Il 27 ottobre ci ha lasciati, a 86 anni d’età, Hans Werner Henze. Con lui scompare forse l’ultimo dei classici. Sicuramente l’ultimo grande compositore del XX secolo capace di rinnovare la tradizione operistica (in senso ottocentesco) così come il grande sinfonismo di scuola austro tedesca. Musicista di robusta formazione, ha attraversatogli ultimi 60 anni con la curiosità intellettuale dello scopritore, senza legarsi ad ortodossie o facili scappatoie per soddisfare le esigenze di salotti intellettuali o di settori esclusivi della critica impegnata. Henze viveva nella sua musica e in essa rifletteva la sua storia personale: la Germania abbandonata, i legami con la grande tradizione musicale della sua patria, la scelta dell’Italia come inizio di una nuova vita (non solo artistica). Impossibile riassumere in poche righe la complessa vicenda umana e musicale di una delle maggiori personalità del ‘900 musicale (che ben può stare accanto a Strauss o a Shostakovich). Restano i titoli, le incisioni e un ricordo personale. Tra i primi non si possono non citare le 10 sinfonie, “L’elegia per giovani amanti”, “La cantata della fiaba estrema” e, soprattutto “Die Bassariden, vera rivisitazione dell’opera seria senza alcun intento parodistico da modernariato d’accatto (come oggi spesso capita ascoltare nella nouvelle vague operistica), senza dimenticare il balletto “Undine”, vero capolavoro di neoclassicismo d’avanguardia. Tra le incisioni vanno ricordate le grandi collaborazioni con i maggiori musicisti contemporanei (a cominciare da Celibidache), nonché le sue orchestrazioni/rielaborazioni del monteverdiano “Ritorno di Ulisse in patria” e, in particolare, la sua versione dei Wesendonck-Lieder (per mezzosoprano e orchestra da camera): non solo superiori all’ingombrante e retorica orchestrazione di Felix Mottl (purtroppo divenuta “di tradizione” nonostante i suoi scoperti demeriti), ma se non migliore non certo inferiore all’originale wagneriano, che Henze rivela – con la sua abilità – sin nei significati e nelle sfumature più nascoste. Il ricordo personale, invece, si riferisce alla prima milanese di “Lo sdegno del mare”, tratto da “Gogo no eiko” di Mishima (splendido romanzo breve sulla morte e sulla solitudine): opera di grande respiro e di grande complessità (forse non del tutto compresa dal pubblico scaligero) che richiama alla memoria il tempo in cui anche alla Scala si faceva musica vera e non ci si dava al mercimonio sfrenato o alla svendita promozionale per turisti e affini. Un grande compositore è morto ieri, ma una grande eredità ci ha lasciato. Addio Maestro.
Gli ascolti:
Undine (1958):
Die Bassariden (1965):
Wesendonck-Lieder (1976):
Un banale errore dovuto alla fretta. Corretto.
Per non dire del suo lavoro a Montepulciano, al Cantiere Internazionale dell’Arte, ove ho avuto la fortuna di conoscerlo e di apprezzare alcune produzioni tipo Pollicino, un Don Giovanni gustosissimo, la Messa Glagolitica diretta da Gelmetti(se non sbaglio…), e tanta musica nel magico borgo toscano.
io sono d casa a montepulciano e posso testimoniare che ogni molecola d’aria in piazza grande o nel teatro poliziano e ogni centimetro quadrato dei sconnessi gradini della scuola d musica da lui fondata esprime ancora amore e riconoscenza per il compianto maestro
Una grande perdita davvero. Perché non ci racconti qualche tuo ricordo di Henze?
Non ho avuto incontri diretti con Henze che una volta concretizzato il suo progetto, che in sintesi é la possibilità di fare arte, della buona arte, affiancando giovanissimi professionisti (che si esibivano gratuitamente) con dilettanti (non solo locali) ha ritenuto il “Cantiere” un festival che potesse stare in piedi senza la sua costante presenza in Montepulciano. Ma proprio perché abbiamo visto come in altre importanti manifestazioni, passata la festa si gabbava il Santo, trovo singolare come lì ogni direzione artistica, ogni ribaltamento di consiglio d’amministrazione non faceva mai spegnere quella fiamma di sperimentalismo e di ottimizzazione anche della minima risorsa che é l’imprinting a cui quel piccolo patrimonio umano e quel grande patrimonio monumentale e paesaggistico rende in ogni momento il suo tributo
Ho frequentato per anni il Cantiere di Montepulciano, che era sicuramente uno dei festival più divertenti e culturalmente stimolanti del panorama musicale italiano. Confermo quanto scrive albertoemme.