Trascorsa la festivaliera pausa di agosto, riprendiamo la rubrica “imparare ad ascoltare” con un istruttivo esempio di canto rossiniano en travesti, utile a sviscerare gli spunti di riflessioni sollevatisi in queste settimane a seguito di quanto abbiamo udito in quel di Pesaro, specialmente in corda di contralto/mezzosoprano. La famosa cavatina di Arsace dalla Semiramide è esempio classico della scrittura marcatamente centrale, ossia insistente preminentemente sull’ottava do3-do4, che Rossini dispone per le parti en travesti di nominale “contralto” (categoria in cui, di fatto, all’epoca rientravano le voci che oggi chiamiamo di “mezzosoprano”, essendo a quel tempo la parola “mezzosoprano” un sinonimo di “seconda donna”). Condizione indispensabile perché la voce femminile possa articolare correttamente frasi musicali che si dipanano in quella delicata tessitura, è una gestione del fiato che consenta un passaggio lineare, graduato e uniforme, senza improvvisi singhiozzi, stacchi netti di colore o vuoti interstizi, dal registro grave comunemente chiamato di “petto”, alla corda media e acuta del c.d. “falsetto-testa”. L’equilibrio tra i registri è virtù cardinale e obiettivo irrinunciabile per il cantore che voglia disporre di una gamma ordinata e omogenea, il difetto della doppia voce essendo biasimato sin dal più antico dei manuali di canto. E’ peraltro il musicista, prima ancora del vocalista, a doversi rendere conto di come una gamma di note diseguali e discontinue risulti di intralcio alla musica stessa, laddove impedisca lo spiegarsi lineare di una frase nel rispetto del fraseggio, con accenti e legature idonee, e quindi la possibilità per il pubblico di riconoscere la melodia (il riferimento al Ciro ascoltatosi il mese scorso non è certo casuale). L’esecuzione di questa giovanissima Martine Dupuy è per molti versi esemplare, connubio mirabile di misura vocale e stilistica, scevra di quegli effetti caricaturali in zona grave con cui tante famose interpreti hanno voluto sottolineare la natura maschile del personaggio, riuscendo solo a risultare involontariamente grottesche. Al contrario la Dupuy, pur in possesso di una voce che ben poco ha a che fare con il contralto, riesce a tracciare con umiltà un personaggio sobrio e credibile, dimostrando come il canto rossiniano vada risolto nel legato, negli accenti e nelle figurazioni musicali e giammai nella ricerca fine a se stessa di stravaganti effetti timbrici. Omogeneità, precisiamo, non è sinonimo di monocromatismo, né di rinuncia al corretto impiego, nella zona della voce che gli è propria, del registro di petto, di cui infatti il mezzosoprano francese fa un uso corretto senza abbandonarsi cioè a plateali appesantimenti, affondi, gonfiamenti, ingolamenti ed esibizionismi di altro tipo. Il recitativo è detto con la giusta misura e semplicità, dizione chiara ma non caricata, mentre nel cantabile possiamo apprezzare la liquida purezza del legato nonché la pulizia ed uguaglianza della linea, con fioriture curate, precise e ben legate, da cui emerge così, spontaneamente, l’autentica cifra espressiva del brano. Nell’allegro è mirabile la quadratura delle agilità, nonché l’utilizzo di variazioni che portano la voce a sfogarsi nel penetrante registro acuto, su cui il brano viene coronato, in un si naturale fermo e squillante.
G. B. Mancini
Questo ascolto mirabile è la dimostrazione che per una Semiramide che onori quest’opera per quello che è, ovvero la summa dell’estetica rossiniana nella sua estrema e sublime perfezione, dovremo aspettare chissà quanto ancora… Un Arsace perfetto tecnicamente e prodigiosamente misurato nella sua giovinezza sognante e regale: strabiliante!
Bellissima interpretazione in cui la Dupuy degli anni migliori mostra tutte le sue qualità vocali: timbro limpido e pulito, eccellente equilibrio tra i registri, estremamente ben fatti i passaggi, esecuzione bella proprio perchè priva di inutili fronzoli odiernamente utilizzati. Questo ascolto dovrebbe far riflette molte cantanti di oggi: la Dupuy non era di certo un contralto (e anche per il mezzosoprano era strettina, io in certe cose la arrivo a considerare un soprano corto), però esegue quest’aria con un gusto intepretativo, una pulizia e una purezza tecnica che fanno (dovrebbero fare) solo invidia.
Cordiali Saluti.
Bravissima… ma cantanti così ne riavremo mai?
Davvero una bellissima testimonianza di una cantante bravissima mai abbastanza celebrata…sua degna Semiramide sarebbe una giovane June Anderson di un recital di cui purtroppo non conosco i dettagli. Mi colpì la fantasia delle sue variazioni, originali mai ascoltate nè prima nè dopo…chissà se possiedi la sua registrazione ?
Cantante veramente straordinaria la Dupuy però attenzione dal vivo era qualcosa meno che nell’ascolto delle sue incisioni live dove la voce risuona senza riverberi e senza quelle leggerissime sfocature e opacità che in sala, qua e la, mi pareva di cogliere