Bruder Streaming – Schwester Radio: Teatro alla Scala, “Siegfried”… o Spoletta?

Giorni fa la Rai ha riproposto la Walkure scaligera, inaugurazione della stagione 2010-’11, spettacolo in teatro davvero mediocre con un finale in cui l’incantesimo del fuoco evocava le immagini anni ’60 di due notissime rosticcerie milanesi. Brunilde nel ruolo dei prodotti dei due esercizi commerciali. E, se non mi sbaglio, lo scrivemmo anche . Ebbene vista in televisione la rosticceria non diventava nessuna pira sacrificale per la figlia id un dio, ma era l’insieme sopportabile. Questo per dire che gli spettacoli spesso (ormai sempre) nascono non già per quel pubblico che o lo vede pagando un costoso biglietto da 250 euro circa o lo intravede da palchi ( biglietti egualmente a prezzi proibitivi) o dal loggione, ma per quello delle sale cinematografiche e della TV. Allora per coerenza non diciamo che stiamo facendo del teatro d’opera, ma altro film o affini. Come non raccontiamoci la storiella che questo allestimento è teatro d’avanguardia o di regia perché i gesti dei personaggi sono quelli PARCHI di tutti i Sigfridi e di tutti i viandanti o delle risvegliande Brunilde della tradizione. I personaggi dell’allestimento del signor Cassiers di fatto non si muovono o, più precisamente, meglio non compiono un gesto differente da quelli della tradizione e a parte il vestiario da passator cortese delle sponda destra della Mosella del viandante, le comparse da kabuki, che accompagnano (portano a spasso tipo cane) il drago e le proiezioni di cui diremo, poi, nulla di nuovo, salvo il far credere al pubblico che questo allestimento, sia, per contro “all’ultimo grido della moda” per usare una frase da signorina di buona famiglia ossia da critico à la page, che sono poi la medesima cosa. Quindi l’antro di Mime ricorda le scena di Walkiria ed il sapere è sempre quello del post industriale che venne inaugurato trent’anni or sono (dal Chereau a Bayreuth) con le proiezioni della luce della fucina. Mime si frega le mani come le caricature del popolo ebraico all’epoca delle persecuzioni (novità degli anni ’50) il viandante è superbo ed altero e Sigfrido poco abile nel manovrare una leva che sembra più il timone della barca di Isolda che il maglio della fucina del nano. Arrivato nel bosco antistante l’antro di Fafner/drago abbiamo una suggestiva calata di luccicanti strisce che hanno suggestione televisiva. In teatro ( e me ne riservo la verifica) queste strutture temo ricordino gli addobbi natalizi della Rinascente anni ’60. E siccome ci viene ribadito quotidianamente che le voci si giudicano in teatro non vedo motivi per utilizzare criteri differenti per gli allestimenti. Preciso che nel tempo il cataletto di Brunilde è cambiato arricchendosi di un addobbo in pezzella di velluto o consimile, tipica dei funerali di seconda classe. Insomma il solito fumo negli occhi anche se in tv si presenta decentemente. Quanto al fumo molto ci è stato distribuito dalla compagnia di canto e dalal direzione d’orchestra. Inutile premettere l’usata geremiade, che di cantanti wagneriani non ce ne sono più. Questo è oggettivo da almeno quarant’anni, ma nel momento in cui si decide di allestire titoli wagneriani chi lo decide se ne assume ogni responsabilità e non può invocare buonismi, perdonismi e scriminanti. Di cantanti decenti , ribadisco decenti l’altra sera ne abbiamo sentito uno solo ossia Johannes Martin Kraenzle nella breve parte di Alberico. Decente perché almeno dimostrava, dall’ascolto televisivo un certo volume ed una certa penetrazione della voce. Tralascio il trauma della prima scena dove Mime (tenore comico o caratterista) e Siegfrid (heldentenor) avevano la voce assolutamente identica. Bianca, chioccia, stentata in alto. Ogni tentativo di addolcire il suono da parte di Lance Ryan si è risolto in rochi falsetti, i peggiori quando al terzo atto il protagonista dovrebbe descrive lo stupore dinnanzi alla DONNA e tacciamo del centro volutamente aperto e spinto sicchè ai limiti (inesistenza) tecnici si aggiungono l’assoluta mancanza di gusto e di intelligenza. Ma si sa i cattivi esempi nel canto sono quelli che fanno scuola e qui il tributo alla sgradevole voce di Jon Vickers è di tutta evidenza. Pessima in quanto pesante la scena della forgia. Correo Daniel Baremboim come dirò poi. Se non fosse che ho duramente riprovato il settantenne Rigoletto di Leo Nucci potrei cavarmela dicendo che un cantante alla soglia dei settanta (Terje Stensvold, il Viandante reclutato all’ultimo) non si giudica. Ma chi va in scena deve soggiacere al giudizio del pubblico anche televisivo per sentirsi giudicare duro ingolato e stonato incapace di legare due suoni, atteso che soprattutto nella scena con Erda dove il figlio dio deve “sedurre” la madre. Anche qui il tempo veloce staccato da Baremboin e, forse, gradito al cantante non rende il momento scenico. Quanto a suoni mal messi splendida gara fra Fafner ed Erda, che pure non hanno, se ricordo bene l’Olimpo germanico, rapporti di parentela. E poi una chiosa sull’allestimento, ma dove è scritto che Erda sia una maliarda con mosse da Dalida o per restare a Wagner da Venus. Erda deve cantare e deve farlo con la pertinenza del registro grave di contralto. Tanto quanto Fafner. E qui nulla di ciò. Per concludere l’acclamata protagonista che non riesce ad eseguire la forcella sulla prima battuta di Brunilde che si risveglia o in quelle seguenti sulla parole “Du selbst bin ich”. Non è il solito “beckmesserismo”, ma aderenza al testo e rendere il momento scenico, ma la cantante nella scrittura praticamente da mezzo soprano di questo Brunilde è sempre in difficoltà suonando opaca e sorda. Quanto al direttore e con la riserva dell’ascolto in diretta atteso che la ripresa televisiva penalizza soprattutto la parte orchestrale e quindi la qualità del suono dell’orchestra non si può giudicare non posso rilevare come sia pesante e meccanico nella scena della forgia, metronomico in quella di Wotan ed Erda che apre il terzo atto e nei momenti cosiddetti sinfonici. Sigfrido è opera statica con tre atti dalla analoga struttura, ma a differenza di Walkure, offre una ben maggior varietà di situazione e di descrizione dei sentimenti dei personaggi e non ho avuto l’impressione che queste possibilità siano state sfruttate da Beremboim. Mi limito ad un esempio ossia il famoso idillio di Sigfrido, che persino Toscanini rende ben più vario e colorato di quello della scorsa sera e sì che Toscanini, soprattutto in vecchiaia, godeva di fama non proprio propizia a queste situazioni sceniche.

Domenico Donzelli
Io capisco che non si possa essere perennemente scontenti di ciò che si ascolta. Davvero, lo capisco molto bene. Allora si cerca di trovare, nella mediocrità, quello sprazzo di luce, quella scintilla di “buono” che c’è in tutte le cose e di aggrapparsi a essa per poter avere il brivido di dire che si ha assistito a qualcosa di “bello” ed essere facilmente contenti; ma al contempo non si possono trovare sempre giustificazioni ed attenuanti per autoconvincerci che, tutto sommato, “ci sta” e va tutto bene e quindi bisogna accontentarsi ed essere felici e grati per questo.
Dai primi commenti in giro, questo sarebbe il “Siegfried” delle attenuanti: colpa di Wagner, dunque, se la parte di Siegfried sia incantabile e micidiale (vero), quindi è già tanto che il tenore arrivi fino alla fine, più o meno vivo: e già questo dovrebbe bastare a farci piacere Lance Ryan, tenore che al suo apparire, nonostante i difetti, a Valencia, Firenze e Bayreuth, aveva fatto ben sperare, ma che nel giro di cinque anni ritroviamo con la voce chioccia e querula, più affine a Mime che ad un superuomo wagneriano o ad un Heldentenor di razza. Un canto, quello di Ryan, in cui le vocali vengono spalancate all’inverosimile con un gusto becero, volgarissimo; il timbro viene mortificato diventando gracchiante; le note dal Fa vengono emesse indietro oppure come smunti falsettini dall’intonazione periclitante ed al centro ecco che fanno capolino note fisse. Il fraseggiatore non ha una fantasia accesa, ma una certa robustezza del tutto naturale delle corde vocali gli garantisce, con sforzi disumani, di arrivare al III atto: basta questo?
Se lo paragoniamo ai Siegfried che circolano oggi (il piccino e tremulo Kerl, l’ingolato Gould, l’impastato Vinke, lo sfinito Storey, l’insignificante Morris, l’urlante Franz) Ryan è il “migliore”… ma il “migliore” tra i peggiori, con una voce da Spoletta.
Altro Spoletta con la voce da zia zitella petulante, che riduce Mime alla solita macchietta ciangottante e oscillante si conferma Peter Bronder, che possiede timbro quasi identico a quello di Ryan, così da trasformare i lunghi duetti tra i due in un monologo di stonature.
Ci si deve accontentare di lui perché Mime è un caratterista comico? Nemmeno per idea, visto che artisti come Gerhard Siegel o Wolfgang Ablinger-Sperrhacke, hanno dimostrato, oggi, la profondità del nibeungo e gli infiniti risvolti del suo canto, alla maniera di Laufkotter, Paztak, Kuen, Wohlfahrt, Zednik, Clark.
Terzo Spoletta, ma per sopraggiunti limiti di età, ecco il Wanderer di Terje Stensvold: monotono nel fraseggio, gutturale ed oscillante nell’emissione, cerca di trovare in alcune inflessioni al centro ed una parvenza di autorità ed una ampiezza almeno nel timbro.
Ovviamente non si potrebbe giudicare negativamente, perché ha il pregio di aver salvato la baracca a causa della defezione del previsto Juha Uusitalo: non ci siamo persi nulla.
Su un livello più alto si attesta l’Alberich di Johannes Martin Kranzle, un baritono dalla voce salda, non esente da vibratino in acuto, e dal fraseggio incentrato su un perfido straziato cinismo, che finalmente non intepreta il personaggio come un crogiuolo di note urlanti e da inventare fastidiosamente alla maniera di Owens, Shore, Hawkins, Koch, Schmeckenbecher e simili.
Gonfi, malfermi, ingolati e dall’intonazione vacillante il Fafner di Alexander Tsymbalyuk e la Erda sgraziata di Anna Larsson, mentre l’uccellino della foresta interpretato da Rinnat Moriah giustifica l’apertura della stagione della caccia.

Conosciamo i difetti di Nina Stemme: voce emessa tra bocca e gola, che le abbassa il baricentro; La, Si e Do naturali ghermiti se non riesce a centrare l’intonazione con tanto di “scalino” sul passaggio; presenza di vibratino quando la voce non viene appoggiata bene; attacchi non sempre puliti; ma nel complesso di un cast mediocremente omogeneo, fa sicuramente la parte della leonessa.
Al centro la Stemme riesce a dominare meglio la voce riuscendo a far brillare il suo timbro personalissimo, anche se ovattato; l’accento è molto partecipe nel voler ritrarre una Brunnhilde più materna che vibra della dolcezza e della fragilità di una Sieglinde (ruolo che, come ha dimostrato anche recentemente in concerto, il soprano padroneggia molto bene), impostazione vincente per una voce tendenzialmente lirica, e scurita purtroppo artificialmente, che proprio nei ripiegamenti più delicati dell’ “Ewig war Ich” trova la propria ragion d’essere.

Mi hanno finalmente stupito positivamente Daniel Barenboim e soprattutto l’orchestra.
Era ora!
Il primo, dopo un Prologo ed una Prima Giornata grigiastri e amorfi, si riprende in questo “Siegfried” con una direzione che approfondisce il tratto più soffuso della partitura attraverso un tempo lento, non indugiante, ed una visione dualistica: da una parte un mondo sotterraneo, tenebroso in cui archi, ottoni, legni e percussioni, dipingono le tenebre nibelungiche e divine; dall’altra un tratto più selvaggio, ingenuo, sensuale che permea la figura di Siegfried e Brunnhilde sostenuto da corni, archi, fiati e dalle evoluzioni cristalline delle arpe.
Entrambi contribuiscono ad una visione di insieme finalmente coerente e sfumata con una cura del suono inedita nel caso del direttore, finalmente a proprio agio.
Splendido il suono orchestrale, finalmente curato nel dettaglio, che sfrutta l’ intima espressività voluta dal direttore per restituire una rotondità che non si sentiva da anni; attenzione solo all’intonazione, non sempre impeccabile dei corni.

Piccola chiosa sugli speaker radiofonici di Radio 3 che hanno condotto la diretta: raramente si erano sbilanciati in passato per commentare l’esito di una serata, soprattutto nell’intoccabile Scalà; ma finalmente il libero arbitrio ha preso un ragionevole sopravvento ed ecco che durante gli applausi finali si sono lasciati andare a frasi come “Freddezza dell’allestimento… Senza magia… Interpreti non eccelsi… Siegfried, una specie di moderno bamboccione”.
A loro va un mio personale plauso per l’onestà!
Finalmente.

7 minuti di applausi alla prima: il solito “trionfo” formato fast food, mordi e fuggi.
Presto la recensione della recita dal vivo.

Marianne Brandt

 

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10 pensieri su “Bruder Streaming – Schwester Radio: Teatro alla Scala, “Siegfried”… o Spoletta?

  1. Dopo tanto tempo , mi ritrovo assolutamente daccordo con una recensione del terribile ” Corriere della Grisi ” ! Anzi , l’allestimento lo considero indecente : assenza totale di lettura critica della epopea Wagneriana , il che e’ veramente una impresa . Una sola discordanza : la Stemme nel finale era inascoltabile .
    Un abbraccio teutonicamente dolente.

    • Riporto il dialogo tra lo speaker Oreste Bossini ed il Professor Carlo Sini.


      SPEAKER: Carlo Sini, lei che impressioni ha avuto, diciamo?
      SINI: Si, di uno spettacolo onesto, diciamo che ha dei momenti anche suggestivi. Non trascinante, anche se l’esecuzione è ottima, è proprio la messa in scena che non decolla, dovrebbe essere più magica, secondo me.
      SPEAKER : Si, forse c’è una certa freddezza, in questa…
      SINI: Esatto! Troppo fredda!
      SPEAKER: Anche gli interpreti, tutto sommato, non sono… proprio…
      SINI: Non sono eccelsi.
      SPEAKER: Si!
      SINI: Comunque il nostro Siegfried per essere un novellino se l’è cavata bene.
      SPEAKER: Si, una specie di moderno bamboccione… ha un costume che (ed inizia a descrivere i costumi di Siegfried ed il cappello del Wandere definendoli “di non grandissimo gusto”).

      😉

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