Luisa Miller alla Scala

Salvo una contestazione da parte di un convertito plauditor del teatro all’indirizzo di Elena Mosuc, la prima di Luisa Miller è stato un successo. Siccome la critica e gli aficionados del teatro tornano a scrivere  solo per dire che i fischi, opera di pochi facinorosi alla prima, si sono mutati in fragorosi applausi alle recite successive questa edizione di Luisa Miler sarà archiviata come un trionfo.Davanti ai trionfi i distinguo sono d’obbligo. Cominciamo dall’aspetto peggiore dello spettacolo ossia la parte visiva affidata a Mario Martone (regia), Sergio Tramonti (scene), Ursula Patzak (costumi) e Pasquale Mari (luci). Un tempo era una winckelmanniana classicità a rappresentare quell’oggettivo, che consentisse di rappresentare situazioni e sentimenti, svincolato da ogni realismo. Per Martone l’epoca perfetta sembra essere il periodo che va dal 1940 al 1960. Abbiamo, quindi, una Luisa Miller grosso modo fine anni ‘40  sparsa di svarioni.  Il letto in primo luogo che troneggia nel primo e nel terzo atto. La sveglia di Luisa è come il lever del roi Soleil cui assistono tutti e quel letto è utilizzato per accogliere il creduto Carlo. Luisa è una ragazza perbene, mica “una di quelle” e quindi le calze, a maggior ragione se autoreggenti non le indossa innanzi ilpadre e il vicinato, non accoglie il fidanzato come una teenager stravaccandosi sul letto, per giunta presente il solito padre. Stessa foia sembra albergare in Federica destinataria di  lussuriose lenzuola rosse che  non perde occasione per mettersi subito in négligé. Nè Federica nè Luisa sono donnacce e Federica lo dice espressamente alla volta di Luisa, quando dubita di quel che la ragazza racconta. Peggio ancora, sempre dell’idea che Luisa sia disponibile, l’idea dello stupro alla fine della grande scena e il bacio alla francese che Luisa destina a Wurm, per sigillarne l’amore. Il libretto (ovvero la fonte della regia del tempo) dice una cosa ben peggiore “Wurm s’inchina modestamente” ovvero Wurm si dimostra  untuoso e laido. Leggere il libretto talvolta giova. Talvolta invece, con buona pace dei teatranti post brechtiani il libretto utilizza metafore., come il letto paragonato alla tomba sparsa di fiori, che costringe Luisa a infiorare il letto come si soleva fare nei nostri paesi quando il letto ospitava una salma. Per contro in tutta la sera non si è visto il suggerimento da parte del regista di un gesto che potesse dirsi ispirato ed illuminante di quello che accadeva in scena. Due insulsaggini devono essere segnalate, oltre le precedenti ossia il Wurm deforme e lo sguardo finale di sfida fra Miller e Walter, entrambi accumunati dallo strazio per la perdita dei figli. Assolutamente fuori luogo il finale di Miller non è più il luogo ed il tempo delle sfide. Va detto, poi, che il titolo alterna momenti grandiosi e per ispirazione musicale e per tensione drammatica ed altri assolutamente  di routine. Alcuni di questi  non possono ispirare i cantanti (che hanno ben altre gatte da pelare che non siano interpretare) e tanto meno il direttore, che deve tenere insieme solisti ed orchestra. Altra bella gatta da pelare! Nella sinfonia Noseda, debuttante quale direttore operistico in Scala  tiene l’orchestra; il pezzo è dei più fiacchi quanto ad ouverture  e se il tema iniziale è ben sviluppato nell’enunciato e nelle ripetizioni, il direttore deve fare i conti con un’orchestra che ha negli archi acidi e  bianchicci il proprio punto debole. Non lo ispira neppure molto il coro iniziale (Il bucolico  “Ti desta, Luisa”) con un rispetto piuttosto superficiale delle indicazioni di  dinamica dello spartito. E’, questo, uno dei tanti cori bucolici di cui  l’opera abbonda. Si dovrebbe sentire Sonnambula ovvero il paradigma dell’opera di genere agreste romantica. Ma il condizionale la dice lunga. Poi entra Luisa, affidata ad Elena Mosuc, che emula di Edita Gruberova, crede normale alternare Luisa o Lucrezia a Zerbinetta. Verdi prescrive “leggero”  per l’Allegro moderato “lo vidi e il primo palpito” e non, come accaduto, pigolante e falsettato. Una osservazione va svolta circa la vocalità di Luisa. La parte prevede parecchi acuti sino al do5 (duetto con Miller al terzo atto) frequenti ascese al si bem ed al si nat, ma questo accade soprattutto nella parte elegiaca e di grazia della parte. Quando Luisa deve esprimere tragedia e dissidio interiore, canta su una scrittura assolutamente centrale e spesso con un rilevante ordito orchestrale. Non per nulla la prima Luisa fu Marietta Cazzaniga, che chiuse la carriera come soprano centrale e Rosa Ponselle la protagonista nella prima ripresa  del secolo scorso  (Metropolitan 1929). L’osservazione  banale a questa scelta potrebbe essere “la Ponselle era il soprano verdiano per eccellenza e a quel tempo per Verdi bastava la voce, senza troppa attenzione ai dettagli”; l’osservazione attenta e pertinente  sarebbe, invece che la Ponselle disponeva della voce giusta  nella zona dove Luisa è chiamata ad esprimersi. Le cose non vanno meglio, anzi all’ingresso  di Rodolfo , affidato a Marcelo Alvarez, che  a differenza della prima di Tosca godeva ottima salute per la prima. La voce, e l’osservazione vale per  tutta la serata, appare impoverita di colori e di smalto. Il vero problema, che comprova come Alvarez sia stato un superdotato come pochi altri è che il cantante prima di un acuto (e per acuto intendo un semplice sol)  si fermi e prenda fiato. Vedi  nell’ingresso la frase “ai nostro cori un Dio”. Nucci dovrebbe  cantare sottovoce. Bercia, invece, come suo costume, incentivato  dagli anni. E alla cavatina di Miler i nodi vengono al pettine, ad onta degli applausi del pubblico sensibile ad un acutazzo sparato e insensibile al canto ed al fraseggio del padre verdiano.  Il timbro, complice l’età è legnoso e sordo, nessun  colore ad onta della copiosa prescrizione dell’autore in tal senso. All’attacco  Verdi dice “grandioso” ed il tempo è Andante maestoso. Necessità ed età del Miller di turno impongono una certa speditezza per ridurre l’arrancare del canto ed occultare il sistematico mancato rispetto della serie di forcelle prescritte da Verdi.  Il suono sul fa  “della  forza legge” è indietro.  La perorazione “non  son tiranno” è una serie di suoni duri. Mancano grandeur baritonale, accoramento paterno, squillo degli acuti, legato. Sulla frase  clou  “Somiglia a Iddio” che prevede una autentica serie di prodezza ovvero doppia forcella salita al sol  bem e diminuendo sul fa tutto accede fuorchè quanto prescritto in punto dinamica dall’autore. Tanto è che dopo una siffatta esecuzione l’ingresso di Kowaljow nel ruolo del conte Walter fa sentire quanto meno una voce fresca, benchè ingolata sugli acuti, come tutti i bassi del giorno d’oggi. Va detto che il conte Walter, il peggiore della famiglia sotto il profilo etico  è, invece, il migliore sotto quello vocale. E ne siamo cerziorati quando entra la duchessa Federica (elegantemente abbigliata a parte un certo impaccio della signora Barcellona a maneggiare il renard) la quale inciampa alle quartine, che, retaggio rossiniano, compaiono al recitativo. La voce che sale sino al fa 4 muta colore e tonnellaggio quattro volte. Ci limitiamo ad osservare che dal mi4 in su la voce di questa Federica non esiste.  Per la cronaca Eboli, annunciato debutto del mezzo soprano triestino canta una terza sopra Federica. Alvarez mostra i soliti problema nei parchi acuti che la parte prevede. Accento che prescriverebbe il cotè della nobiltà – dire e non dire – sconosciuto per entrambi. Arriviamo così al finale primo. E’ il primo passo realmente ispirato e si sente nella direzione di Gianandrea Noseda, soprattutto a partire dall’ingresso dell’oppressa Luisa, che è una Gilda imprestata ad una parte più grande di lei , ma che Noseda  sostiene nel “a tua immagine creata” anche se la cantante distribuisce falsettini e suoni smunti. Il vero problema sono le frasi di slancio che sono la sigla dell’eroe romantico e che Alvarez non imbrocca perché i problemi della tenuta vocale sono proprio su quei primi acuti così chiamati in causa. Vedi “ son io tuo sposo” e “la vita mi donasti”. Né le cose vanno meglio con  Nucci stretto in gola  alla frase “A quel Dio ti prostra innante”. Però, lo ripeto i singoli difetti sono superati dalla guida del direttore che non consente sbandate all’orchestra e che anche nei momenti di maggior slancio non esibisce mai un suono inutilmente fragoroso e rumoroso, cui proprio in Verdi recentemente siamo stati costretti. Il secondo atto si apre con la grande aria di Luisa e si chiude con quella di Rodolfo. In mezzo un episodio il quartetto a cappella che Verdi ripeterà nei Vespri. La scrittura di Luisa è di slancio e non certo acuta. Ovvero ciò che propriamente non giova alla Mosuc. Lo spartito inoltre, a differenza di molte altre pagine dell’opera è quanto mai parsimonioso in punto segni di espressione. Protagonista e direttore seguono l’idea di una protagonista dimessa e remissiva sicchè piani e  pianissimi, alcuni un po’ fuori fuoco giovano alla cantante ed alla resa drammatica. Certo nella cabaletta, Allegro moderato,  “A brani a brani o perfido” lo slancio verdiano è più in buca che non in palcoscenico. Anche perché la cantante se insiste con il volume emette suoni ballanti. Bella l’idea di una cerchio ruotante in  un cono di luce con Luisa in ginocchio e Wurm sulla poltrona. Pessima e fuori luogo, lo ripeto, l’idea dello stupro. Fuori luogo il commento alla Mosuc. Non per il commento in sé, che potrebbe anche essere condiviso, ma per la fonte. A conferma della doppiezza della vocalità di Luisa sia il seguente quartetto a cappella, che la protagonista “tira” come si dice in gergo e che  prevede, trattandosi di canto fiorettato una tessitura piuttosto alta ed ascese agli acuti compreso alla chiusa un si nat in fortissimo. Una prodezza vocale superata con la sufficienza. Devo anche dire che in questa scena nell’intreccio fra le domande di Federica e le pressioni dei due bassi  la Mosuc ha sfoggiato accenti  e spunti di fraseggio credibili. L’atto si chiude con la grande scena di Rodolfo e l’aria più famosa dell’opera “Quando le sere al placido”. Come nel tempo il brano sia stato eseguito ed interpretato lo abbiamo documentato al debutto, o quasi del nostro blog. Non è certo il caso di comparare alcuno di quei tenori con Alvarez, le cui limitazioni vocali sono evidenti sin  dal recitativo. Va dato atto al cantante (e credo al direttore) di essersi  assolutamente contenuto ed emendato da qualsivoglia atteggiamento populistico, che da sempre inquina le esibizioni del tenore argentino, al cui attivo va ad esempio l’esecuzione dimessa e composta della chiusa, senza corone tenute a dismisura, al passivo la carenza di dinamica, figlia della limitatezza tecnica. Bontà celeste ha limitato ad una strofa sola la cabaletta. Il terzo atto è il migliore per la direzione che coglie il clima di morte e di rovina in cui tutti i personaggi si muovono con il ricorso a sonorità sempre controllate che consentono ad Elena Mosuc, sia pure  con qualche fatica sul do5, di cantare con dolore il “La tomba è un letto”, cui però non fa replica  il Miller padre in affanno alla frase “Di rughe il volto mira” di tessitura acuta e che impone di cantare piano. Difficoltà identica nel commovente “Andrem raminghi e poveri”.  Al terzetto finale le cose funzionano quando Alvarez può cantare piano perché all’ingresso frasi come “Addio spada” evidenziano per l’ultima volta che con il cuore si canta più o meno dieci anni e con la tecnica per cinquanta circa.

38 pensieri su “Luisa Miller alla Scala

      • Ma per carità, mai affermato nulla di simile. Al limite ho pensato (e solo pensato) che quando si parla di musica bisognerebbe saperla leggere (e capire). Ovviamente leggo le “recensioni” dove preferisco, e prendo atto dell’educazione o della mala creanza con cui si risponde alle mie osservazioni, che di norma (come in questo caso) sono pertinenti.

        • cara anna-angelo di fuoco, il fatto che dd no abbia parlato del re bem della coda perchè si è guardato lo spartito fin dove gli occorreva per il suo discorso, non significa che non lo sappia leggere. tutte le note riportate nell’articolo mi pare che tu non le abbia contestate, perchè…. sono esatte. forse puoi dirgli che lo ha guardato fino ad un certo punto ( lo so perchè ci ha perso un po’ di tempo appasta per recensire ..), ma non che non lo sappia leggere ( e tu che ne sai? nemmeno vi conoscete…).
          quanto ai modi, forse dovresti leggere il tuo incipit: hai ricevuto la risposta che si dà ad una che entra in quel modo già piccata per voler criticare ad ogni costo.la lezione di modi fattela anche allo specchio!

  1. Donzelli ma come sei diventato tollerante! Ho trovato Alvarez insopportabile per lo sguaiato modo con cui cercava di risolvere le frasi più brucianti del ruolo, i grotteschi tentativi di simulare una mezzavoce nella sua bellissima aria ( la voce sembrava gli uscisse dalla nuca tanto era “indietro”) gli acuti regolarmente spinti all’impazzata e a rischio di intonazione. Lo stile… lasciamo perdere. Tutto sommato… molto meglio Kaufmann (almeno è più bello e recita meglio)

  2. beh insomma a leggere una buona recita,e sono stati smentiti i soliti che già pensavano a contestazioni e sommosse.
    il Prof. Beccaria alias Ninci cosa ne pensa della scrittura?
    Donzelli -a leggere- mi sembra che sia stato molto attento a non farsi cogliere in fallo..

  3. Caro Pasquale, lo sai che cosa mi ricorda la scrittura di Donzelli, così dotta (una vera chicca il verbo “cerziorare”) e al contempo curiale e contorta? La scrittura di Paolo Isotta. In certi momenti pare di leggere la fotocopia dell’illustre (?) critico del Corriere.
    Marco Ninci

    • ciao don ferrante hai fritto anche oggi la tua dose di aria. infatti insegni in luoghi dove nulla si insegna e per conseguenza poco si impara. lo hai detto tiu che non soi scrivere. frutto degli insegnamenti dei tuoi colleghi.

    • Ma tu hai assistito allo spettacolo? Oppure desideri solo “sangue, sangue, sangue”? Trovo Noseda un ottimo direttore…comunque. Ci sono, nel web, moltissimi siti di hooligans et similia…se preferisci dar sfogo alla tua intolleranza vai pure altrove: nessuno sentirà la tua mancanza.

    • dai Amodonio ,Noseda un direttore da bassa provincia? se l’orchestra del Regio di Torino negli ultimi anni gode di grande prestigio internazionale,e grazie al lavoro di Noseda(ma il Regio a prescindere ha avuto sempre un ottima orchestra a livello operistico,con Noseda stà diventando anche una grande orchestra sinfonica,a basta Amodonio fare i talebani.

    • Noseda ha reso il Regio di Torino il primo teatro d’Italia (per quanto mala tempora currunt), continuando comnuque l’interessante azione di Tutino.
      Come direttore, per la mia limitata comprenzione della direzione d’orchestra, sinceramente lo stimo una spanna sopra tanti suoi blasonati colleghi.

  4. esclusa la mosuc, ma quale adina o norina nessuno dei cantanti di questa luisa è da scala, prendondo a metro di paragone chi sì esibiva su quel palcoscenico sino a cinquanta anni or sono! Sai bene che mai condividerò il ragionamento :”oggi non abbiamo di meglio”, però rileggendo mi la considerazione delle carenze tecniche di alvarez mi è sembrata quasi una sequentia , a nucci non ho riconosciuto alcunchè pur non avendo scritto, come ho fatto tempo fa che dovrebbe ritirarsi! Come ho già scritto prima l’ unico strumento linguistico che non posso usare è l’ insulto ed il turpiloquio e per regola irrinunciabile del corriere sì deve motivare ed indicare con richiamo più o meno dettagliato allo spartito le carenze e i difetti. Quanto al direttore non condivido che sì tratti di bassa provincia . ho trovato alcuni ottimi momenti come il finale primo e tutto il terzo atto. Certo quando l’ispirazione langue langue pure noseda. Ma il duetto rodolfo federica o quello dei due bassi chi me li risolleva? pertile e la stignani, fa un lato e la coppia mardones didur dall’ altro?

  5. Comunque siamo alla farsa…ci criticate perché intransigenti, poi perché intolleranti…poi perché troppo tolleranti, poi perché non andiamo agli spettacoli, poi perché non fischiamo: nessuno vi obbliga a leggerci o a commentare…abbiate il coraggio delle vostre azioni e dei vostri pensieri. Ripeto: nessuno è indispensabile!

  6. alla seconda recita alvarez alla frase “ah pria che l’abbiano quei vili in preda, il core io le trapasso” sull’acuto di core stecca e alla fine del primo atto viene annunciato che a causa di un’indisposizione verra sostituito da piero pretti

      • Si, Lucar, ma ormai di sto divetto non se ne può più!!! da più forfait che altro! e prima Tosca, ed ora Luisa Miller…si comporta come i bambini delle scuole medie, che, sapendo di non essere preparati all’interrogazione, fingono il maldipancia e vanno a casa. il problema è che loro hanno 13 anni, questo qui molti di più!

    • Spiace per Alvarez, perché una stecca di cotanta evidenza non credo gli abbia fatto dormire sonni tranquilli (spero per lui che non ci sia una registrazione!).
      La sostituzione è stata provvidenziale, sia per il pubblico (perché Alvarez arrancava, faticava e molto nell’emissione, respiri molto evidenti – a livello di vere e proprie pause – prima di ogni acuto e difficoltà anche nello “spingere” la voce) sia per il sostituto Piero Pretti (perché ha avuto la fortuna di intervenire nel momento topico dell’opera con un pubblico che aveva nelle orecchie la prestazione del suo collega: è stato molto bravo a sfruttare l’occasione, perché, visto il contesto, le sue doti sono risultate senza dubbio amplificate).
      Le mie, MODESTE e BASSE, impressioni: la Mosuc mi è parsa avere un timbro gradevole, con una buona facilità di emissione nelle parti di maggiore agilità (anche se, ad es., nella prima bellissima aria di Luisa l’ho trovata poco sciolta ed “innamorata” a differenza degli ascolti comparativi che avevo fatto i giorni scorsi: cioè Moffo e Caballè), mentre quando si scendeva di registro era più in difficoltà (talora sembrava più parlare che cantare con voce grave) anche e soprattutto nel collegamento con le successive “salite” a tonalità più acute (il tutto, però, in modo non fastidioso). Se devo fare un esempio di una recente esperienza, la scioltezza con cui la Pratt “prepara e carica” gli acuti è decisamente cosa migliore (anche se il paragone ha come base delle opere del tutto diverse, credo che il modo di “prendere” gli acuti sia sempre quello, no?).
      Piero Pretti mi ha positivamente impressionato, sia per il piglio con cui ha tenuto il palcoscenico, sia per il “corpo” della voce e la facilità di canto soprattutto rispetto a recenti tenori ascoltati e pur anch’essi sostituti (ad. es. Giuseppe Morino, che ha sostituito qualche settima fa, all’ultim’ora, Badalyan nella Boheme veneziana). Avendo una voce per natura notevole, credo possa cantare con ancor maggiore facilità senza sforzare/forzare: ad esempio a differenza della prima parte di “Quando le sere”, nella seconda parte ha un po’ forzato e non serviva. Ottima la resa drammatica dell’uomo tradito, notevole espressività: applausi scroscianti con correlata evidente sua felicità, quasi con gli occhi lucidi. Mi è piaciuto poi lo slancio ne “L’ara e l’avello”, peccato abbiano tagliato il daccapo. Meno brillante, ma comunque sempre soddisfacente, il III atto, forse perché molto galvanizzato dal riscontro del pubblico ha forzato assai ed in alcuni passaggi appariva un po’ affaticato.
      Quanto a Nucci, a prescindere da come canta (begli urloni, correttamente definiti “berci” nella recensione), dai limiti dell’età e della difficoltà del ruolo, come si può non volergli bene? I suoi sorrisi finali a 32 denti sono la fotografia della serata.
      Il migliore, nel complesso ed avendo cantato tutta l’opera, direi che è stato il Conte di Walter: voce molto imponente tenuta senza “tremolii”/fastidiosi vibrati. Anche la resa dell’austerità e del rigore immorale del personaggio è stata buona.
      Wurm, di contro, ha cantato con un fastidioso tremolio ogni volta che doveva tenere le note più di 1 secondo (non ricordo in quale punto, però nel II atto ha toccato un punto di vocalità molto bassa in modo così sguaiato da sembrare che stesse ruttando). Non mi è piaciuto l’atteggiamento “infoiato” che gli è stato cucito addossa dalla regia (cfr. scena della firma della lettera).
      La Duchessa non mi ha entusiasmato ed in particolare non mi è piaciuto – da ambo le parti – il duetto con Rodolfo (che trovo essere una delle pagine più belle dell’opera): dai miei ascolti questa scena viene resa in modo sciolto, agile ed espressivo, come esige una parte nella quale i protagonisti aprono il loro cuore l’uno all’altro (e la Duchessa, peraltro, inizia da innamorata e finisce da rancorosa donna rifiutata). Quel che mi è parso mancare è stata principalmente una linea di canto per l’appunto espressiva (ho trovato la Barcellona un po’ stridula e monocorde, anche se ha una voce bella potente. Alvarez, poretto, risentiva delle difficoltà fisiologiche). Migliore invece nel II atto.
      Quanto all’orchestra ed al suo direttore alcuni flash: prima dell’inizio del II atto una persona ha gridato “Ma vai a casa” a Noseda (il quale ha fatto un sorriso); non c’è stata mai sovrapposizione dell’orchestra con i cantanti; il Maestro (avendolo visto praticamente in faccia da 5 metri di distanza) era coinvolgente ed autorevole nei gesti e nella guida, peraltro era “rumoroso” nel senso che accompagnava con vari “tatatatata” i cantanti e le chiusure con notevoli “ahhhhhhhh” liberatori: che personaggio, voto 10!!
      Sarei curioso di sapere, da chi c’era, il motivo per cui potrebbe esser stato buato, non ho le competenze per intuirlo.

      P.S.: ringrazio i cortesissimi amici con i quali ho scambiato qualche parola prima dell’opera, è un vero piacere sentire i racconti dei veri appassionati, è anche da questi scambi che aumenta l’interesse di scoprire ed ascoltare.

        • Forse perchè non è un “nuovo Kleiber” come Wellber, oppure non possiede la “freschezza” di Dudamel, oppure l’infuocato “temperamento” di Battistoni, o le “finezze” di fraseggio di Barenboim o meglio ancora, “l’autorevolezza, i colori sgargianti, l’intimismo austero e passionale” di Gatti… insomma di fronte a questi “giganti” vuoi mettere…. 😀 😉

      • Il modo di preparare gli acuti è sempre quello: cambia la difficoltà dettata dallo spartito. O meglio: ci sono acuti “facili” cioè comodi e altri meno comodi.
        Non conoscevo Piero Pretti, sono andato a cercarlo su You Tube e devo dire che (una cosa ho sentito eh) mi è sembrato un cantante tutto sommato corretto. L’unico rimprovero che gli muovo è lo stesso che rivolgo ad Alvarez: non hanno il peso vocale adatto per Luisa Miller. Alvarez ha scherzato col fuoco continuando a cantare un repertorio che non gli pertiene e si è bruciato. Pretti forse ha una voce ancora meno adatta di quella di Alvarez per cantare Rodolfo.

        Andando fuori tema. Ma Morino canta ancora? Credevo si fosse ritirato da un pezzo. La cosa mi fa piacere. Ho cominciato a detestarlo per poi rivalutarlo in seguito.

  7. Ho assistito alla recita di sabato. Mi è piaciuta la Mosuc, la voce non mi è parsa poi così tanto “leggera” rispetto al ruolo. Certo, suo terreno d’elezione sono altri ruoli. A dire il vero, anche dal punto di vista della recitazione l’ho trovata un po’ rigida, quasi impacciata a volta; ma questo sarà sicuramente dipeso anche dalle scelte registiche. Nucci, a parte la voce un po’ nasale, che lo ha sempre caratterizzato, ha offerto veramente una bella prova. Abbastanza impacciata la Barcellona, non a suo completo agio in un ruolo verdiano seppur breve. Álvarez era palese sin dall’inizio che non stesse bene e quindi provvidenziale è arrivata la sostituzione. Il collega Pretti ha una voce gradevole anche se adatta a ruoli più leggere. Dei bassi avevo sentito parlare abbastanza male e invece ascoltati dal vivo non mi hanno impressionato negativamente, soprattuto Youn.

    • a me i bassi mi sembravano pur avendo belle voci molto ingolati, io non sentivo quasi i loro acuti…per alvarez era chiaro non ce l’avrebbe fatta e sinceramente non so come andranno le future recite ne le future produzioni anche se ho visto che anche l’anno prossimo pretti si alterna ad alvarez nel ballo entrambi troppo leggeri

      • Sì ormai si crede di poter cantare tutto quello si vuole, ma non è così. Quella di Riccardo oltretutto è una parte pesantuccia che insiste non poco sul passaggio, richiede l’acuto facile e non si capisce bene che tipo di tenore sia.

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