Sorella Radio. Bicentenario verdiano: I due Foscari da Los Angeles

In questo inizio di stagione 2012-’13 dagli Stati Uniti, sempre in anticipo rispetto ai teatri italiani sono giunte interessanti broadcast:  uno verdiano da Los Angeles dedicato ad un titolo dei cosiddetti anni di galera, I due Foscari, e l’altro da Washington dedicato alla donizettiana Anna Bolena.

I Foscari avrebbero dovuto avere, nell’immaginario popolare propiziato dallo star system, il principale motivo di interesse nell’ennesimo debutto in un ruolo baritonale di Domingo. Preciso e specifico in ruolo baritonale dell’ex tenore Domingo. Lo avevamo detto con riferimento alla prestazione milanese  nel Simone e lo dobbiamo ribadire con riferimento a questa che Domingo è solo un tenore accorciato e versa in una fase della carriera, che in altri tempi e altre gestioni artistiche nei massimi teatri  sarebbe, da tempo, chiamata PENSIONE.

La parte della voce in cui un baritono canta corrisponde a  quella del passaggio di  un tenore e siccome, secondo quanto la tradizione ottocentesca riservava ai personaggi tragici in quella zona non solo si canta , ma soprattutto sono ubicati gli ariosi o i recitativi più impegnativi quali Domingo suona vuoto e sordo. Vedasi il primo recitativo: “Eccomi solo alfine” che precede l’aria “o vecchio cor che batti” l’apostrofe a Loredano nel carcere “degno di te il messaggio” e tutto quanto il grande recitativo del terzo atto sia prima dell’ingresso di Lucrezia “egli parte ed innocente parte” o l’aria finale “questa dunque è l’iniqua mercede” Ne le cose vanno meglio quando la tessitura di Francesco Foscari è
acutissima come nel terzetto del carcere perché batte una zona ben poco propizia – da sempre – Domingo come quella re-fa, che coinciderebbe con l’inizio della gamma acuta tenorile.Conseguenza interpretativa il doge è piatto, privo di qualsiasi scatto di autorità e la nobiltà si tramuta nell’essere piagnucoloso sia innanzi alle rampogne di Donna Lucrezia sua nuora sia, limite ancor più grave, nei momenti in cui Francesco Foscari è il doge Foscari. A parte -perché non può essere oggetto di riflessione nella sede di syster radio-  il problema dell’amplificazione che di suo regala quello che manca in volume alla voce del vecchio ex tenore, togliendo, se ve ne fosse ancora in natura, la morbidezza.

Se poi dovessimo prenderci la briga di guardare i segni di espressione e le indicazioni interpretative disseminate dall’autore in spartito ci renderemmo conto che Domingo non li rispetta affatto. Una attenuante, però, Verdi è meno prodigo di segni di espressione con la parte del vecchio Doge che non con quella degli sventurati amorosi.

Il che significa che sin dalla prima battuta  Francesco Meli alle prese con la centralizzante, onerosa  e verdianissima parte di Jacopo mostri la corda. Appena la voce sale oltre il mi centrale il controllo del suono è compromesso per cui o il cantante canta di gola e si strozza oppure emette falsetti. Bastano “il regina dell’onde io ti saluto” ed il successivo “più fedel (dei figli)” del recitativo iniziale. Piatta l’esecuzione della sortita “dal più remoto esilio”, piatta l’aria, che apre il secondo atto “ Non maledirmi o prode” preceduta da peggior recitativo dove Jacopo vaneggia credendosi novello Carmagnola con scarso volume, e suoni “tirati” e dove, mercè i limiti tecnici, l’oratoria e la prosopopea dell’eroe verdiano mancano, situazione che si ripete all’apostrofe “Di Contarini e Foscari” della scena dell’imbarco. Aggiungo che talvolta sulle note tenute “ e’ carmagnola”, che è un mi3 la voce, sottoposta allo sforzo, balla.  Le cose vanno meglio al duetto con Lucrezia, soprattutto nella sezione conclusiva “speranza dolce ancora”, ma il cantante non è verdiano nè per qualità naturale né tanto meno per adeguato supporto tecnico.

Sempre meglio della “gentile” consorte una esausta, urlante, malferma Marina Poplavskaya. Non ha acuti facili, anzi non li ha del tutto a meno che non li urli maldestramente,  non possiede note gravi ed ampiezza nel registro medio grave, che una parte pensata per Marianna Barbieri Nini impone, esegue maldestramente le agilità ( fra l’altro nell’anno 2012, i da capi dei numeri solistici sono tagliati) parecchie anche in forma di quartine vocalizzate. Accento, fuoco e nobiltà congiunte, che sono la sigla della Contarini e che la rendono uno dei ruoli più ardui del Romanticismo le sono sconosciuti.

Questo è uno dei primi prodotti dell’anno verdiano. Talvolta gli anniversari è meglio ricordarli con belle rassegne discografiche e qualche sermone. Sempre che le rassegne discografiche insegnino qualcosa ed i sermoni non siano “prediche inutili”.

 

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38 pensieri su “Sorella Radio. Bicentenario verdiano: I due Foscari da Los Angeles

  1. Che Domingo non abbia intenzione di mollare la professione di cantante (e le relative prebende) è ormai cosa risaputa e direi scandalosa. Ciò che più spiace è che ci sono Teatri che gli danno spazio. Nessun critico togato osa però negargli il consenso anche in presenza di fatti che gridano orrore. Come dice Dante: …non ti curar di lor ma guarda e passa.

  2. “La parte della voce in cui un baritono canta corrisponde a quella del passaggio di un tenore”
    Non capisco. Il passaggio del tenore canonicamente è sul fa, e da lì inizia la sua gamma acuta; il baritono canta ad altezze decisamente più basse, il fa è già un acuto molto oneroso. Qualsiasi tenore con buona estensione nei gravi potrebbe divertirsi a cantare una parte baritonale, con l’inconveniente però di un volume insufficiente e, cosa ben più grave, rischiando di alterare il baricentro della voce sbilanciandone tutto l’assetto, con conseguenti ingolamenti, appesantimenti, accorciamento dell’estensione ecc… Non parliamo poi Domingo, che oltre a non essere baritono è pure vecchio, e anche come tenore ha sempre cantato come un osceno dilettante.

  3. Chiarisco subito: non mi piace Domingo. Ritengo però davvero difficile che “un osceno dilettante” possa cantare per oltre quarant’anni (anche Wagner, tra l’altro) senza finire completamente afono molto tempo prima. A meno che non si tratti di un fenomeno di natura particolarmente dotato.

  4. Donzelli, faccio mia l’osservazione di Mancini sulla tessitura baritonale: cosa intendevi dire?

    Domingo in queste parti fa pietà. Però quando era in gioventù meglio lui degli attuali scalzacani. Almeno una parvenza di cantante riconoscerete che lo è stato.

    Ascolti meravigliosi: la Vitale è una cantante troppo trascurata dal ricordo.
    Bergonzi forever….

    • diciamo che il passaggio sul fa deve essere fatto e finito perchè il sol è un acuto per soprani ed ancor più per tenori. il passaggio di cominica a preparare fra il do diesis ed il re e li francesco foscari ci canta tutto qua. adesso-immagino- cominceremo a discutere dove il tenore debba passare di registro.
      concordo sul Domingo giovane, anche se non mi è mai piaciuto, ma spesso si giudica in forza del dopo e Domingo di questi diciamo cantanti è il padre spirituale ed anche materiale.
      ciao dd

      • Di Domingo si può apprezzare la professionalità, la preparazione, la solidità musicale e scenica, ma giovane o vecchio che sia, vocalmente è sempre stato inascoltabile.

        Il tenore passa, canonicamente, sul fa (poi può anche capitare che in un particolare frangente di un brano passi sulla nota prima, oppure che salga di petto anche ai primi acuti per dare più impeto drammatico), e il passaggio dal petto al registro acuto è uno “scatto” che avviene da un mezzo tono all’altro. E’ chiaro che la riuscita di questa “manovra” (che poi “manovra” non dovrebbe essere, ma solo naturale conseguenza di una emissione ben equilibrata e posata sul fiato) dipende da come si siano affrontate le note precedenti, per cui è logico, ad esempio, che spingere, dilatare, appesantire le note che precedono il passaggio (re-mib-mi) sarà fatale per una corretta riuscita dello stesso. Ma il passaggio resta sul fa. Ciò che bisogna fare nelle note precedenti non è preparare il passaggio, ma sorvegliare l’emissione per evitare di alterare le condizioni che ne permettono una fluida esecuzione. Ciò detto per un tenore professionista emettere un re un mi o un fa dovrebbe essere uno scherzo.

      • Domenico, sul passaggio sono con Mancini. E non è una questione da discuterne: è così e basta, senza quæstiones disputatæ da porre. Dal do# al mi sono note centrali. Tutt’al più se le note sono scomode si può anticipare di un semitono il passaggio e iniziare a “girare” il suono sul mi. La preparazione al passaggio la si fa dal do sotto il rigo: vale a dire che tu passi un suono solo se la voce è tutta nella stessa posizione (fuori, avanti, sui denti…) e il suono il più alto possibile. Se si fa così, il passaggio, una volta capito che cos’è, avviene quasi come un automatismo, come dice Mancini. Sempre che il fiato sia a posto. Ma non v’è dubbio che la voce del tenore giri sul fa, per cui dire che il passaggio copra più note, semplicemente non è corretto: il passaggio cade su una sola nota “bastarda” e che è forse la più impegnativa di tutte.

      • P.S. …poi è ovvio che se qualcuno vuol farne materia di discussione, come accade quasi puntualmente reprensibilmente (per non dir di peggio, e me ne verrebbero di cose da dire) in calce alla rubrica di Giambattista, non sarò certo io. Né, credo, Mancini stesso.

  5. Al di là dei meriti e demeriti di Domingo tenore, e al di là di tutte le considerazioni che si possono fare sull’assurdità di un tenore che canta da baritono solo perché anziano e dalla voce accorciata, e gli effetti negativi che derivano semplicemente dall’incongurenza fra le due scritture, quel che più mi fa rabbia è che Domingo non ha messo niente, ma proprio niente, della sua maturità almeno di musicista oltre che di uomo, per arricchire i fraseggi di questi personaggi, compensando almeno in parte le insufficienze vocali. Sia per il brutto Boccanegra che per l’orrendo Rigoletto (e il doge Foscari pare si aggiunga alla lista) è stato piatto e convenzionale, a volte perfino peggio dei baritoni urla-ed-enfasi (e muggiti) paraveristi. Questo fatto attira il disprezzo – morale e artistico – su tutta l’operazione. Quanto alla “longevità vocale”, anche l’odioso Giudici la poneva in correlazione alla tecnica “sopraffina”: come dire che la Callas è durata poco perché non sapeva cantare. Io penso che Domingo ha sempre avuto dalla sua, oltre a innegabili doti naturali, una dose cospicua di duttilità e musicalità (alla giapponese), capace di strappare almeno la sufficienza in molte delle opere affrontate (sulla scia di quelle dove aveva dato pure il meglio di sé): un prodotto da supermarket, insomma, come diceva Celletti.

  6. E la critica prona davanti al miracolo come sempre…e non parlo di quella italiana in particolare. Dopo la buonanima di Celletti, nessuno ha più avuto il coraggio di dirgliele chiare, a questo signore. E a me tornano sempre in mente le parole del mai abbastanza lodato Josè Mourinho sulla stampa…

  7. Ricordate una vecchia trasmissione in TV in bianco e nero con Lauri Volpi intervistato su Domingo, allora agli esordi,che dopo aver espresso critiche feroci, ha fatto sentire ,mi sembra, un passo del trovatore , e poi glielo ha cantato in tono ??

  8. Premesso che non ho sentito l’opera in questione, però mi paiono strane un paio di cose:

    Che si affermi che il passaggio è sul Fa e basta senza discussioni. Diciamo che mi parrebbe più corretto dire che “generalmente” per i tenori il passaggio è sul Fa, se non altro per lasciare a Madre Natura lo spazio che generalmente le spetta nel saper variare e gestire la multiforme varietà umana. Tra l’altro, a prescindere dal dove si vuol far cadere l’accetta, è indubbio che le tessiture che girano continuamente in quella zona o immediatamente sotto ad essa, siano comunque tessiture impegnative e in cui difficilmente un tenore potrà sfogare la voce come un vero baritono, con gli evidenti benefici che ne deriverebbero sia per sé che per le orecchie della platea. Questo credo fosse l’appunto di Donzelli (mi scuso con il medesimo se l’ho frainteso).

    Che Domingo canti come un dilettante mi sembra una stupidaggine. Premetto che a livello di canto (al netto di musicalità e presenza scenica) non piace neanche a me e sono d’accordo sul fatto che ci è stato venduto in tutte le salse un po’ come al supermercato. Anzi, preciserei che è proprio con lui che si inaugura questo fenomeno di “prodotto per tutte le stagioni”, tecnica poi tentata con alterne fortune da quasi tutti i grandi tenori successivi. O presunti tali.
    Però i dilettanti sono altra cosa. E Domingo, con tutti i suoi evidentissimi difetti, è stato comunque un ottimo professionista. Se poi lo confrontiamo alla fauna odierna che popola i palcoscenici è un gigante: solo chi è abbastanza anziano da aver udito con le proprie orecchie i cantanti del passato o chi è abbastanza curioso da aver spolverato le loro registrazioni può percepire la differenza di qualità con il canto delle generazioni precedenti.

    Ritengo che ragionare solo in termini di bianco e nero non faccia un favore a nessuno. Lasciamo i livelli di grigio lì dove sono: se esistono un motivo ci sarà.

    • Il passaggio del tenore è sul fa, le eccezioni sono rare, ed in genere se un tenore dice di passare su una nota diversa è perché non sa passare affatto. Passare prima significa chiudere la voce ed intubarla, passare dopo significa gridare.
      A cantare un’aria da baritono una volta tanto non succede niente, solo il volume sarà insufficiente e gli acuti non avranno il rilievo idoneo, essendo per il tenore note centrali o poco più. Diverso invece il caso frequente del tenore che, classificato erroneamente baritono, si ritrova a cantare con una impostazione vocale che non combacia con la sua effettiva natura, il che può facilmente compromettere la salita agli acuti. E’ il caso per esempio del primo Bergonzi, o di Angelo Loforese.

    • Eccezioni alal regola ce ne sono sempre: ipotizzo che un tenore dalla voce particolarmente grossa possa trovarsi più comodo a girare sul mi, così come posso ipotizzare che un contraltino dalla voce particolarmente aerea possa passare più in alto, ma non certo di tanto: Lauri volpi in una trasmissione radiofonica facilmente reperibile sul Tubo dice che il passaggio è sul sol bemolle… Considerando le eccezioni il tutto si risolve credo nell’agio massimo di un tono: la nota di passaggio autentica restando il fa per la generalità dei tenori. Per le altre voci probabilmente la cosa è più duttile, ma ne so poco. Si dice che la Callas a seconda dei ruoli drammatici o leggeri abbassasse o alzasse il passaggio….
      Non credo che sia automatico intubare il suono anticipando di un semitono il passaggio: dipende sempre dalla perizia tecnica del cantante e dalla capacità di ascoltarsi.
      Diversamente a scendere di tessitura viene naturalissimo contraffare l’emissione.

      Che Loforese – acutissimo – fosse stato scambiato per baritono mi stupisce!!

      • I contraltini passano sul fa#, ma costituiscono una classe separata rispetto al tenore classico, che passa sul fa. Anticipare il passaggio generalmente preclude la salita agli acuti. Un tenore può anche scegliere occasionalmente di passare sul mi o sul mib per emettere quelle nota con più morbidezza ove la musica lo richieda, o viceversa può emettere un sol aperto di petto se la musica richiede accenti violenti. Ma per accedere correttamente a tutta la gamma acuta il passaggio va fatto sul fa, perché quella è la nota di equilibrio fra i due registri, la nota ove si riesce a fonderli e ad annullare la disomogeneità.
        Questa curiosità della Callas che cambiava la nota di passaggio (quale passaggio? le donne ne hanno due) in base al personaggio mi pare una cosa che non sta né in cielo né in terra. Se lo faceva davvero ecco scoperto il motivo per cui si scassò la voce.

  9. due piccole precisazioni:
    a) che un tenore accorciato o dotato al centro non possa improvvisarsi baritono è l’opinione di bergonzi, che baritono all’inizio di carriera non aveva gli acuti. Non che quelli da tenore fossero perfetti, ma le tessiture “gagliarde” tenorili di verdi le reggeva senza sforzo ed in fine carriera, richiesto se avesse mai voglia di ritornare alla corda iniziale dichiarò che non aveva abbastanza voce nella zona in cui il baritono canta.
    b) Quanto a Domingo non è neppure confrontabile con il magro miserrimo presente, sostenuto solo con mezzi differenti dal canto e dall’arte, ma che vantasse una tecnica ove per tecnica di canto si prenda a paradigma quella di un bergonzi proprio no. Probabilmente sapeva respirare (figlio di cantanti e in teatro dall’infanzia) e sapeva come ingolare il suono per evitare stecche e aperture di suono. tutto qua
    grazie dell’intervento e ciao dd

    • Diciamo pure che era inascoltabile!!! Recentemente ho buttato nella SPAZZATURA tutte le incisioni decca che possedevo dove lui figurava, ascoltarlo mi fa venire la nausea! Ingola, nasaleggia, schiaccia, spinge…ORRENDO. Sapeva respirare? Il canto è l’arte del respiro! Saper respirare è sinonimo di saper cantare… Sapeva respirare come sapeva cantare. E’ stato ed è tutt’ora solo un superdotato in termini di resistenza vocale, fibra d’acciaio e fisico fortissimo, nient’altro. Livello artistico non superiore alle attuali imposture.

    • Totalmente in disaccordo con Mancini su Domingo, mi dispiace. Non è certo nel mazzo dei miei tenori preferiti, ma dissacrarlo in questo modo mi sembra francamente esagerato. Era un manuale di canto? No. Semmai era il manuale del suono ingolato e indietro. Aveva tanta natura? Diciamo di sì. Va bene, basti questo e la sua musicalità non certo per farne un idolo del belcanto, ma almeno uno che in gioventù ancora salvava una rappresentazione. Oggi ti vien solo voglia di dar fuoco ai teatri (con gli artisti dentro).
      Mancini saper respirare non vuol dire automaticamente cantare: il respiro è necessario ma non sufficiente. altrimenti qualsiasi praticante un’arte marziale, o lo yoga o altre forme di meditazione sarebbe un cantante provetto. È anche l’impostazione che realizzi “in bocca” per dirla in modo vile. È l’unione delel due cose che fa il canto sul fiato: respirare correttamente, sì, ma anche aprire ‘sta benedetta gola.

      Donzelli, l’unico problema di Bergonzi in acuto è che ogni tanto calava di brutto, ma questo secondo me era dovuto un po’ ad innati problemi di intonazione (voce ricca, magari non si sentiva bene con l’orecchio interno) e un po’ perché, soprattutto nella tarda carriera, mi pare tendesse a coprire un pelo più del dovuto.

      • Ma che c’entrano le arti marziali e lo yoga? La respirazione del canto è la respirazione del canto, mica quella dello yoga o del judo! Il canto è emissione di fiato sonoro, arte del respiro. TUTTO nel canto è questione di fiato. Di un ingolato come Domingo, che ha cantato tutta la vita sulla fibra e non ha mai emesso un solo suono sul fiato, tutto si può dire meno che sapesse respirare artisticamente.

        • Il judo non lo conosco, però ti posso garantire che la respirazione diaframmatica è la medesima. Dire che il canto abbia la sua respirazione non solo lo rende innaturale, ma credo sia una delle ragioni dello schifo odierno. E ribadisco: il canto non è solo fiato, ma anche tutto ciò che fai “dalla gola in su” per permettere al fiato di portare il suono.

          • “Respirazione diaframmatica”? E quindi? Nel canto la respirazione serve ad alimentare la voce, ad emettere suoni, il canto si realizza nell’atto dell’espirazione, saper cantare significa avere un fiato perfettamente rapportato ai suoni, alle parole, alle frasi che dobbiamo intonare. Nelle arti marziali la respirazione risponde ad esigenze completamente differenti, ad esempio il controllo del baricentro del corpo, non c’entra niente con il canto.”Tutto ciò che facciamo dalla gola in su” cosa sarebbe? Se intendi il controllo volontario dei muscoli del faringe o l’innalzamento attivo del velopendulo per me sei sulla strada sbagliata. Ciò che controlliamo è solo il modo di aprire la bocca e di atteggiare il volto, e pure questo serve solo per propiziare il corretto flusso del fiato. Perché la voce non è altro che fiato sonoro.

          • “Fiato sonoro”? E che vuol dire allora fiato sonoro? Anche quella bxxxx di Kaufman emette fiato sonoro, anche il tuo vituperato Domingo emette fiato sonoro. O forse non è solo “fiato sonoro”? Nozione un poco lasca e un po’ troppo poetica, mi sembra. Il velopendulo non si deve controllare attivamente, se il suono è alto di posizione si alza da solo, Ma ce lo devi mettere, lì, il fiato. Concorderai almeno su questo? Qualcosa mi dice di no. Se poi a te viene che espiri e tutto va magicamente a posto, te beato: verremo ad applaudirti in teatro.
            Però mi fa strano che sia nato un fottìo di espressioni figurate per invitare l’allievo a posizionare il suono in bocca. IO ho dovuto imparare. Altri non so.
            Quanto alle altre discipline, si tratta sempre e comunque di controllo della respirazione. Ed esattamente come il canto si respira in un solo modo, ma diversi possono esserne gli usi. Punto.

          • Certo che bisogna imparare a posare la voce… ma ciò che si va a fare non è altro che creare le condizioni perché possa esserci un perfetto rapporto tra fiato e spazi orofaringei da esso alimentati… In Domingo o in Kaufmann questo rapporto è sempre stravolto, per cui abbiamo spinte, nasaleggiamenti, ingolfamenti e via dicendo… Respirare nel canto significa questo… Il fiato per cantare si fa… cantando, mica esercitando i muscoli respiratori indipendentemente dalla voce, e neanche facendo yoga o judo o aikido…

          • Buon Dio Mancini!! Ho forse detto il contrario??? Dai, per favore! Ho mai scritto che si deve esercitare i muscoli respiratori con altre pratiche? A me sembra di aver detto esattamente il contrario e di esser stato anche piuttosto chiaro nel dire che saper respirare bene grazie allo studio di altre discipline non porta autoamticamente ad essere cantanti. Certo che la voce si fa cantando, come il nuoto si fa nuotando, la corsa correndo, lo studio studiando: qualsiasi cosa la si fa facendola! Tutt’al più le altre pratiche in cui si utilizza il controllo della respirazione mi possono aiutare ad eliminare problemi legati alla respirazione e che mi limitano nel canto: il diaframma è un muscolo e come tale soggetto a contratture, per esempio.
            E poi, certo che è il fiato che porta la voce! È da deficienti conclamati sostenere il contrario: ma riconosci anche tu che gli devi creare spazio per poter scorrere senza pastoie e poi una volta trasformato in suono il cantante deve imparare a portarlo dove deve. Ma lo devi fare. Altrimenti NON-CANTI-(bene). Tu stesso dici la stessa cosa che dico io: il tardo Bergonzi cala perché scurisce. Quindi qualcosa lo si fa “dalla gola in su”! E quindi il canto non è solo fiato: è fiato E corretta impostazione. Questo intendo per ciò che si deve fare dalla gola in su!!!
            Ed è talmente importante l’imposto che – per quella che è la mia esperienza – se non apri bene la gola, se non realizzi perfettamente l’arco del suono e non lo pigli più alto possibile, la cosa rincula sul fiato: e non respiri più bene. Io trovo che sia questa una, e nemmeno l’unica, ragione per cui si spinga. Ma tutte queste cose le sai benissimo anche tu.

          • Ma certo che è importante l’imposto, io qui non faccio che parlare continuamente di imposto! Contesto invece che si dica che Domingo,ingolato, sappia respirare. Orbene, no, questa affermazione per me è un paradosso. L’imposto vocale èin rapporto di interdipendenza con la respirazione. Non può svilupparsi una corretta respirazione se la voce non è messa nel modo giusto. E al contempo non può svilupparsi il corretto posizionamento della voce se la respirazione è difettosa. L’emissione di Domingo è difettosa per cui lo è anche la sua respirazione. Respirazione e imposto sono causa reciprocamente l’uno dell’altra e viceversa, proprio come l’uovo e la gallina.

      • Per quanto riguarda Bergonzi, in acuto calava perché la voce non sfogava perfettamente, gliene restava un pezzettino “indietro”, complice l’eccesso di oscuramento che appesantiva l’emissione, e l’età che tale peso non gli consentiva più di sostenere bene come in gioventù. Questo avviene in tutti i cantanti la cui emissione, anche se di buon livello, non sia del tutto trascendentale, libera e naturale, ma sempre costretta in più o meno faticose manovre tecniche: al venir meno della prestanza fisica viene meno anche la capacità di reggere lo sforzo per compiere queste operazioni. Vale anche per un Kraus, ad esempio, che in età avanzata ha visto aggravarsi il difetto della nasalità. Un fenomeno come Schipa invece anche nei concerti d’addio mostra una intonazione esattissima ed una emissione impeccabile, l’età si ravvisa solo nell’accorciamento dei fiati.

        • Praticamente lo stesso di quel che ho scritto: copre od oscura che dir si voglia.
          Non sento però suoni indietro, posto poi che un suono indietro non è necessariamente calante. Bergonzi oscurando schiacciava l’arco del suono che perdeva la sua altezza e la nota il suo punto di fuoco. Però continuo a sostenere che l’intonazione riguardi anche la capacità di ascoltarsi. Bergonzi comunque cantava da Dio ugualmente. Personalmente non considero suoni calanti come un difetto così rilevante.

          • ma no… bergonzi non era stonato d’orecchio… calava perché non riusciva ad “agganciare” correttamente l’acuto, lo prendeva da sotto col portamento ma gli restava indietro di posizione e carente di quel tantino di appoggio del fiato necessario a farlo sfogare bene fuori (eheheheh respirazione e posizione del suono sono la stessa cosa, come ho detto sopra). Poi lui era uno di quelli fissati con la ricerca della cavità di risonanza dietro agli occhi, assurdità che può certamente portare a chiudere troppo i suoni oppure anche a metterli nel naso. Comunque le sue calate sono il più tipico esempio di difetto di intonazione derivante da difetto di emissione, non certo da difetto d’orecchio.

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