poi è anche bello!
Quindi si goda la musica con l’amore, non da ragioniere.
Sono pienamente d’ accordo. Aggiungo solo che i trasporti di tono spesso si fanno con il consenso dell’ autore. Caruso eseguiva la Gelida Manina mezzo tono sotto col permesso di Puccini perchè aveva studiato l’ opera con lui. Vogliamo anche saperne più del compositore?
Poi, siamo d’ accordo sul fatto che non è necessario sapere la musica per essere buoni ascoltatori, ma allora evitate di cacciarvi in questioni per le quali non avete una preparazione tecnica…
Buona sera a tutti. E buona sera ad Antonio D’Emilio, con il quale mi trovo in toto d’accordo. Se è vero che l’arte è ispirazione, urgenza espressiva, fuoco sacro – se proprio vogliamo esagerare – è anche vero che è conoscenza e controllo assoluto della forma. E in questa conoscenza e in questo controllo rientrano anche le scelte delle tonalità, che, molto più spesso di quanto si possa pensare, sono dettate dallo strumento scelto per comporre un brano: avete mai fatto caso a quanti concerti per violino e orchestra sono scritti in re maggiore? A quante arie per tenore di Verdi sono scritte in la bemolle maggiore? Queste sono scelte dettate da esigenze tecniche, non artistiche. Che poi si concretizzino in un prodotto di alto valore artistico è vero – quasi sempre; ma è anche vero che è l’ascoltatore che deve emozionarsi e godere, il compositore deve pensare a quali mezzi usare per raggiungere il risultato. E a volte – bellissimo l’esempio del concerto di Liszt – anche a tenere insieme gli esecutori. Insomma, la composizione – che io, invece, sto ancora studiando – ha assai poco a che fare con l’arte di cui si favoleggia a volte con troppa disinvoltura: è una tecnica con regole e formule che si sono evolute, naturalmente, ma che devono sempre rispondere, mi ripeto, più a esigenze pratiche che ad altro. Per fare un esempio: Richard Strauss era solito comporre un allegro per quartetto d’archi quasi tutte le mattine; spesso, poi, non ne faceva nulla; quando gli chiedevano perché facesse questo quotidiano esercizio, rispondeva: “Se non sai dominare una piccola forma, come puoi sperare di scrivere un poema sinfonico o un atto d’opera?”. Parole sante.
Per Mancini: la tua ipotesi sul motivo del trasporto di tonalità è più che plausibile ed è confermata da tanti altri esempi. Kraus, invecchiando, era solito alzare tutte le melodie da camera che cantava in concerto, perché il registro centrale non era il suo forte da giovane, figuriamoci da vecchio; mentre il registro acuto se l’è portato nella tomba, quindi alzava tutto. Ancora: esiste un Trovatore ripreso a Sidney nel quale la sempre ricca di sorprese Dame Joan, già sui sessanta e forse anche oltre, canta “Tu non sai che amore in terra” in sol bemolle maggiore invece che in fa. Perché? Per lo stesso motivo del grande Alfredo: emettere un bel re bemolle5 anche in tarda età non le costava nulla; fraseggiare nella prima ottava le costava parecchio. E allora, su di mezzo tono.
Per Billy Bud: per mio gusto, la Raisa centra il momento scenico proprio perché un poco distaccata. In fondo, Margherita qui è alienata, non è presente a se stessa, è quasi preda di una psicosi – perdonami Mancini se calco un poco i termini – quindi è giustissimo ed efficacissimo che a fronte di parole terribili – l’assassinio della madre, il figlio affogato – Margherita suoni non dico indifferente ma, appunto, alienata, cantilenante. E la Raisa, qui, è magnifica perché suona il suo strumento con una padronanza da pelle d’oca.
E di nuovo, buona sera a tutti.
Oh, Antonino, non Antonio. Chiedo scusa per lo scambio di nome.
spero lontanodalmondo che mi si lasci decidere a me se qualcosa mi emozioni oppure no,lo so bene che la musica è fatta di forma, formule ecc e quande centinaia d’anni ci sono volute per l’evoluzione della composizione,quandi compositori hanno dovuto sopportare critiche feroci quando componevano musica non seguendo i criteri,e la forma dell’epoca, musica che poi veniva compresa a posteriore..
riguardo a Kraus, Joan, che alzavano di tonalità perche il registro alto era piu integro..cosa vuoi che dica,è cosi bello ascoltare i cantanti quando sono ancora integri,molto meno quando fanno uso dei trucchetti,perche se per un ascoltatore normale,non glie ne frega per niente ,per uno che le orecchie abituato all’ascolto glie ne frega si..
Il fatto è, carissimo, che tu per i cantanti che ti sono simpatici hai sempre una scusa pronta. “Eh poverina ha il gomito del tennista”, “Eh ma ieri sera le è morto il gatto”. Invece, altri per cui non provi particolare simpatia ti metti a sezionarli al microscopio. Questo non mi sembra coerente
Grazie lontanodalmondo, bella risposta. Per chiarezza ed onestà vorrei precisare che con la composizione non ho fatto chissà quanto. Tu forse sei più avanti di me.
Potremmo dire, sempre per il discorso della dimensione artigiana, di bottega della composizione, che le opere di Wagner sono sconsideratamente lunghe e l’economia delle voci è gestita malissimo: ma puoi mai tenere un cantante un’ora e mezza sulla scena a gola piena?
Figurati per l’Antonio: preferirei molto chiamarmi così piuttosto che Antonino. Quella successione NIN è orribile!
Saluti
Beh c’è chi ha sempre cantato Wagner indenne. E poi… chi l’ha detto che un cantante wagneriano debba cantare un’ora e mezza a “voce” (sono solo quelli d’oggi che cantano con la “gola” 😀 ) piena?
E poi se canti davvero bene, l’affaticamento dovrebbe interessare solo i muscoli conivolti nella respirazione.
Certo che quei mostri della prima metà del Novecento cantavano Wagner rimanendo indenni e senza fatica. Per carità! Mica si canta tutto il tempo a voce piena (per gola intendevo questo, certo non cantare con la gola come quei criminali di oggi). Però un’ora e mezza di di terz’atto di Tristano per il tenore è pesante signori, dopo che si è fatto tutto il secondo; con tutto il canto sfumato ed a mezza voce che si vuole, ma è pesante! Sachs non sta zitto un’attimo in un opera di quattro ore e mezza. Fosse anche solo per la pancia, ma ci si stanca! (certo che se canti bene si stanca solo la pancia). E pure per l’orchestra: pensate ad un corno che deve pigiare le labbra contro un pezzo d’ottone per quattr’ore e mezza. Poi -per carità!- si fa, tutto si fa; ma è troppo!
Pensa alla sapiente distribuzione delle voci nell’opera italiana: uno entra, l’altro esce e si va a riposare; e così via. Pensa Aida che canta tutto il terzo atto; prima di ricantare c’è l’intervallo e 20-25 min. di musica dove sta zitta e fuori scena. Ed Amneris? Prima di farsi quel po’ po’ di quarto atto, nel terzo canta tre frasi.
Diciamo pure che il terz’atto di Tristano è massacrante, posto che non è che prima il tenore stia proprio zitto!
l primo interprete morì poco dopo la prima.
Credo che quella prima esecuzione abbia avuto il suo peso nella cosa! 😀
difatti caro Antonino il concerto n.1 in mi bem magg .per piano e orchestra dl Listz ha anche un altro nome “concerto per triangolo” cosi titolato per disprezzo dal critico Hanslick per l’insistenza di questo strumento
riguardo alla romanza di Margherita a me piace in tono,è una nenia lamentosa.
il mezzotono in su influisce,perche quando va giu nelle note gravi ,queste non hanno la richezza,il peso vocale giusto ,poi se ogni cantante nell’opera vuole aggiustarsi le tonalita a piacer suo
beh allora ….
comunque si parla qui composizioni per vocalità non per concerti strumentali ..
Eh, perchè Hanslick non sapeva del trucchetto senza il quale l’orchestra rischia di andare fuori come un geranio.
Ho sentito appena tre volte quest’aria e non mi sembra che debba avere per forza gravi corposi (non che la possa cantare un coloratura); e poi a lei piace l’Olivero che non mi sembra avere gravi tanto corposi. Non si tratta di aggiustarsi a proprio piacere, ma a proprio comodo.
Io ho parlato di composizione strumentale per farle capire come l’estetica sia sovente subordinata alla tecnica artigiana della composizione. E poi la voce è uno strumento, deve essere uno strumento. Dovrebbe… ahimè!
dammi del tu ….mi trovo più a mio agio ciao…
Va bene. Ciao
E comunque quest’aria è meravigliosa, ha un’atmosfera bellissima; non l’avevo mai ascoltata. Meravilgiosa anche la Raisa: le agilità sono sublimi.
Che ci sia un elemento artigianale imprescindibile nella composizione è sicuro. Ma, oltre che sicuro, è anche ovvio. Forti conoscenze tecniche e artigianali sono indispensabili per scrivere il Faust, la Divina Commedia o il Tristano. E naturalmente l’artigianato condiziona la scelta estetica. Infatti, a seconda che uno decida di srivere in terzine o in ottave, la fisionomia del poema cambia. Ma la riuscita o meno dell’opera non dipende da questa scelta. Tuttavia, va detto che non sempre i musicisti hanno composto per gli strumenti nella tonalità che per loro era più armonica e bella. Per fini espressivi hanno fatto anche il contrario; basti pensare a un grandissimo come Edgard Varèse. Poi, trovo anche molto discutibile il fatto che, perché un certo compositore, anche grande, ha avallato alcuni usi, noi a quello ci dobbiamo rimettere; ne vogliamo sapere forse più del compositore? Il problema non è quello. Il fatto è che, una volta che la sua musica gli è uscita dalla testa, il compositore è esterno nei confronti della propria creazione né più né meno di tutti gli altri. Il suo stile e i suoi criteri di esecuzione saranno solo alcuni fra i tanti possibili, nello scorrere del tempo che ci allontana dal momento della genesi dell’opera. Tant’è che nessuno si sognerebbe di dire che l’unico modo di eseguire i poemi sinfonici di Richard Strauss sia quello di adottare lo stile rapido ed antisentimentale del loro autore. Tanto meno qualcuno si sentirebbe di avallare l’autorappresentazione di Rossini come quella di un reazionario odiatore dei tempi nuovi; rappresentazione, questa, difficilmente conciliabile con il primo numero dello “Stabat Mater” o il finale del “Tell”. Riguardo poi al triangolo nel primo concerto in mi bem. maggiore per pianoforte di Liszt, per sostenere come fa Antonino che esso è presente per non mandare fuori l’orchestra, bisogna avere pezze d’appoggio testuali. Vorrei sapere di esplicite dichiarazioni di Liszt al riguardo, dichiarazioni che senz’altro Antonino avrà la gentilezza di indicarmi. Sono molto interessato al riguardo. Infine, dire che in Wagner c’è una carenza di bottega artigianale per il suo trattamento del canto mi sembra quanto meno azzardato.
Marco Ninci
Caro Marco, naturalmente quanto dici riguardo a Varèse è giustissimo; d’altra parte rientra in ogni caso nella dimensione artigianale della composizione: scelgo intenzionalmente di mettere in difficoltà l’esecutore per ottenere un effetto specifico; come posso dire altrimenti? Forzo lo strumento. Così faceva anche Liszt, il quale, in molti momenti degli Anni di pellegrinaggio prescrive esplicitamente – è ridondante, lo so – l’incrocio delle mani anche se, a prima vista, leggendo lo spartito non solo non sarebbe necessario ma sarebbe anche più comodo non incrociarle. Però Liszt lo pretende perché sa che dall’incrocio delle mani, da una posizione scomoda, si ottiene una sonorità diversa molto da quella della posizione comoda; una sonorità che egli ritiene più adatta al momento che sta descrivendo. (Se ti interessa, ti consiglio la lettura di “Il mio Liszt” di MIchele Campanella, ricchissimo di spunti di riflessione per comprendere la non sempre lineare musica del grande Franz).
Poi tu dici che l’opera, una volta consegnata al pubblico è, come diceva Pasolini, licenziata; l’autore non può dire “Beh, ma io volevo dire un’altra cosa”, perché se il pubblico quest’altra cosa non la capisce o l’autore ha sbagliato qualcosa o, più facilmente, l’opera si presta a molteplici letture. E nuovamente sono d’accordo con te. D’altra parte, l’aneddoto Caruso-Puccini ricordato da Mozart ha un suo significato importante; ecco, forse è esagerato dire “ne vogliamo sapere più dell’autore?”, ma di certo, se una pratica esecutiva è avallata dal compositore, questo vuol dire, almeno, che l’opera non finisce con l’ultima pagina della partitura. In fondo, non dimentichiamolo, la musica esiste nel momento dell’esecuzione e quindi la prassi esecutiva è molto importante – che sia o meno avallata dall’autore.
Mi viene in mente quello che raccontò Karajan a un giornalista: da giovane, dovendo preparere un’esecuzione di “Morte e trasfigurazione”, si recò dal vecchio Strauss e gli disse che, secondo lui, il risultato sarebbe stato migliore raddoppiando i violini. La risposta di Strauss fu: “Se riesce a trovare i violinisti, perché no?”. Questo per dire cosa: che infondo avete ragione sia tu, Marco, sia Mozart: Strauss da un lato avalla una scelta che, stando alla partitura, lo contraddice; dall’altro ha un atteggiamento apertissimo verso la gestione della sua musica da parte di terzi e non pretende di avere la verità in tasca.
Per Pasquale: carissimo, certo che lascio scegliere a te cosa ti emoziona e cosa no. Figuriamoci se mi metto nella tua testa e nelle tue orecchie a dettare legge. Volevo solo approfondire l’argomento messo in campo da Antonino e, secondo me, molto interessante.
Per quanto riguarda Kraus o la Sutherland, esiterei a definire i loro trasporti trucchetti. Ascolta il concerto di Kraus a Salisburgo – dove adotta quasi sempre tonalità almeno di mezzo tono sopra quelle previste per quei brani nella corda di tenore – e dimmi se quello che senti è un vecchio imbroglione che ricorre a trucchetti; perché se senti questo, temo che non ci capiremo mai in fatto di cantanti.
Poi, ripeto, l’emozione è soggettiva. Mi sembrava di averlo chiarito nel mio primo intervento.
Buona giornata a tutti.
Lontanodalmondo, hai capito perfettamente il senso di quanto volevo dire. Si potrebbe aggiungere l’ esempio di Mascagni: se ascoltiamo la sua incisione della Cavalleria con la partitura alla mano, si nota subito che lui dirige spessissimo in maniera diversa da quanto lui prescritto nel testo. Oppure possiamo ricordare quella volta che Giordano, provando Fedora con l’ orchestra, durante l’ Intermezzo si fermò e disse: “Signori, ritmo”. Il primo violino obiettò che non era scritto così e lui rispose: “Non importa, qui bisogna fare della musica!”.
Ah, a proposito, dove hai letto che il racconto di Karajan si riferisce a Tod und Verklärung? Io l’ ho letto nel libro-intervista di Richard Osborne “Conversazioni con Herbert von Karajan” e lui al riguardo parla di Metamorphosen….
Caro Mozart, giustissimo l’esempio di Mascagni: nelle Cavallerie dirette da lui, specialmente prima che attacchi la siciliana, fa esattamente il contrario di quello che ha scritto.
Poi, a proposito dell’aneddoto di Karajan, credo abbia proprio ragione tu. Citavo a memoria – il libro non era mio e l’ho reso al legittimo proprietario, quindi non ho potuto controllare. Ma ora che citi l’autore, proprio a quel libro mi riferivo. Grazie della rettifica.
Bèh, già la poesia è molto diversa: là ci sono il poeta, un pezzo di carta ed una matita. E poi c’è che lo legge: a meno che questi non sia cieco, non penso che abbia vincoli tecnici particolari. Nella musica ci sono strumenti ed esecutori, che di vincoli tecnico-fisici ne hanno molti: lei sa perchè alcuni trilli non sono eseguibili su un clarinetto? Perchè in essi sarebbero impegnate tutte le dita e nessuno potrebbe mantenere lo strumento. Certo, non escludo che qualche genio del Novecento abbia scritto un trillo ineseguibile prevedendo che un’altro esecutore, magari il vicino che in quel momento tace, gli mantenga lo strumento! Certo che poi i compositori possono fare anche il contrario; ma ci dovrebbe sempre essere cognizione. Ma di VArese non ne so nulla.
D’accordissimo sul rapporto compositore-opera nel momento in cui essa è terminata. D’altronde anche il punto di vista del compositore sulla proprio partitura è un arbitrio così come è un arbitrio il punto di vista degli esecutori sulle indicazioni del compositore. Si potrebbero riscrivere tutte le dinamiche della Quarta di Brahms (a parte magari qualcuna più ovvia): rimarrebbe sempre la Quarta di Brahms; diversa, ma la Quarta di Brahms.
Riguardo al concerto di Liszt, caro Marco, la sua richiesta di documentazione mi sembra soltanto una sciocca provocazione o una insensata pretesa. A me l’ha spiegato il mio maestro di composizione, Luciano Pelosi (che prima ancora di essere professore di conservatorio è un compositore; e lo dico perchè ci sono professori che non hanno mai scritto un pezzo in vita loro); ne vuole sapere più di un compositore? Se lei lo è, oppure è musicista, obietti pure e neghi la validità di quanto dico sul conserto di Liszt; altrimenti taccia.
Riguardo a Wagner ho risposto poco più sopra.
Antonino d’Emilio
caro giovane amico Antonino..Ninci ha fatto una richiest, dov’è hai letto la storia del trangolo,non c’è bisogno di reagire in quel modo,hai spiegato chi te l’ha detto,se Ninci si ritiene soddisfatto ben, se ha qualche cosa da chiedere lo farà,il verbo tacere,in una discussione non esiste
Brano stupendo di una cantante che personalmente mi piace tanto: grazie Mancini per l’ascolto!
Vorrei esprimere un ringraziamento nei confronti di pasquale, antonino, mozart e lontanodalmondo per l’argomentazione vocale-strumentale relativa ai cambi di tono: ogni tanto spunta qualche interessante commento, e non la solita tiritera inutile e fuori tema!
Inoltre, caro pasquale: capisco che tu sia dotato di orecchio assoluto e che leggendo lo spartito i battimenti tra il tono (dello spartito) e semitono sopra (dell’esecuzione) ti risultino indigesti, qualora non anche strazianti, ma a me personalmente non cambia niente! 😉 rispetto comunque la tua opinione perché argomentata!
Grazie.
Appunto. Nessuno ne sa più di un altro. Non c’è nessuna identficazione privilegiata fra l’autore e la sua opera, perché quello che un autore può pensare di essa, sia come interprete che come studioso, è un fatto solo individuale, mentre l’opera, se è di grandezza autentica, entra a far parte della storia collettiva, che con l’individuo non ha nulla a che vedere. In tempi di scrupoli filologici, si tenderà a un’esecuzione estremamente rigorosa del testo, in altri meno o per niente. E’ l’evoluzione del fatto interpretativo.
Marco Ninci
D’accordo. Purchè non si pensi a cambiare o ignorare le prescrizioni dell’autore.
Caro Antonino, a parte che le tue espressioni, diversamente dalle mie, sono poco rispettose e valgono quel che valgono, tu parli senza una pezza d’appoggio che non sia quella del tuo maestro; che è un po’ poco, ne converrai. Tant’è che l’uso del triangolo non è che sia così frequente nei concerti per pianoforte e orchestra; a meno che non lo si voglia identificare con l’uso generico della percussione. Il Maestro Pelosi l’avrà senz’altro usato con questo scopo nelle sue composizioni. Ma voler attribuire questo scopo a Liszt è un po’ arduo, non credi (uso il tu perché qui tutti facciamo così)? Per quanto riguarda il parallelo fra la musica e la poesia, le cose stanno proprio in questo modo. I codici poetici sono veramente l’equivalente degli strumenti in musica e rappresentano vincoli tecnici condizionanti, fino a tutto l’Ottocento. A seconda del codice che si usava, lo sbocco era diverso. La scommessa, quella che distingueva il grande artista dal mediocre, la “Gerusalemme liberata” del Tasso dall'”Italia liberata dai Goti” di Giangiorgio Trissino, era che l’analogo rispetto del codice (o di tutto ciò che costituiva il vincolo del genere letterario) portava ad esiti incommensurabilmente diversi. Ma il codice comune restava. E senza comprendere questo era impossibile misurare il grado di originalità che caratterizzava il grande artista e causava piccoli, impercettibili scarti dal fondo comune. Quesrti scarti, con l’andare del tempo, sono divenuti sempre più grandi, tant’ è che poi è esploso il concetto stesso di genere letterario, nel modo in cui le avanguardie hanno fatto esplodere l’idea di musica sette-ottocentesca. Ma pensare di capire Foscolo o Leopardi senza pensare al modello, proprio tecnico e vincolante, cui si riferivano è pura illusione. Neppure loro erano solo estro ed entusiasmo, non creavano dal nulla come Dio, ma avevano dietro di sé una lunghissima tradizione.
Ciao
Marco Ninci
E poi guarda, Antonino, io ho il massimo rispetto per te e per il tuo maestro. Io non ho mai pensato di fare una provocazione. Ho un interesse genuino per queste cose; e volevo mi fossero spiegate, cosa che tu non hai fatto, trincerandoti dietro l’ipse dixit. Ammetterai che così non va bene e mi piacerebbe si trovassero testimonianze dell’epoca che, queste sì, sarebbero di interesse enorme.
Ancora ciao
Marco Ninci
Ovviamente la questione del “genere” c’è anche nella musica, non solo nella letteratura. Questo per dire che c’è proprio un parallelismo. Da una parte strutture formali, vincoli espressivi e generi, da”alktra vincoli strumentali e generi.
Marco Ninci
La discussione tra Marco e Antonino – che riconosco essere molto interessante – mi sembra una discussione tra uno che ama la musica ma con ovvie carenze tecniche musicali (Marco), ed uno che riporta quanto detto da un compositore-musicista, ossia un tecnico (il maestro di Antonino, e di riflesso Antonino stesso).
Ci son questioni che a chi non è pratico – nel senso etimologico, che non ha pratica diretta – di musica risultano strane, mentre sono del tutto giustificate, se non ovvie, agli occhi dei musicisti.
Tralasciando il triangolo nel brano di Liszt, un altro esempio può essere il problema pratico di dove mettere le appoggiature nella musica vocale ante metà 800; appoggiature mai scritte dai compositori perché tutti i cantanti del tempo sapevano dove metterle, e con un po’ di studio e pratica anche un cantante dei nostri giorni sa dove metterle senza dover citare testi teoretici.
Idem per le cadenze o variazioni nei brani: tutta sanissima PRATICA!
caro papageno qui sembra che si discuta chi “produce e chi “consuma”allora faccio la parte di quello che è destinato a consumare,e mi tengo il diritto di dire se una cosa piace oppure no,se uno scrive “teoricamente” bene,ma “praticamente” per me è uno schifo,non dispongo dell’orecchio assoluto che nemmeno tanto blasonati musicisti hanno,ma dispongo del buon senso nell’ascolto,e i miei gusti personali.
gia ci sono i cantanti professionisti che rompono,adesso anche gli “allievi”?
Caro Pappy, il tuo elogio della PRATICA mi trova assolutamente d’accordo, ma attenzione a non farla troppo semplice. Mi torna in mente un Don Giovanni a Monaco di Baviera, dove le appoggiature imposte dal talebano dell’appoggiatura Mackerras in “Non sai chi l’onore” fruttarono alla povera Vanness – interprete più che adeguata – un uragano di fischi, uragano indirizzato esclusivamente a quelle stesse appoggiature, che in effetti – anche a mio parere – indebolivano il furore insito nell’aria. Ciò per dire che ogni scelta si tira dietro conseguenze che spetterà al singolo ascoltatore valutare.
Altrettanto potremmo dire in questo caso della Raisa: il tono lievemente catatonico – percepito dagli ottimi Piccarda e Billy come incolore – me la rende (e qui concordo con la splendida analisi di lontanodalmondo) assai spettrale, inquietante, patologica e quindi emozionante.
Chi ha ragione? Tutti. Anche alla luce della maestria che tutti, appunto – a prescindere dal giudizio sull’interpretazione – siamo pronti a riconoscerle.
L’aria era, naturalmente, “Or sai chi l’onore.”
Concordo assolutamente con te
Ferma restando la perizia tecnica della Raisa, non mi pare che il suo tipo di voce si adatti a questa romanza. Inoltre, mi pare una interpretrazione incolore, che non suscita in me nessuna emozione.
Scusatemi , ma io la penso così.
Beh se non altro siamo in due a pensarla così. E’ sufficiente confrontare la Rasia in:L’aura è fredda , il carcer fosco…
e poi sentire lo stesso passaggio eseguito dalla Callas o dall’Olivero .
Ma va bene così eh, non è che bisogna che una cantante ci emozioni per forza… L’importante secondo me è cpaire quando uno/a canti bene: quello mi sembra l’unico dato quasi del tutto obiettivo; poi il sentire di ciascuno è, appunto, il sentire di ciascuno.
Caro Misterpapageno che il fatto che io non sbandieri conoscenze tecniche non significa affatto che ne sia privo, io vorrei semplicemente riportare il discorso al punto da cui è partito, proprio per dare un po’ di concretezza: il famigerato triangolo. Tu dici che è un problema da tralasciare. Antonino dice che basta l'”ipse dixit” del suo maestro. Nessuno dice una cosa comprensibile, fondata su un uso testimoniato. Le appoggiature non scritte e che venivano eseguite nella prima metà dell’Ottocento sono un fatto banale, lo conoscono tutti; ma non ha nessun rapporto col fatto in questione. Ho letto diversi saggi sul concerto di Liszt, anche di musicologi e musicisti insigni, come Sergio Sabilich e Michela Campanella, ma mi sembra ( potrei comunque sbagliarmi e non ho nessun problema a ricredermi) che da nessuna parte compaia la descrizione di questo scopo del triangolo, mentre è descritta abbondantemente la funzione timbrica dello strumento. Forse si trattava di un ruolo talmente ovvio che non necessitava di menzione. Ma mi sembra difficile.
Marco Ninci
Ritorno a dire: pur nella mia stima per la tua conoscenza nel campo strumentale-sinfonico ed in parte direzionale, tu sai ma non fai.
Non serve che sbandieri conoscenze: si capisce quel che sai da cosa scrivi. Infatti, quando parli di canto, ti dico che non sai perché si capisce da cosa e come scrivi che non conosci la materia, diversamente dal campo sinfonico: leggo quel che scrivi con interesse ma spesso irritato per la pretesa da parte tua di contestare cose ovvie o di competenza dei musicisti e non ovvie ai filosofanti!
Dal “sai ma non fai”, ne discende che tutto ciò che appartiene alla sfera del fare, se non supportato da testo – fonti scritte – possa sfuggirti, perché non hai la conoscenza pratica – e spesso intuitiva – di certe scelte che si possono fare solo essendo musicisti – e nel nostro caso, compositori.
D’altronde, non mi pare ci voglia un trattato per capire e.g. che nell’ Entr’acte dell’Atto III della Carmen il flauto ed il clarinetto siano Carmen e Don José: nella mia ignoranza rispetto alle tue conoscenze, mi sembra una cosa ovvia!
Non conoscevo l’aneddoto del triangolo di Antonino, ma quello che propone lui – e quindi il suo maestro – è senza ombra di dubbio una interessantissima soluzione ed interpretazione, rispetto al niente che proponi, caro Marco! D’altronde, come la storia manifesta a piene mani, la musica va avanti grazie ai musicisti e compositori, non di certo grazie agli storiografi della filosofia o ai filosofanti!
Io poi, per educazione, studio e necessità di comunicare, devo confessare di non conoscere questioni ovvie. Ciò che sembra ovvio in un primo momento, una volta visto da vicino, tanto ovvio non è. Gli studenti bravi servono a questo: a farti capire che ciò che ti sembra chiaro non lo è affatto e che la regione dell’ovvio ha lo spazio di un fazzoletto. In questo consiste la ricerca, sia nel campo pratico che in quello teorico (parlo così per comodità, come se ci potesse essere una pratica senza teoria e viceversa): a problematizzare la chiarezza, per arrivare a gradi di chiarezza sempre maggiore. Così almeno mi sembra.
Marco Ninci
PER MARCO NINCI
1) Comincio citandoti: “Riguardo poi al triangolo nel primo concerto in mi bem. maggiore per pianoforte di Liszt, per sostenere come fa Antonino che esso è presente per non mandare fuori l’orchestra, bisogna avere pezze d’appoggio testuali. Vorrei sapere di esplicite dichiarazioni di Liszt al riguardo, dichiarazioni che senz’altro Antonino avrà la gentilezza di indicarmi. Sono molto interessato al riguardo”.
Caro Marco, a me questa non sembra per nulla una richiesta di una spiegazione tecnica più approfondita; mi sembra piuttosto una richiesta di giustificazione; e se chiedi giustificazione significa che dubiti della bontà di quanto dice un compositore. Ma chi ti da diritto, a te che non lo sei, a dubitare di un compositore? Ma poi scusa, ti pare mai che Liszt abbia lasciato dichiarazioni scritte sugli accorgimenti tecnici presenti nelle sue partiture? per dichiararlo a chi? a quale scopo? dichiarazioni sui trucchi del mestiere? Hai mai visto un compositore che l’abbia fatto? Ma come ti viene in mente? E’ stato per questo che io ho usato toni un poco forti nel dirti di tacere. Tu non hai chiesto spiegazioni, mi dispiace.
2)Altra citazione tua: “tu parli senza una pezza d’appoggio che non sia quella del tuo maestro; che è un po’ poco, ne converrai. Tant’è che l’uso del triangolo non è che sia così frequente nei concerti per pianoforte e orchestra; a meno che non lo si voglia identificare con l’uso generico della percussione. Il Maestro Pelosi l’avrà senz’altro usato con questo scopo nelle sue composizioni. Ma voler attribuire questo scopo a Liszt è un po’ arduo, non credi?”
Caro Marco, a me quello che dice il mio maestro non sembra proprio una pezza d’appoggio -Ce l’hai proprio co sta pezza d’appoggio! Ti piace assai, eh?-. A me sembra piuttosto la conoscenza del mestiere da parte di chi lo pratica; sia sapere il perché di una partitura di Liszt, sia utilizzare i medesimi comuni trucchetti nelle proprie. E questi trucchetti rispondono a quanto segue: “La scrittura orchestrale dovrebbe essere facile da eseguire; il lavoro di un compositore ottiene il maggior risultato se le parti sono ben scritte. A. Glazunov ha espresso benissimo i vari gradi di bontà di una partitura, che divide in tre classi: 1) Quando l’orchestra suona bene a prima vista e benissimo e benissimo dopo poche prove; 2) e 3) sono ecc. ecc.” Rimskij-Korsakov, Principi di Orchestrazione (queste non sono dichiarazioni, beninteso). Converrai che esistono varie fonti della conoscenza; e in un mestiere artigiano come la composizione l’apprendimento diretto dal maestro mi sembra la principale. Nel nostro caso la mia fonte è il mio maestro; quella del mio maestro è probabilmente stato il suo; e chi esclude che all’origine non derivi direttamente dallo stesso Liszt? Che certamente non ha lasciato dichiarazioni testuali; l’ha semplicemente insegnato a qualcuno. O l’ha semplicemente pensato e scritto, e qualcun’altro se ne è accorto. Insomma, è mestiere. E tu non ne puoi dubitare (mi sembra onestà da parte tua non poterne dubitare , non presunzione da parte mia dirti che non puoi). Capirai poi che la frequenza del triangolo nei concerti per pf è un dato privo di senso: quello è un caso specifico di un principio generale.
3) Per quanto riguarda me personalmente, a questo punto ti spiegherei volentieri più approfonditamente il problema specifico del triangolo in quella partitura. Ma la mia conoscenza in questo caso si ferma all’informazione semplice. E siccome la conoscenza ha vari livelli, mi sembra legittimo così. D’altronde era solo un esempio inserito in tutt’altro discorso.
4) Che i libri da te letti non parlino del triangolo come trucchetto del mestiere mi sembra così ovvio! Il libro tratta ovviamente di questioni estetiche, o più che altro visioni estetiche da parte di qualcuno che deve vendere un prodotto: è molto più efficace a questo scopo inventarsi il significato estetico del triangolo, per il quale si possono costruire tanti e tanti pensieri e che è molto più appagante per il lettore (che probabilmente non sarà un compositore ma pubblico appassionato), piuttosto che spiegare la vera e semplice ragione di esso, che risulterebbe scarsamente appagante, non più di una curiosità. E probabilmente il musicolgo che ha scritto quel libto il trucchetto nemmeno lo conosce. Certo, Campanella forse sì.
Riguardo al confronto tra musica e poesia, credo che tu sbagli grossolanamente a paragonare i codici poetici agli strumenti musicali. I codici poetici sono l’analogo dei codici compositivi: per esempio, le regole del contrappunto. Pensiamo, per rimanere nel problema da te esaminato con T. Tasso, a quando il Concilio di Trento limitò ulteriormente le possibilità di scrittura: Palestrina, con tutte le limitazioni imposte, è stato ed è Palestrina; gli altri non sono nessuno. Ma i codici poetici e compositivi sono invenzioni dell’uomo (anche se in quelli musicali è molto più costituente la necessità del rispetto del fenomeno fisico; cioè non puoi inventarti un codice che va contro natura); i limiti degli strumenti no. Essi sono LIMITI dell’uomo: ripeto, se un clarinetto non può fare alcuni trilli, non è perchè lo strumento non è buono, ma perchè vi sarebbero impegnate tutte le dite e nessuno potrebbe più mantenerlo; cioè è l’uomo che non è buono. In cosa questo può trovare paragone nella poesia?
In conclusione, non pensare che quando alzo un poco i toni ti manchi di rispetto. Io ho rispetto di te.
Ciao
Non posso parlarti ora, Antonino. Ma guarda che i compositori che parlano degli accorgimenti tecnici (ma perché chiamarli “trucchetti”?) presenti nelle loro partiture sono una legione. Richard Strauss, per esempio; o Arnold Schoenberg. Poi, pensare che Sablich o Campanella “si inventino” il significato estetico del triangolo, celando il vero scopo della sua introduzione, come una specie di massoneria strumentale, è quanto meno bizzarro.
Ciao
Marco Ninci
Mi viene in mente una cosa. Magari quello che dici viene dal trattato di ochestrazione di Berlioz. Berlioz e Liszt erano amici. In settimana voglio andare a vedere. Sarebbe un bel risultato di questa discussione arrivare a una conclusione.
Marco Ninci
Una brevissima risposta a Misterpapageno e Antonino, per non esaurire la pazienza dei lettori e, tutto sommato, anche la mia. E’ chiaro che la storia delle arti la fanno gli artisti, con la loro capacità artigianale. Bella scoperta! Ma senza la riflessione storica e filosofica su di essa questa storia sarebbe stata diversa. Senza Nietzsche sarebbe stato molto più difficile imporsi per l’interpretazione antiepica di Wagner, senza Adorno le ragioni delle avanguardie storiche sarebbero state molto più difficili da comprendere, dato che gli autori stessi avallavano un’autorappresentazione abbastanza falsa storicamente. E in effetti le varie descrizioni della serie originale di una composizione dodecafonica sono infinitamente meno importanti dell'”aria fritta” di Adorno, tesa a situare storicamente gli scopi dell’avanguardia. Questo per dire che la bottega artigianale non è tutto e non può vantare un punto di vista privilegiato. Ambedue gli elementi sono importanti e spesso lo sguardo allargato capisce ciò che la pratica non capisce, perché troppo poco distante dal proprio oggetto. Poi mi si dice: tu non fai. Prima conclusione: non puoi capire. Seconda conclusione: devi tacere. Ecco. Questo atteggiamento è quanto di più alieno da me ci possa essere. Si può cercare in qualunque mio scritto. Io non ho mai detto a nessuno: tu non puoi capire. Ho invece sempre avuto un grande desiderio di farmi capire, anche se non sempre ci sono riuscito. Perché il fatto che un altro non capisca non dimostra la sua insufficienza, ma la mia.
Marco Ninci