Firenze – Teatro della Pergola: Marianna Pizzolato ed i “Péchés de vieillesse” di G. Rossini

I “Péchés de vieillesse”, Peccati di vecchiaia, sono una serie di gioielli musicali, raccolti in ben quattordici volumi suddivisi per temi, composti da un ormai ritirato Gioacchino Rossini tra il 1857 ed il 1868 per diletto, per capriccio, per divertimento, per omaggiare primedonne, per dilettare gli ospiti dei suoi gustosi pranzi e cene tra Chaussée d’Antin o il “Beau Séjour” di Passy.
E’ un Rossini che non si prende più sul serio, con grandissimo spirito autoironico e parodistico, ma pur sempre genio irrequieto, che non ha del tutto esaurito la sua vena compositiva, continuando a scrivere per cori, piano e voci con la leggerezza di chi vuole sperimentare le nuove correnti, eppure con l’amarezza di ciò che non è più.
Alcuni di questi brani sono stati alla base del concerto  andato in scena, con viva partecipazione da parte del pubblico, nel delizioso Saloncino del Teatro della Pergola.
Protagonisti il mezzosoprano Marianna Pizzolato, nome di spicco, soprattutto negli ultimi undici anni, della nuova generazione di cantanti rossiniani, la quale si è distinta in un repertorio che coniuga la musica barocca passando per Mozart e Donizetti,  ed il Maestro Stefano Montanari,accompagnatore al fortepiano.

Inaugura il concerto “A Grenade”, una serenata dal ritmo giocoso, ironico, saltellante che mette in luce subito le caratteristiche vocali della Pizzolato: la voce si presenta sonora, possiede una buona proiezione ed un buon controllo del fiato; il timbro più sopranile che mezzosopranile o contraltile (ma non è un demerito) è personale e riconoscibile. Gravitando in zona centrale, la ballata, garantisce alla seconda ottava della cantante, la migliore, di brillare sia per la levità dell’accento, che si mantiene sempre brioso e leggero, sia per la corposità del registro.
Con la seconda aria, “L’orpheline du Tyrol. Ballade élégie”, tratta dall’Album français, vol. II, entriamo nel vivo dei “Péchés de vieillesse”:
la Pizzolato ci immerge in un’atmosfera malinconica e maliziosa, la voce gravita sempre nel medium, reso morbido da un discreto legato e da una intonazione raccolta e controllata, con qualche escursione nel passaggio e nei primi acuti chiamati ad evocare un dolce jodel.
Malgrado la generale riuscita del brano, saltano all’orecchio l’evidente frattura tra un registro acuto che suona metallico, a rischio nell’intonazione e poco levigato, difetto già riscontrato nella sua comunque riuscita Contessa Melibea del “Viaggio a Reims” fiorentino, ed i centri, ed una dizione francese non proprio esemplare.
Se fino ad ora il gusto e lo stile della cantante si erano mantenuti sorvegliati e mai sopra le righe, con “Le lazzarone. Chansonette de Cabaret” tratto sempre dal medesimo Album della ballata precedente, la Pizzolato calca il piede su un estro cabarettistico esteriore e tutto partenopeo,
insistendo con enfasi melodrammatica sulle parole di maggiore effetto (Couronne, Lazzarone, Gloire, Vésuve, Paresse, Naples, Te voir et mourir, Zampogne, Madone) con autoironico piglio nazional-popolare, ad un passo dalla sceneggiata: sembra di sentire certi eccessi alla Ida di Benedetto. Indubbiamente la struttura godereccia del brano si presta ad un’interpretazione di questo tipo, ma una tale carica rende alcuni attacchi sui salti di “Toujours” fissi e ben poco gradevoli.
Sarà questa una delle due arie che la Pizzolato sceglierà come bis, per concludere il quale sarebbe stato perfetto e simpaticissimo l’ingresso di una pizza fumante al posto dell’affettuoso ed elegante bouquet. Si scherza!
Non sono d’accordo nel riproporre qualcosa che si è già cantato come bis: avrebbe potuto cantare, ad esempio, l’aria di Malcom (esorcizzando magari il ricordo della mia ultima devastante esperienza con questo ruolo).
Finalmente con la celeberrima “Canzonetta spagnuola” possiamo ascoltare il registro grave della Pizzolato, sollecitato molte volte a inabissarsi sotto al rigo; quando la cantante non ingola il suono per ottenere una maggiore ampiezza dalla prima ottava, cosa che potrebbe tranquillamente evitare, il mezzosoprano dimostra di possedere un registro di petto, non poderoso, ma sufficientemente sonoro, in più può sfoggiare dei chiari e facili mordenti il cui suono si presenta naturale, accompagnati da una bella dinamica che le permette di modulare il volume della voce passando da un piano iniziale ad un appropriato fortissimo finale.
Il fraseggio sensibile, volutamente ammiccante, ben si sposa con il crescendo generale.
Stupisce positivamente nella successiva “Mi lagnerò tacendo. Versione per contralto, sopra una nota sola, versione 1852” tratta da Musique anodine, vol. XIII, di cui propone tre interpretazioni variate.
Ottima la dizione italiana, ogni parola è scandita con estrema chiarezza, molto precisi risultano sia le acciaccature poste all’ inizio dell’aria e nelle riprese, sia i numerosi mordenti; vincente l’idea di differenziare le tre interpretazioni scurendo il timbro così da renderlo solenne e virile nella prima sezione, più chiaro e carezzevole nella seconda, più freddo e incisivo quando deve cantare su una nota, mentre l’intonazione resta sempre omogenea.
Meno bene vanno le cose con “Francesca da Rimini”: per quanto abbia anche un suo fascino, l’aria così strutturata, a mio modesto parere, non possiede quella drammaticità, quel romanticismo estatico, quella sensualità pudica che al contrario trasuda dalla poesia dantesca e che dovrebbe commuovere fino allo struggimento sia il poeta, sia l’ascoltatore. Il clima difatti resta piuttosto rilassato, liliale, e la Pizzolato sottolinea anche troppo questi ultimi aspetti rischiando la maniera. A farne le spese sia la musicalità non irreprensibile, sia il legato che si sfilaccia, compromettendo le buone intenzioni dell’interprete.
Ci assestiamo su un buon livello con la tragica “La Legénde de Marguerite”, tenerissimo clone di “Una volta c’era un Re” dalla “Cenerentola”.
Interessante il tono trasognato, galleggiante nel quale la Pizzolato immerge l’aria, che si conclude spegnendosi in pianissimo sulla visione dell’angelo che sazierà la povera Marguerite, aiutata anche da un canto più orizzontale e con pochi ornamenti che dilata il tempo, ma non nuoce alla tenuta del fiato o alla linea dell’estensione.
Ammetto che mi aspettavo di più dalla straordinaria “Giovanna d’Arco”, brano dall’ intensità visionaria, dalla finezza psicologica, dall’ eleganza ornamentale di inusitata potenza: avrei voluto una coloratura più scandita, fosforescente, pirotecnica; una precisione nelle scale e nei trilli di maggiore impatto; un fraseggio nei recitativi meno cauto e formale, ma più partecipe e patetico; una dinamica più fantasiosa e marcata nelle arie e nelle riprese; un controllo maggiore della tessitura che purtroppo frammenta i registri e fa ascoltare suoni che girano poco nelle note estreme o fiorettature dure.
Un vero peccato, perché se la dizione resta sempre un punto di forza, una maggiore cura della linea ed un approccio più morbido nell’affrontare le colorature, avrebbero potuto aiutare la cantante ad essere più interessante e l’interprete più travolgente.
Si riprende con il bis, la Pizzolato, proponendo “Di tanti palpiti” dal “Tancredi”.
Rispetto alla se stessa del 2004, non troviamo ombra di ingolature, se non, a volte, nel registro grave; eppure permangono certi suoni metallici quando le scale superano il passaggio di registro, mentre sia nei centri che nelle colorature, rispetto all’aria precedente, la cantante si sente più a suo agio e le affronta con uno spirito diverso e più spontaneo.
La fraseggiatrice è molto attenta nel bilanciare la giusta enfasi, senza strafare, e riesce a differenziare con i giusti colori la ripresa.
In generale posso dire che il concerto sia stato di mio gradimento; è solo mancato quel “quid” che solo una più rigorosa omogeneità di intenti, una precisione ed una rifinitura maggiore, dati da uno studio più approfondito della propria vocalità, avrebbero potuto dare.
Ma siamo, mi auguro, sulla buona strada.

Non mi voglio dilungare troppo su Stefano Montanari, colui che ha accompagnato la Pizzolato al fortepiano.
Il curriculum blasonatissimo lascia basiti quando davanti ci troviamo un pianista che “suona”, o per meglio dire, “stona”, “pesta” quel povero strumento come se leggesse le note per la prima volta in vita sua.
Non si contano gli indugi, la musicalità incoerente, le dita che premono due tasti insieme invece di uno, l’interprete caotico.
Basta così.
La Pizzolato avrebbe meritato ben altro, o semplicemente Montanari avrebbe dovuto prepararsi meglio… ma si sa: a volte i curricula traggono in inganno.

Il pubblico riempiva lo splendido Saloncino del Teatro della Pergola ed ha tributato ai due artisti calorosi applausi al termine del concerto.
Immagine anteprima YouTube

Immagine anteprima YouTube Immagine anteprima YouTube Immagine anteprima YouTube Immagine anteprima YouTube

 

2 pensieri su “Firenze – Teatro della Pergola: Marianna Pizzolato ed i “Péchés de vieillesse” di G. Rossini

  1. Mia cara, carissima Marianne… Come ti lovvo! Eravamo insieme, quindi ne abbiamo già parlato live: concordo in pieno con la tua recensione! Ma non hai parlato degli stivali del Montanari, perché mi fai questo? A presto. Un bacino. N

    • Ti lovvo tantissimo anche io 😀
      Gli stivali da punkabbestia di Montanari che schiacciavano quei poveri pedali del fortepiano come se stesse guidando un’auto alla Parigi-Dakar sono per me un ricordo indelebile oltre che una lezione di “Style” ^_^ Sai quando uno è alternativo…
      Te li regalo per Natale!

      A presto, caro Cavaliere :)

Lascia un commento