Polpettoni II: Mignon di A. Thomas

Quando la sera del 17 novembre 1866 Mignon fu rappresentata per la prima volta all’Opéra Comique di Parigi, ottenne uno dei maggiori successi della storia di quella sala e del teatro musicale transalpino in genere. Quel che si dice un autentico trionfo, presto rinnovato in molte altre piazze del Vecchio e del Nuovo Continente. La fortuna dell’opera di Thomas sarebbe durata poco meno di un secolo, facendosi le riprese sempre più rare a partire dagli anni successivi al secondo conflitto mondiale, per ridursi successivamente a sporadiche apparizioni (le più recenti nel 2010 all’Opéra Comique e nel maggio 2012 a Ginevra).

Le ragioni di questa declinata popolarità sono da rinvenire, per alcuni, in debolezze intrinseche e del libretto e della musica, che farebbero dell’opera poco più che una successione di piacevoli melodie da salotto. Per parte nostra riteniamo che questo titolo, come altri del repertorio francese, sia oggi raramente allestito, e scarsamente apprezzato da molti melomani, per la banale ragione che nessuna primadonna lo propone e lo impone ai teatri con l’interesse e l’ostinazione che dimostrò negli anni Settanta Marilyn Horne, protagonista di un’incisione del titolo realizzata da una multinazionale del disco. Non parliamo poi di sovrintendenti, direttori d’orchestra e registi, per i quali il titolo, non rientrando nella “top ten” del repertorio francese, contemplata dalla Garzantina o prontuari consimili, neppure esiste. Il tutto mentre i teatri, anche quelli di provincia, propongono con regolarità in odore di farmacopea l’opera omnia di Janacek. Naturalmente la nozione di provincia è ben più ampia di quello che sottenda il semplice dato geografico.

Com’è noto il soggetto dell’opera proviene da Goethe, e precisamente dal romanzo “Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister”. Celebre fonte letteraria di tanti “Mignon-Lieder”, ingrediente favorito delle “liderade” in corda di soprano o mezzosoprano. Pari titolo avrebbe di figurare in quei concerti la romanza “Connais-tu le pays”, che udiamo oggi solo di rado, magari in sede di bis. Naturalmente il testo goethiano fornisce soltanto uno spunto, in base al quale i librettisti Jules Barbier e Michel Carré (gli stessi del “Faust” gounodiano) elaborano una vicenda che rientra appieno nei canoni dell’opéra comique, virati per l’occasione in salsa larmoyante, confezionando una classica pièce de sauvetage che vede al centro non più lo studente Meister, ma la giovane orfana Mignon, riscattata dalla condizione servile ed elevata dapprima al rango di paggio, quindi a quello di fidanzata dal danaroso e spensierato studente, che attraverso il rapporto con la romantica e tormentata adolescente completa il proprio “apprendistato” di vita ed entra nell’età adulta, suggellata dal matrimonio e dall’addio a Philine, la fascinosa e volubile attrice che l’aveva stregato nel corso dell’azione.

Ed è proprio lo scontro tra Mignon e Philine, annunciato fin dall’ouverture attraverso la contrapposizione dei rispettivi temi (la celebre e già menzionata romanza per l’orfanella, la polacca e quindi l’aria del terzo atto per la disinvolta commediante), il fulcro dell’opera, in cui, in epoca ancora non ufficialmente ligia al verbo wagneriano, troviamo un uso dei motivi conduttori che risulta affatto moderno. L’idea che sta alla base di “Connais-tu le pays” viene annunciata fin dai couplet di Lothario “Fugitif e tremblant” (la musica anticipa, in altre parole, l’agnizione conclusiva) e, riproposta più volte nel corso dell’opera, trova il proprio compiuto sviluppo nel terzo atto, che è per buona parte un’invenzione sulla melodia già tante volte udita nel corso dell’opera. Philine, nella sua volubilità e incostanza, più che da una ben definita idea melodica è caratterizzata da ritmi vivaci e da un trattamento altamente virtuosistico della vocalità, con evidente riferimento ai modelli dell’opera italiana. Insomma Philine, nominalmente attrice di prosa, è una parodia, blanda ma evidentissima, della primadonna lirica, tanto più efficace se si considera che il personaggio non ha, della diva conclamata, che la presunzione e la vanità. Per contro Mignon (scritta per Célestine Galli-Marié, futura prima interprete di “Carmen”), a fronte di una scrittura centralizzante e non certo insormontabile sotto il profilo della difficoltà tecnica, presenta una maggiore varietà di situazioni e “affetti”, passando dalla brillante Styrienne “Je connais un pauvre enfant” (che dive come Pauline Lucca provvedevano, se necessario in proprio, a “rimpolpare” nella cadenza conclusiva) al lirismo di pagine come la citata romanza e i duetti con Lothario, fino alla drammaticità del monologo del secondo atto, in cui il personaggio giunge a meditare e quasi a tentare il suicidio. Non stupisce quindi che tanti soprani e mezzosoprani, specie se con una spiccata propensione per la declamazione (che nulla ha che vedere, com’è noto, con suoni raschiati e gallinacei, spacciati per il non plus ultra dell’interpretazione e dell’”emozione”), abbiano voluto cimentarsi con questa parte, che sembra proprio pensate per quelle “voci ibride” oggi così spesso chiamate in causa e a sproposito in altri repertori. Generalmente si tratta di voci di soprano che, non sapendo come si effettua la salita agli acuti, cantano da mezzo o anche da contralto ed esibiscono un po’ di volume solo nel registro medio, stentando e stonando appena la parte oltrepassi un semplice do centrale. La scrittura e il carattere della parte di Mignon sarebbero per queste signore o signorine infinitamente più abbordabili dei cimenti, cui poco accorti maestri e impresari spingono le succitate.

Quanto a Philine, per consolidata tradizione è stata, assieme a Margherita degli “Ugonotti”, il divertissement (o, se si preferisce, il “riposo per la voce”, data la lunghezza non certo insormontabile della parte, almeno rispetto ad altre del repertorio di coloratura) prediletto da cantanti come Lilli Lehmann e Margarethe Siems, capaci di passare nel giro di qualche giorno (rectius, ora) da questa parte a Norma o alla Marescialla. Naturalmente oggi non possiamo che sorridere dell’audace sfrontatezza e della colpevole disinvoltura di simili pratiche! Pratiche che peraltro trovano, nelle sopravvissute testimonianze discografiche, ben fondate ragioni, come prova l’incisione di Lillian Norton, in arte Nordica, paradigmatica cantante wagneriana, perfettamente a proprio agio nella brillante scrittura della polacca (abbassata, va detto, di un semitono).

Banco di prova per i tenori è la parte di Wilhelm Meister, che al pari di quella della protagonista richiede di passare dallo slancio giovanile dell’aria di sortita alla melanconia della celebre “Adieu Mignon”, dall’esplosione eroica del finale secondo alla disperazione di “Elle ne croyait pas” e del terzetto conclusivo. Il tutto nell’ambito di una scrittura che chiamando regolarmente in causa la zona del passaggio e dei primi acuti (fa-la3) presuppone un’assoluta facilità dell’esecutore nella suddetta, perché un suono brutto o anche solo disomogeneo verrebbe a turbare fatalmente l’immagine idealizzata dello studente, che scopre il mondo con il candore e l’ingenuità del “figlio di papà” messo per la prima volta di fronte alle vicende dell’esistenza. Insomma non appare casuale che tutti i maggiori tenori di grazia si siano regolarmente confrontati con questa parte. Nella selezione di ascolti qui proposta abbiamo tuttavia scelto di omettere tutti (o quasi) i massimi esponenti della corda in questione, preferendo proporre tenori, che regolarmente cantavano Verdi, Puccini e Wagner. Omogeneità di emissione, purezza di suono, controllo del fiato sono e non potrebbero che essere i medesimi, qualunque sia il repertorio considerato. Sempre per ribadire in primo luogo a noi stessi che l’arte del canto non ha nulla che fare con quella della cabala e neppure con quella del marketing. Oggi entrambe assai floride.

Altro motivo di interesse dell’opera risiede nel numero di versioni esistenti, che dimostrano una libertà di approccio al materiale drammatico e musicale, oggi assolutamente impensabile. La prima versione, come sopra ricordato, segue i canoni dell’opéra comique e prevede quindi dialoghi parlati a intervallare i diversi numeri musicali. Quando “Mignon” venne presentata a Londra nel 1870 (protagonista Christine Nilsson, direzione di Luigi Arditi), l’opera venne trasformata in “dramma lirico” con l’aggiunta di recitativi musicati e tradotta per l’occasione in italiano. Il finale dell’opera in questa versione risulta drasticamente accorciato rispetto all’originale, e viene così a cadere il secondo assolo di Philine, la furlana “Paysanne ou signora”, uno dei tanti momenti di “colore locale” della partitura (giustificato dall’ambientazione della scena presso il Lago di Garda, così come i ritmi e le cadenze di sapore orientale uditi nei primi due atti si riallacciano all’evocazione dell’esotico mondo dei gitani). In questa versione londinese Philine (anzi, Filina) ha però diritto a una nuova aria all’inizio del secondo atto (“All’erta, Filina”), così come di un assolo viene gratificato il personaggio di Federico, uno dei corteggiatori dell’attrice, che da quello di tenore passa al registro di mezzosoprano en travesti e canta la gavotta “In veder l’amata stanza” (poi acquisita dalla versione francese con il testo “Me voici dans son boudoir”), che Thomas derivò dal materiale tematico dell’entr’acte fra primo e secondo atto. Anche la parte di Lotario venne ampliata, pare su richiesta del baritono Faure, con l’aggiunta di un secondo couplet all’aria di sortita. Nel frattempo Thomas aveva apprestato, in vista di una serie di rappresentazioni in Germania, un finale alternativo e apparentemente più vicino all’originale letterario, in cui Mignon muore di dolore e di gelosia fra le braccia di Lothario e Wilhelm, udendo in lontananza la voce di Philine. Questo finale non si discosta sostanzialmente da quello francese “abbreviato”, culminando al pari di quello nell’enunciazione a tre voci del tema di “Connais-tu le pays”, ma è indubbio che una simile svolta “drammatica” risulti poco congruente rispetto alle premesse poste dall’opera, proponendo uno scioglimento frettoloso e poco convincente, che giustamente non si è affermato nella tradizione esecutiva del titolo. La versione francese ha finito per adeguarsi a quella londinese (acquisendo, come detto, la gavotta, ma non l’aria aggiuntiva per Philine, di cui non è stata conservata l’orchestrazione) e solo sporadicamente si è potuto ascoltare il finale originale in tutta la sua estensione. Una delle poche registrazioni di recite dal vivo a proporre il finale “lungo” è quella proveniente dal Metropolitan e diretta da Sir Thomas Beecham (1943), che si discosta dalla prima versione parigina solo per il fatto di proporre un mezzosoprano, e non un tenore, come Frédéric. Al di là di ogni giusto e legittimo scrupolo filologico, la complessa vicenda esecutiva di “Mignon” ci ricorda che non esiste, di un titolo d’opera, una versione “giusta” e di assoluto e necessario riferimento, ma molte diverse opzioni esecutive, e che è compito degli interpreti, coordinati dal direttore d’orchestra (e perché no, dal regista), scegliere la soluzione che maggiormente si confà al loro temperamento, alle loro possibilità e anche ai loro limiti, in modo che l’omaggio alle intenzioni dell’autore non si possa compendiare nell’anche troppo spesso applicato motto “vorrei ma non posso”.

 

Ambroise Thomas

Mignon

OuvertureFerdinand Leitner (1953), Peter Maag (1956)

Atto I

Bons bourgeois et notables…Fugitif et tremblantEzio Pinza – dir. Wilfred Pelletier (1937). Bonus: Vanni Marcoux (1934)

Laërte, ami Laërte…Ces filles de BohèmeLuciana Serra, Paolo Barbacini – dir. Georges Prêtre (1983)

Pour gagner maintenant…Quel est, je veux le savoirGiulietta Simionato, Verdad Luz Guajardo, Giuseppe di Stefano, Cesare Siepi, Gilberto Cerda – dir. Guido Picco (1949)

Oui, je veux par le mondeKarl Erb (1912)

J’aime votre gaîté…Eh! quoi! Mon cher LaërteGianna Rolandi, Barry McCauley, Barry Stilwell – dir. Kenneth Montgomery (1984)

Connais-tu le paysSigrid Arnoldson (1903), Ernestine Schumann-Heink (1907), Olive Fremstad (1913), Marilyn Horne (1979)

Légères hirondellesEugenia Mantelli e Taurino Parvis (1905), Conchita Supervia e Vincenzo Bettoni (1929)

En route, amisJennie Tourel, Josephine Antoine, Maria Matyas, Armand Tokatyan, Désiré Defrère – dir. Wilfred Pelletier (1937)

Entr’acte – Ferdinand Leitner (1953)

Atto II

A merveille! j’en ris d’avance…Belle, ayez pitié de nousPatrice Munsel, Alessio de Paolis – dir. Thomas Beecham (1943)

Plus de soucis, MignonAlain Vanzo, Jane Rhodes, Andrée Esposito – dir. Jean-Claude Hartmann (1964)

Je connais un pauvre enfantMargarete Matzenauer (1907), Ebe Stignani (1943)

Me voici dans son boudoirArmida Parsi-Pettinella (1908), Lucrezia Bori (1928)

Adieu Mignon, courageGiuseppe Anselmi (1907)

Elle est là, près de luiNinon Vallin (1927), Gianna Pederzini (1930), Lotte Lehmann (1931)

As-tu souffert?Giuseppina Zinetti e Tancredi Pasero (1928)

Oui, pour ce soir…Je suis Titania la blondeLillian Nordica (1911)

Ah! Vous voilà!Gladys Swarthout, Josephine Antoine, Charles Hackett, Ezio Pinza – dir. Wilfred Pelletier (1937)

Atto III

Au souffle léger du ventThomas Beecham (1943)

De son coeur j’ai calmé la fièvrePaul Aumonier (1904), Pol Plancon (1908), Adamo Didur (1916)

Elle ne croyait pasFlorencio Constantino (1910)

Où suis-je?…Je suis heureuse…Ah, que ton âme enfin…Salut à vous…O Vièrge MarieBlanche Thebom, Leopold Simoneau, Nicola Moscona – dir. Walter Herbert (1952). Bonus: Germaine Cernay, André d’Arkor (1931), René Lapelletrie (1917)

Où suis-je?…Je suis heureuse…Ah, que ton âme enfin…Salut à vous…O Vièrge Marie…Dansons! dansons…Paysanne ou signora…De cette rencontre imprévueRisë Stevens, Patrice Munsel, Lucielle Browning, James Melton, Norman Cordon, Alessio de Paolis – dir. Thomas Beecham (1943) 

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