E con le signore Damrau, Netrebko e Dessay siamo arrivati alle Manon attuali o, visti i recenti comuni forfait delle tre, alle eroine di Prevost del recentissimo passato.
Parlare di queste tre esecuzioni significa, più in generale, fare una riflessione sull’attuale situazione dell’opera ed in particolare della voce femminile, prendendo le mosse da un personaggio, che dal momento della prima rappresentazione non è mai uscito dal repertorio e che non presenta difficoltà vocali insormontabili.
Con una certa generalizzazione ci è stato insegnato che le Manon dell’anteguerra fossero tecnicamente precarie sicchè la loro interpretazione tutta estroversione, perché rotolarsi e fare “la battona” rappresentava la soluzione semplice e facilona di un gusto verista, intaccava persino Manon. Poi ci è stato detto che dopo la Callas, il cui rapporto con Manon fu una senescente incisione del picciol desco e poco o nulla praticò il repertorio francese del tardo ottocento, le Manon sono diventate raffinate eleganti e attentissime ai segni di espressione dell’autore. Con riferimento a quelle attualmente in carriera si va dicendo che, oltre a seguire la alta lezione callassiana, sono donne fascinose ed attrici degne della macchina da presa.
Allora: posso anche concedere che Mafalda Favero e Licia Albanese si facessero prendere la mano dalla passione nella scena di San Sulpizio, ma immediatamente sono smentito dall’esecuzione irraggiungibile della loro coetanea Madga Olivero e più ancora dalla cantanti di scuola francese, che rispondono ai nomi di Fanny Heldy e Ninon Vallin, quanto, poi, alle capacità di attrici od alla avvenenza fisica nessuno può negare che ne fossero dotate, secondo i parametri del tempo, una Favero, una Heldy ed una Sayao. Infine chi in punto raffinatezza e capacità del dire e dell’esprimere può reggere il confronto con Beverly Sills o con Renata Scotto.
Non certo -tanto per essere chiari- le tre signore, che vengono considerate DIVE.
Allora, spartito alla mano, potremmo cavarcela con un inappellabile “non rispettano i segni di espressione” e “palesano gravi limiti tecnici” e, poi, lasciare ai nostri lettori la divertente iniziativa della caccia all’errore. E essere tacciati di orrore.
Tanto per cominciare con Anna Netrebko, che in natura ha la voce di Manon (e non di Anna Bolena o Norma) principia la scena con un bel “moi” ossia fa4 aperto -Albanese modo-, prosegue con un bel suono ballante sul “dolce” di “pardon un jour” anche li mi 4 (ossia zona del passaggio) e quando arrivano i primi acuti come il la di” Ah rappellez-vous” comincia ad esibire suoni calanti e malfermi, che sembrano essere da un po’ di tempo a questa parte la sigla più autentica del soprano russo. Rispetta il si 3 di d’amour in pp. Quando arriva la ripresa di “Oui je fus “ riesce ad essere solo piatta, nè penitente né donnaccia all’assalto. E’ tanto assente ed inerte che il partner (Vittorio Grigolo) appare ben più estroverso e plateale.
Quando arriva la frase “Est-ce que tu n’aurais pas de pitié” che sta sotto il do centrale non riesce a far di meglio che parlare. Avesse almeno un francese da Comédie française o l’estroversione della Favero “Negare a me potresti il tuo perdon”. Le incertezze sul passaggio inesorate si manifestano nell’andamento convulso delle frasi “hélas, hélas l’oiseau qui fuit” dove fa e sol sono calanti. Dimenticavo qualsivoglia accenno ai segni di espressione o di dinamica. La dimenticanza non è mia nel descrivere, ma della cantante dell’eseguire. Peraltro quando tenta “rappelle”, prima dell’attacco dell’andante “N’est-ce plus ma main” su tre do centrali udiamo suoni aperti, nasali ed indietro. E peraltro in tutta l’aria vera e propria della seduzione la cantante attesta la propria dinamica su una sorta di mezzo forte. Siccome il fiato non è certo esemplare quando arriva il la in pp coronato di “charmes” la cantante non lo lega alla frase precedente, che viene spezzata per prendere un fiato. Altro inconveniente alla chiusa della frase dove le indicazioni “crescendo” forcella, forte, pp, pp sono tali da rendere problematica l’esecuzione della quartina vocalizzata su “moi” e il seguente “regarde moi” che di fatto non c’è. Da quel momento in poi si ha netta l’impressione che la cantante russa sia alla fine delle disponibilità del fiato e che tiri la fine della scena coronata da un si bem di dubbia intonazione.
Con Frau Damrau e Madame Dessay si pone un ulteriore problema, ovvero se un soprano d’agilità possa affrontare la scrittura centrale e l’orchestrale non lieve soprattutto del secondo quadro del terzo atto e del quarto. Molti soprani leggeri lo hanno fatto anche con successo. Beverly Sills alla schiera di questo apparteneva, lo stesso ai primi del novecento una Arnoldson o una Galli – Curci, ma l’imposto vocale di questa signore e la saldezza del registro centrale erano tali da superare agevolmente le difficoltà della parte. Diverso l’imposto vocale dei due soprani, oggetto di queste riflessioni.
La voce della Damrau suona sistematicamente acida e secca nella zona centrale e più che da soprano leggero è da soubrette. Limite non da poco. Oltretutto, come molti soprani di colorature ( che poi perdono in tempi relativamente rapidi il registro sovracuto) la Damrau sulle note centrali canta sistematicamente aperto . Il difetto comincia alla prima battuta dove Manon canto sul si 3 e poco dopo il “tant d’amour” suona vuoto nel canto e piatto nell’espressione. Subito ci avvediamo che anche più sopra le cose “non girano” sicchè la cantante non è in grado di rispettare il diminuendo sul fa bem di “Oui je fus cruelle”, ancora, appena si presenta una frase di una certa ampiezza in zona medio alta “Ah rappellez-vous” la Damrau esibisce fiati corti oppure poco dopi suoni acidi alla ripresa del “oui je fus coupable” dove, per contro, Massenet prevede espressivo. Voce acidula con l’indicazione “espressivo”, riferita alla
profferta erotica mal si conciliano e suoni acidi la cantante ne emette costantemente in zona fa sol acuti come
accade alla frase “hélas, helas l’oiseau qui fuit”. Anche Diane Damrau alla centralissima frase “Est ce que tu n’aurais pas de pitié” si trova in difficoltà emettendo suoni di fatto sordi. In fondo si tratta di un soprano leggero alle prese con una frase omofonica in zona centrale, ma sono le difficoltà nella zona medio alta che lasciano stupiti, come i fiati corti che la Damrau esibisce alla frase “d’un vol désespéré revient battre au vitrage” che non riesce a cantare con un fiato solo. Si potrebbe obiettare che le generose veriste in questo punto anch’esse non siano in regola con il fiato, ma almeno sapevano dove interrompere la frase per simulare la febbre erotica della protagonista. Ma qui che dico non di febbre erotica, ma di affettività neppure l’ombra, perché sia chiaro gli appunti vocali si riflettono sull’interpretazione che è, come nel caso Netrebko, assolutamente carente. Quando si sforza di interpretare la Damrau rivela la propria origine, psicologica, prima che vocale di soprano di coloratura e non trova di meglio che bamboleggiare. Vedi all’inizio dell’aria della seduzione gli “écoute moi!”. Ne può giovare a dare una parvenza di interpretazione il tempo piuttosto
veloce staccato. Ovvio perché un tempo indugiante metterebbe in chiara evidenza i limiti della cantante, che o non rispetta i segni di espressione, come accade con il pp di “comme autrofois” o emette suoni indietro al successivo pp di “plein de charmes” dimostrando di non sapere come si emetta un sol acuto. Di fatto in tutto il passo la cantante o bamboleggia nella zona che sta sotto il re4 o emette suoni aciduli dopo questa nota. Quando poi deve passare da una zona all’altra della voce come accade sulla duina di “Manon” che porta la voce dal si centrale al fa non si esime da un portamento non previsto e di cattivo gusto. Alla fine della scena quando arriva l’ultima vampata della seduzione il canto spiegato nella zona do4 sol4 costa fatica e sforzo alla cantante che non può per mende vocali rendere l’accresciuto slancio della seduttrice. Tanto esausta che l’ “enfin” finale riesce aperto e volgare. Più che volgare inesistente questa Manon.
Non che la definizione del personaggio vada molto meglio con Natalie Dessay ad onta della dizione marcatamente francese di questa Manon, tenuto anche conto del fatto che le due voce non hanno alcunchè in comune salvo il dissesto tecnico sì che ad una Manon dal timbro arido e senescente si contrappone un Des Grieux dalla voce bitumata, dura e corta. Diciamo che nonostante le carenze vocali e tecniche la Dessay è quella che sembra, quanto meno, sforzarsi di centrare il personaggio intesa come una sventata giovinetta e non già come una navigata meretrice. Idea né sua né nuova, bastando sentire o una Sills o le Manon di area e gusto francese. Solo che non si può realizzare compiutamente questa e qualunque altra idea interpretativa quando la voce sia vuota e sorda in prima ottava, spinta e forzata dal fa4 in su appena la cantante superi l’intensità del piano. Certo talvolta la cantante si sforza di rispettare i segni di espressione come accade con il dolce di “un jour” iniziale (si tratta di due mi centrali) oppure la forcella di “l’oiseau qui fuit” o quella successiva “d’un vol désespéré” dove però arrivando ad un fa la voce oscilla. Peggio ancora la realizzazione della forcella “plus une caresse” dove su semplice sol acuto la voce si rompe (recita dal vivo, incidente normale, ma che la dice lunga sulla tenuta e sulla solidità della cantante). Talvolta non può farlo come accade per il pp del “plus ma voix” perché già la frase è attaccata piano e per fare un superpianissimo bisogna chiamarsi Olivero o Caballé. Poi sotto il profilo interpretativo anche l’idea di affidare l’apparente fragilità non ha nulla a che vedere con i suoni bamboleggianti che anche la Dessay esibisce all’”écoute moi” che precede la sezione più famosa della scena. Sulla quale devo precisare che a prescindere dalle limitazioni vocali o tecniche e dalla condivisione o meno
della scelta interpretativa (maliarda seduttrice o fanciulla incosciente) la Dessay non riesce a cogliere il culmine drammatico della scena che appare ridotta ad una minuscola situazione scenica. Questo è il vero e più grave limite di questa Manon a maggior ragione se si pensa che sull’altare –falso e bugiardo- dell’interpretazione la signora ritiene, anzi ha ritenuto di dover immolare la professionalità del canto.
Non lo si vede in scena, ma si sa che Manon, mantenuta di lusso, arriva a Saint Sulpice su una lussuosa carrozza. Anche l’immagine in coda rappresenta una carrozza. La più consona alle condizioni vocali di queste Manon. E non è una facezia. L’approdo è il Père-Lachaise.
Massenet – Manon
Atto III
Toi! Vous…N’est-ce plus ma main
2008 – Natalie Dessay, Jonas Kaufmann
2010 – Diana Damrau, Ramon Vargas
Donzelli in quel carro funebre chi giace ?
Gli amabili resti delle tre salme di cui ha scritto 😉
Tra le Manon Freni-Scotto e quest’ultime, secondo me sarebbe interessante analizzare quella della Fleming che, in questo lasso di tempo, è stata sicuramente una delle più attive in questo ruolo.
Arriverà… pazienza e arriverà… 😉
E non sarà da sola…
… ci è anche stato detto che una volta cantavano ma nient´altro; che oggi ci si tiene più a dizione e fraseggio. Ma per favore…… E non parlo di una pronuncia perfetta del Francese, ma di dizione chiara e distinta. – Ma che per esempio una i o una e va pronunciata come tale. Tutte con insufficienze techniche ed impostamento vocale più o meno indietro che non ci riescono.