Riprendiamo per chiudere, in attesa di altro e tragico incontro al convento che ci terrà impegnati per la stagione 2012-’13, la seduzione al convento e la dedichiamo a due Manon non originariamente previste che dalla loro hanno proprio quale qualità, oltre le canore, l’avvenenza fisica. La prima è l’ultima completa cantante di scuola mitteleuropea ossia Sena Jurinac con un colosso della Staatsoper Anton Dermota. L’altra, invece, è una cantante di origine slava, ma di scuola e gusto italiana: Virginia Zeani.
Va detto che la Manon della Jurinac risale al 1950, ritrae la cantante nella prima fase della carriera, anche se qualche approdo verdiano era imminente e invita a riflettere sul fatto che ancora nell’immediato dopoguerra fra un soprano italiano di grande scuola ed uno di area tedesca non vi fossero differenze di sorta. Anzi va detto che il soprano di scuola mitteleuropea praticava un gusto assai più castigato e sobrio di quelle, di pari fama di area italiana. E va anche detto – repetita juvant e perdonate la monotonia- che il buon gusto e la dinamica sfumata non sono una conquista del post Callas.
Alla resa dei conti la prima qualità che colpisce all’ascolto è la posizione sempre alta del suono, che garantisce alla voce, di qualità in natura, sonorità ad ogni altezza e accento sempre vario quanto apparentemente semplice. Apparentemente semplice perché la facilità di canto sembra annullare la varietà di accento e la dinamica che la cantante profonde in tutta l’esecuzione del brano. In tutta la scena non si sente un suono fuori posto e fuori maschera sia che si tratti degli acuti che suonano facili e squillanti sia nelle discese al grave come i “vetri del verone” cari al gusto di Mafalda Favero, sia nelle parche ornamentazioni che il brano prevede ( vedi il vocalizzo conclusivo di “non son più Manon”). Con siffatta tecnica di canto sembra naturale e normale che questa Manon dica in pianissimo il “se neghi il tuo perdon”, che sia facilissima sul la bem di “ma rammenta il nostro amore”. Quando arriva la sezione centrale “la tua non è la mano che mi tocca” questa Manon è al tempo stesso robustissima vocalmente ed al tempo stesso elegantissima per cui i piani di “baci la mia bocca” suonano dolci e sonori nel contempo. Quando riprende il tema principale la cantante non intensifica né volume né accelera il tempo, anzi all’attacco sembra essere ancor più ispirata ed innamorata. Insomma Sena Jurinac dimostra che si può essere un’ interprete semplice, ma non semplicistica.
L’ultima penitente (pour ainsi dire) che arriva a San Sulpizio e chiude così la rassegna dedicata al titolo massenetiano e alle sue interpreti, è Virginia Zeani. Donna di tale avvenenza e fascino, che è doveroso scusare il cedimento del di fresco nominato abate Des Grieux di fronte a una simile tentatrice. Del pari si può comprendere la reazione entusiastica del pubblico del San Carlo, che tributa a questa Manon, giunta al termine della sua erotica perorazione, il tradizionale applauso a scena aperta. Sul piano strettamente vocale la sezione centrale del duetto, che coincide per buona parte con l’assolo del soprano “La tua non è la mano che mi tocca”, è quella in cui emerge il meglio dell’arte della Zeani, che in zona medio-alta canta con facilità, legato di classe, spesso e volentieri a mezzavoce ma senza smarrire il sostegno del fiato, forse l’insegnamento più importante ricevuto dalla sua maestra, Lydia Lipkowska. Peraltro, se la signora fosse risultata in difetto di appoggio e respirazione, semplicemente non avrebbe cantato, non dico Aida e Tosca (ruoli mantenuti per anni in repertorio, benché non esattamente congeniali a una voce di lirico pieno), ma in assoluto, tale e tanta era la concorrenza, in Italia e non solo, negli anni in cui la Zeani era in piena carriera. Le cose vanno un po’ meno bene all’apertura della scena, in cui la cantante si adegua con fin troppo slancio all’idea di una Manon, diciamo più navigata di quanto non prevedano librettisti e compositore, e indulge in prima ottava a effetti di stampo verista (note sovente aperte, frequenti riprese di fiato e accento tutt’altro che castigato) che un poco sciupano il fascino di questa mantide da chiostro. Ricordiamo altresì che nel 1964 la cantante poteva già vantare quindici anni di carriera e affrontava Manon essendo reduce da una serie di recite di Puritani e poco prima di affrontare la Desdemona di Rossini. Insomma manteneva un ritmo di lavoro e di studio, semplicemente impensabile per le sue omologhe di oggi. Assolutamente adeguato agli standard odierni, per contro, il Des Grieux di Juan Oncina, cui però nessuno si sognava di tributare, all’epoca, i lauri e gli elogi riservati a un Kraus. E anche questo è un segno, anzi, un sintomo dei tempi.
Gli ascolti
Massenet – Manon
Atto III
Toi! Vous…N’est-ce plus ma main
1950 – Sena Jurinac, Anton Dermota
1964 – Virginia Zeani, Juan Oncina
Altri tempi. E… Che bei tempi!
Assolutamente fantastiche entrambe. Per la Jurinac però preservo un occhio di riguardo!