La riflessione sul terzo titolo proposto dal festival di Pesaro è un dovere. Non già un dovere di completezza perché da sempre il Corriere si ferma a meditare sulle produzioni pesaresi, ma un dovere perché certe cose proposte ed offerte come arte devono essere definite per quello che sono. A ciò mi induce più che lo spettacolo , ascoltato via radio ( e ciò basta, per non dire basta ed avanza), taluni episodi a latere delle nostre precedenti riflessioni sui precedenti spettacoli festivalieri. Mi spiego: il confondere voci proiettate per voci amplificate ( in un teatrino come il Rossini) l’arrogarsi l’arringa e la rampogna al pubblico per via virtuale per una recensione onesta e, credo, ben motivata, il sentire note stonate, rectius stecche dove proprio non ce n’erano, il leggere sulla critica togata dell’esemplarità di una direzione e di una compagine orchestrale, che mi ricorda solo la banda Sivori di Finale, chiamata popolarmente ed onomatopeicamente “rumpe e streppa”, sentire dal pubblico che adesso, dopo circa trent’anni di Rossini renaissance ( e secondo noi salvo poche eccezioni Rossini decadance) scopre Rossini in grazia di quella Matilde di Shabran, il parlare di difetti tecnici come supremo mezzo e veicolo espressivo (persino una conclamata strillona come Emma Carelli, quando decideva di esprimere si ricordava della correttezza tecnica trasmessa dal padre, non per nulla maestro di Giannina Arangi-Lombardi) sono tutti spunti, urgenti imperativi a perdere una mezz’ora per questa produzione. Un solo punto positivo ovvero la direzione di Daniele Rustioni, la sola delle bacchette di quest’anno che abbia fatto suonare decentemente l’orchestr (precisiamo quella del conservatorio e non già quella professionale del Comunale di Bologna) ed alle prese con una farsa l’ultima della produzione rossiniana abbia, almeno dall’ascolto radiofonico evitato un’esecuzione meccanica e, in senso negativo, farsettistica. Al confronto della Shabran questo Bruschino era, giustamente donizettiano per non dire romantico nei colori e nei pesi orchestrali. E qui l’aspetto positivo si è fermato. Il punto a dir poco debole della produzione è stata la protagonista femminile Maria Aleida, che afona e sorda in prima ottava come accade al duettino con Florville “Quanto è dolce all’alma amante” che a Rossini doveva piacere tanto perché dal Demetrio lo trasferì per, poi, allocarlo definitivamente quale secondo duetto fra gli amorosi del Falliero emette una serie di ultrasuoni fissi all’aria conclusiva. La caricatura di una soprano leggero o meglio di Mado Robin, senza sol e la sovracuti, naturalmente.
A conforto delle strapazzate orecchie sia l’esecuzione rossiniana di una cantante che, ufficialmente, non era una rossiniana.
Le cose non vanno meglio con Carlo Lepore, quale Gaudenzio voce dura e cavernosa vocalizzazione difficile e acuti urlati e fischianti. Suo degno compagno Roberto de Candia nel ruolo di Bruschino padre, parla più che cantare e anche lui si ostina ad inserire acuti, che non appartengono alla corda di basso parlante e, quel che è peggio non sono controllati e gestiti dal cantante, che sarebbe il solo motivo per autorizzarne l’inserimento.
Quanto al signor David Alegret, tenore nel ruolo di Florville canta come il più famoso tenore rossiniano oggi in carriera.
La terza stazione si è consumata. Attendiamo per nulla ansiosi il festival del prossimo anno dove, pur non essendoci oggi in carriera un Tamberlick, un Tamagno, un Lauri Volpi, ma neppure Gianni Raimondi ci è promesso il Tell. Buona fortuna !
Rossini – Mosè
Atto II
Ah d’un’afflitta il duolo…Calma quell’ira e cedi – Rosanna Carteri (1956)
Caro Domenico, l’orchestra non è l’orchestra del conservatorio ma l’Orchestra Sinfonica Rossini..
Caro Orfeo, grazie della correzione. Visto che negli anni scorsi al Rof si era esibita l’orchestra del Conservatorio locale, intitolato appunto a Rossini, avevamo dedotto che anche questa compagine (che peraltro si è distinta di fronte alle prestazioni ben più modeste della blasonata orchestra felsinea) fosse riconducibile alla medesima istituzione. A questo punto ti chiediamo, se ti va, di darci qualche informazione in più su questa compagine, che ci sembra meritevole di maggiore spazio e considerazione visti i risultati conseguiti sul campo. Ciao e grazie.
L’orchestra del Conservatorio di Pesaro non ha mai suonato al ROF… in nessuna delle edizioni.
L’Orchestra giovanile del Festival (edizione 2001) proveniva dai ranghi del Conservatorio. E anche la sua “evoluzione”, L’Orchestra del Festival (stagioni 2002-2003). Poi fu la volta dell’ Orquesta Sinfónica de Galicia…
Buon pomeriggio, non esattamente.
L’Orchestra Giovanile del Festival altro non fu che un accordo con l’allora operante nel territorio “Orchestra Pro Arte Marche”, e fu un esperimento del ROF al fine di dotarsi di un’orchestra sinfonica che operasse a proprio nome.
Dalla Pro Arte sarebbe successivamente nata l’attuale Orchestra Sinfonica Rossini.
Entrambe le orchestre sopra citate non hanno nulla a che fare con l’Orchestra del Conservatorio di Pesaro.
Allora chiedo scusa, ma ricordo distintamente che sulla stampa, all’epoca, l’Orchestra giovanile era stata presentata come frutto di una collaborazione del Festival con il Conservatorio. Forzature giornalistiche, evidentemente.
Questo è il sito dell’Orchestra Sinfonica Rossini http://www.orchestrarossini.it/ ciao a tutti
ancora bravi!…grazie
La mia seconda stazione pesarese (l’altro ieri il concerto della Devia) è stata questo Bruschino – ultima recita.
Lo spettacolo (scusatemi se parto dalla regia/allestimento!) si colloca sulla scia della Scala di seta di qualche anno fa, non vorrei che fosse in progetto di fare tutte e cinque le farse alla moda, come dire, moderna! Non sto a descriverlo in quanto chi ha ascoltato la diretta radiofonica ne ha già avuto una dettagliata disamina (sembra che i radioascoltatori non vogliano altro che sentir descrivere a parole gli allestimenti…! ma anche alle radio estere fanno così?).
La trovata del RossiniLand mi piaceva sulla carta, ma in teatro tutto il garbo, la leggerezza, la vivacità – anche di un libretto che non è poi malvagio con tutte quelle battute lievi – si perdono in una continua serie di scenette e controscene alcune tradizionali – che ci stanno, altre eccessive (tutto l’inizio “posticcio” è decisamente lungo lungo lungo); non eccessive perché non adatte, spesso semplicemente perché troppe. Insomma, la mia impressione è che abbiano voluto strafare, senza selezionare i momenti, senza dare il modo ai cantanti di calamitare l’attenzione per le loro qualità “meramente” vocali. E poi, io credo che se esistesse un RossiniLand il pubblico vorrebbe vedere una finzione “più vera del vero”, iperrealista, un po’ come la Cenerentola televisiva recente. Qui di tipico di un parco divertimenti mi sembra ci siano solo i costumi (e poi fino a un certo punto). Se invece dimentico RossiniLand e lo prendo come uno spettacolo moderno, esteticamente la scena è gradevole, ma i costumi così fuori dal tempo (possono ricordare un po’ quelli della Cenerentola di Ronconi) rendevano tutti gonfi e mi riportano invece sul versante RossiniLand.
Non amo necessariamente gli spettacoli tradizionali, anzi spesso mi entusiasmano quelli moderni, quando però riescono a dirmi qualcosa: qui non mi è arrivato nessun messaggio particolare (e a questo punto tanto vale un allestimento tradizionale descrittivo!). Però ero anche in un posto, in sala, infelice.
Dal lato musicale, prendo atto di quanto in nemmeno 25 anni sia cambiata l’esecuzione del Bruschino…in meglio? Tanta buona volontà, facciamo giustamente largo ai giovani, ecc. ecc. tante belle cose, ma nel 1988 era altra cosa. Pure la versione di circa 10 anni dopo con Mei e Florez non era male….e sicuramente loro erano i giovani di allora.
Son rimasto un po’ deluso da Maria Aleida, che nelle sue prove audio e video mi aveva sempre entusiasmato e che era il motivo per cui sono andato a vedere questo Buschino. Al di là della discutibile appropriatezza stilistica delle variazioni che ha fatto, sui cui per mio gusto personale passo volentieri sopra, ho avuto l’impressione di un volume ridotto e una voce molto più a suo agio quando sale oltre una certa quota…ma è un’alta quota! Le auguro un grande successo in un repertorio più appropriato.
In generale, pur nello spazio del Rossini, che non è un ampio teatro, molte voci apparivano piccole.
L’applausometro dell’altra sera ha decretato il maggior successo a Lepore e De Candia.
P.S.: più che Mado Robin mi viene in mente Maria Remola!
lo spettacolo faceva veramente pena, saranno pure giovani e famosi questi registi, ma dell’opera, e di quest’opera, non hanno capito nulla.
se mettere qualche gag da avanspettacolo significa avere idee… siamo messi male!
bisogna quindi anche capire i poveri cantanti, che seppure di livello medio, o medio-basso!, hanno dovuto cantare in tali condizioni…
per esempio lepore ha cantato la sua bellissima aria girando per il palcoscenico con il segway (quel mezzo che si guida in piedi inclinando il corpo…. e vi faccio intendere che difficoltà possa aver avuto! e invece come ha cantato davvero bene nonostante tutto!), oppure alegret intervallava il suo canto con sentimento col gonfiare palloncini a forma di cuore… quanta convinzione ci può mettere in una regia di tale livello!?
e piantiamola con queste regie moderne (quasi sempre osannate oltre i meriti, ad esempio la scala di seta di michieletto dopo i primi 15 minuti di interesse e piacere della novità, non riuscivo a reggerla) che spesso c’entrano poco o nulla con le intenzioni degli autori delle opere…
meglio una vetusta regia di zeffirelli che certe trovate assurde o le continue esagerazioni.
david alegret mi è sembrato un tenore di grazia con buona tecnica e bella presenza scenica, anche se non mi ha convinto appieno, lepore è molto istronico (è stato il più applaudito nella quarta replica) e con tenica da vendere, e ripeto ha saputo essere maestro pure mentre guidava il segway, de candia se l’è cavata mentre i ruoli femminili non mi hanno soddisfatto.
ho sentito invece fresca e convinta la direzione del giovane rustioni.
di certo il punto più basso del rof di quest’anno.