I venerdì di G.B. Mancini: impariamo ad ascoltare. Ottava puntata: Edouard de Reszke in Ernani.

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L’ascolto di questa settimana susciterà sicuramente diverse perplessità da parte dei miei più o meno affezionati lettori, trattandosi di una riproduzione assai difficile da apprezzare sia a causa dei limiti del rudimentale sistema di registrazione, inadatto a catturare con fedeltà le caratteristiche di ampiezza ed espansione delle voci emesse correttamente (si sa che il disco, ieri come oggi, favorisce le emissioni morbide e paciose, di colore suadente ed in odore di camuffamento, tendenzialmente indietro, alla Caruso per intenderci), sia perché le orecchie odierne provano una istintiva repulsione a sentire un canto genuino e sincero, privo di pomposità, sbadigliamenti, suoni cavernosi e vomitati, cui sono state assuefatte da almeno tre o quattro generazioni di orchi ululanti, specialmente in corda di basso e baritono. Si tratta di uno stereotipo, quello del basso con voce tronfia e caricaturale, ingolfatissima, scura come il carbone, che questo documento di canto ottocentesco ci aiuta a sfatare. E’ esaltante ascoltare con quale semplicità e naturalezza avvenga la fonazione, senza nessuna ricerca di colore, nessun ingrossamento, è un canto del tutto privo di quell’autocompiacimento tipico di chi vuole “fare” il basso. Quella che ascoltiamo è la autentica voce di De Reszke, non una imitazione o una caricatura. Il suono è tutto fuori, libero, al di là di qualche giustificabile durezza e fissità in acuto, l’articolazione è scolpita, la pronuncia nitida e legatissima – da cui l’ottimo legato. Da questo uso puro della propria voce, senza ricerca di artifici, scaturisce una resa espressiva molto veritiera, in cui per la prima volta possiamo ascoltare il giusto tono dolente che attiene ad un vecchio che si piange addosso. La prima volta che ascoltai questa registrazione si trattò per me di una autentica rivelazione. Mi auguro lo sia anche per voi. Buon ascolto.

G.B. Mancini

81 pensieri su “I venerdì di G.B. Mancini: impariamo ad ascoltare. Ottava puntata: Edouard de Reszke in Ernani.

  1. Leggendo la premessa, pensavo a quei reperti (per via della tecnica fonografica primitiva) inascoltabili della Patti, della Bellincioni (tremendi) etc etc per essere fortunatamente disatteso: è un’ascolto già più pulito e riversato in modo corretto (almeno sembra) alla luce delle registrazioni contemporanee delle sopraddette.
    L’esempio scelto da Mancini è splendido: voce di basso vero, proiettata benissimo (sembra quasi “sfondare” il limite fisico e tecnico del disco), appoggiata sul fiato, omogenea in emissione e colore, acuti pulitissimi.
    Le uniche cose che non mi sono piaciute sono: i glissandi in 0:56 e 1:05; mi sembra di sentire un “colpo” eccessivo per attaccare in 1:18; 2:30-2:33 la messa di voce non è completa – va dal mp al mf, forse “catturata” male – e in generale appare un suono fermo su quella nota – se avesse preso più tempo, avrebbe potuto fare una messa di voce completa p-f-f-p (cosa forse non possibile perché il cilindro di registrazione stava terminando).

  2. Sì sì, è un ascolto non facile; per molti versi spiazzante. Ma, almeno per quanto mi riguarda, spiazzante in modo piacevolissimo. L’unica cosa che un poco mi disturba è certa maniera di pronunciare, che a onor del vero, è molto comune nei cantati coevi e non si può quindi considerare un peccato del cantante, quanto piuttosto un vezzo del periodo storico.
    Per il resto, basterebbe il la bemolle grave di “ancora il COR” emesso con una disinvoltura invidiabile, timbrato, sostenuto, per far capire, come sempre puntualmente Mancini fa, che di autentica voce di basso si tratta.
    Un celebrato – per motivi che mi risultano misteriosissimi – critico contemporaneo (giudici!! giudici a Kaufmann!! Ah…) direbbe che stiamo officiando una cerimonia da cimitero degli elefanti. E allora cerimonia sia! Meglio questi elefanti degli orchi evocati da Mancini. Anzi, mi corrego: non meglio, ché di paragonare non è davvero il caso. Viva gli elefanti e abbasso gli orchi!

  3. Si sentono in questa registrazione i limiti del cantante a fine carriera, ossia i fiati corti ed il registro acuto stirato e un po’ sguaiato, ma si tratta comunque di una testimonianza per me del massimo interesse. Ritengo che da questi lacerti si possa ben comprendere l’alta levatura del vocalista che De Reszke era stato, e in generale quale fosse la civiltà vocale delle voci gravi in epoca pre discografica, e non sono d’accordo ad esempio con Celletti secondo cui questi dischi ne metterebbero in rilievo solo il declino… Il declino si sente, certo, ma c’è anche molto da imparare, a partire dall’imposto, soprattutto se lo confrontiamo con la degenerazione cui la corda di basso sarebbe andata incontro nei decenni a venire. Questa è una finestra sul canto ottocentesco, e ci fa sentire come anche la voce di basso possa e debba essere chiara, naturale, umana, non una caricatura da cartone animato… Il colore scurissimo cui siamo abituati oggi è quasi sempre il risultato di un attivo e volontario camuffamento ed ingolfamento della voce… roba per fenomeni da baraccone… La lezione che ci offrono questi cantanti della preistoria del disco è quella di cantare con la propria vera voce. Ciò detto bisogna anche precisare che in questi dischi, registrati cantando dentro ad un imbuto, la voce perde gran parte dei propri armonici, per cui il timbro che qui sentiamo così chiaro e povero, e che ad un ascolto superficiale può sembrare ben poca cosa, in teatro risultava senz’altro molto più ricco e rotondo.

    • Mi associo in tutto a questo limpido e saggio commendo di Mancini. Specialmente per quel che riguarda il colore della voce di basso. Ha ben ragione Mancini quando dice che anche la voce di basso deve essere chiara, chiara nel senso di emessa con spontaneità e supportando tecnicamente la propria natura per renderla elastica, duttile e libera; non per inggabbiarla in una muscolatura contratta, tesa e che non può che nuocere all’emissione,
      Il problema oggi è che molti intendono l’aggettivo “chiaro” come deteriore: se una voce di basso è chiara non è un basso; se una voce di baritono è chiara non è un baritono; se una voce di tenore è chiara chissà cos’è… Basta porre mente a quanti equivoci circolano a proposito della voce drammatica, che secondo i sapienti di oggi (quelli radiofonici e quelli che evocano cimiteri di elefanti) la voce drammatica dovrebbe essere scura: il soprano avere screziature mezzosopranili, il mezzo contraltili, il contralto (ne esistono ancora?) non si sa bene cosa; e lo stesso dicasi per le voci maschili. Poco importa per queste persone che le incisioni di interpreti coevi al vecchio Verdi e a tutta la Giovane Scuola dimostrino esattamente il contrario. Mi piacerebbe sapere dove le sentono le screziature baritonali in voci come quelle di Tamagno, De Negri, Taccani, Bassi, per tacere di Lauri – Volpi. Oppure dove possano sentire il corpo mezzosopranile in una delle voci di soprano drammatico per eccellenza del dopoguerra: Birgit Nilsson, la cui voce era puro argento brillantissimo. Stesso discorso per Anita Cerquetti, altra voce da vero soprano drammatico, con centri timbratissimi e posizionati alla perfezione, come dimostra la recente Elisabetta di Valois postata pochi giorni fa.
      Per baritoni e bassi siamo ancora al punto: se uno apre la bocca e, con una tecnica agguerrita, gli esce la voce di Kipnis buon per lui; se gli esce la voce di Pinza ottimo lo stesso. E così dicasi per un Galeffi rispetto a un Danise; per un De Luca rispetto a un Ruffo.
      Ergo, mi associo nuovamente a Mancini: queste incisioni antiche e di non facile ascolto ci portano in dote l’insegnamento irrinunciabile del canto artistico come tecnica comanda; dove, per parafrasare Orazio, la semplicità è il più perfetto degli artifici.
      Recentemente sempre Mancini ha postato una cavatina del Conte da “La Sonnambula”, nella quale Andres Perello de Segurola dava una lezione di canto magistrale. Anche lui voce chiara, chiara perché, per quanto possa sembrare un contro senso ma in fondo è la chiave del buon canto, educata a essere spontanea.
      Per quanto riguarda la questione delle diverse tipologie della voce di basso, direi che come testimoniano i dischi storici ci sono sempre stati bassi più chiari e bassi più scuri: Mardones, Plançon, Navarrini, Chaliapini, Didur… Tutte voci molto diverse le une dalle altre; tutte ottime voci di basso. Insomma: prendi quello che la natura ti ha dato e usalo al meglio, senza cercare sonorità che non ti appartengono. Questo ci dicono i dischi di tutti questi grandissimi “elefanti”, che dal loro cimitero sono più vivi che mai e danno un monte di punti ai “fuoriclasse” di oggi.

      • @”Basta porre mente a quanti equivoci circolano a proposito della voce drammatica, che secondo i sapienti di oggi (quelli radiofonici e quelli che evocano cimiteri di elefanti) la voce drammatica dovrebbe essere scura: il soprano avere screziature mezzosopranili, il mezzo contraltili, il contralto (ne esistono ancora?) non si sa bene cosa; e lo stesso dicasi per le voci maschili”….e infatti sono tutti ingolati ed educati a cantare di sforzo e a spingere…osssia, diseducati.
        Ma alla gente orami PIACE LA VOCE INGOLATA, se c’è SFORZO allora è un canto potente, se la voce è SPESSA E GONFIA allora é importante…..no? E’ un gusto dominante e diffuso a causa di cattivi modelli e dell’estinzione del buon canto. Oggi se sentono cantare con facilità e naturalezza, le persone restano indifferenti…
        siamo al capolinea dell’opera anche per questo

          • Parole amare ma verissime, cara Giulia.
            Se a un pubblico sempre più diseducato all’ascolto si aggiunge una critica sommamente incompetente – questa colpevolissima, a differenza del pubblico, che può essere raggirato -, allora siamo a cavallo.
            Tra imbonitori radiofonici che non sanno distinguere un suono da un urlo e non sanno quali note costituiscono un accordo di labem maggiore (a meno che la teoria musicale non sia stata cambiata di recente, non ci sono molte alternative) ma “fanno scuola”, volatili impiccioni che difendono l’indifendibile e critici accigliatissimi che scrivono come se fossero il figlio illegittimo – e potrebbe essere altrimenti? – di Proust, nascondendo dietro un fiume di parole l’inconsistenza delle proprie argomentazioni, la situazione per chi voglia capir qualcosa di canto è ben desolante.
            Meno male che ci siete Voi, che non vi parlate addosso come sostengono alcuni, ma parlate di canto fra Voi e con noi e io non dispero che questa possa essere una strada per guadagnare sempre più orecchie all’ascolto del canto come dev’essere.
            E chissà mai che un giorno qualcosa cambierà anche nei teatri e si potrà tornare a sentir cantare; perché non mi stancherò mai di dirlo, pur avendo la casa stipata di dischi, l’opera va sentita in teatro, ché altrimenti molto va perso.
            Intanto Voi continuate così. Ad maiora!!

  4. Caro Mancini, concordo con tutto ciò che dici, un documento di sicuro non stupendo (solo dal punto di vista della qualità di registrazione) ma comunque trapela il canto appassionato e tecnicamente preparatissimo, un bel legato, la voce non sta in gola (trovami un basso che canta con la voce fuori oggi) e un vibrato non troppo eccessivo (anch’essa caratteristica comune dei bassi odierni, ma non faccio nomi, sennò divaghiamo). Grazie anche questa volta per il delizioso momento di gioia che mi/ci regali, e alla prossima!

  5. Oltre al mio grazie, Mancini, tre osservazioni:la primitiva tecnica di registrazione, oltre ad impoverire gli armonici,non rende giustizia al volume della voce di de Reszke,che pare fosse notevole,in secondo luogo faccio mia la domanda di Tamberlick, si e’ trattato di degenerazione o evoluzione della voce di basso in diverse tipologie ?basso nobile,profondo, comico, basso-baritono etc…, voci come quelle di Ghiaurov e dei bassi russi pur non essendo chiare non mi sembrano caricature. Infine una curiosita’,in un recente testo riguardante le stelle della lirica, l’aria di Silva cantata dal nostro viene definita “uno dei brani piu’ stravaganti dell’intera storia discografica”. Ovviamente mi dirai :rivolgiti all’autore per chiarimenti, ed io lo faro”.

    • Quella di Ghiaurov era una voce notevole, ma ben lontana dall’esemplarità artistica. E’ uno di quei cantanti che non sanno far altro che esibire narcisisticamente il proprio vocione.. Evito sempre di ascoltarlo.

  6. Se posso rispondere anche io alla domanda di Tamberlick, il punto cruciale per il declino della corda di basso secondo me è negli anni 50, quando il mito di Titta Ruffo inizia ad estenedersi non solo alla corda baritonale ma anche a quella di bass-baryton e poi di basso, a cui si innesta la disastrosa ascendenza del canto alla russa di Boris Christoff e di Nicolai Ghiaurov, che hanno letteralmente tranciato le gambe ai loro successori (vedere un Ghiuselev o Burchuladze, rimasti lungo tutto la loro carriera schiavi dei due maestri) almeno in Italia e resto d’Europa. C’era ancora il baluardo del nobile canto all’italiana di Siepi che sopravviveva, ma come il canto di Lauri Volpi, fu una goccia in un lago se si pensa che dal 1953 alla Scala cantò un personaggio come Zaccaria, che di canto e di basso aveva ben poco da testimoniare secondo me.
    Quanto allo spunto di massimo.fazzari, se fu una degenerazione o evoluzione, per me è stata una degenerazione perché se fosse stata una evoluzione, oggi non avremmo dei bass-baryton o persino baritoni che cantano ruoli da basso puro o basso profondo!

  7. Quando inizia la degenerazione nei bassi? Direi che inizia proprio con la nascita del disco, che ha fatto sì che il fattore timbrico venisse messo davanti ai valori musicali ed espressivi, nonché alla capacità della voce di spandersi in sala. Difatti oggi i bassi badano tutti al colore scuro della voce, fanno la voce grossa, in disco sembrano chissà che cosa, ed in teatro non passano l’orchestra.

  8. Innanzitutto grazie Mancini per la risposta. Effettivametne questa storia della “fonogenia” a tutti i costi ci ha condotti forse alla degenerazione attuale, però mi si deve spiegare come si sia giunti al’attuale degenrazione, dove le voci sono impastate ma non si può mica dire che sian belle indisco! Ho già detto precedentemente tendo credere che oggi si cerchi non più il suono scuro, ma addirittura di somigliare alla caricatura che fa l’uomo di strada della voce lirica, giusto per dire al consumaore incolto: “Ehi! Io sono un cantante lirico, senti qua che vusón!!”.
    Fuor di questo, una sola osservazione. Suggerirei di specificare che cantar chiaro non vuol necessariamente dire che i bassi debbano assomigliare tutti a DeReszke oppure non sono. Se la voce è altissima e coperta il giusto (che per me significa attenersi all’arco del suonoe basta) il colore della voce, chiaro o scuro che sia, vien – a questo punto – da sè. La domanda che ho fatto a Giambattista origina dal fatto che il mio orecchio è abituato ad ascoltare piuttosto la voce di tenore che non le altre. Ciò, unitamente al fatto che siamo effettivamente stati abituati tutti quanti all’idea che il basso debba avere la voce di una caverna (ammesso che le caverne cantino.. ), mi rende difficile capire dove caspita infilino i bassi la voce. Ma forse non ero del tutto in errore quando, credendo di esserlo, rimuovevo l’impressione che tutti i bassi della “golden age” (dal dopo guerra fino alla Rossini renaissance) camuffassero troppo l’emissione. Perché in effetti se pensiamo a come cantasse anche solo un basso dal colore di voce più denso di un DeReszke, mi riferisco a Navarrini, ma anche Chaliapin – in corda baritonale, mi salta subito alla mente Stracciari – pare che tutti quelli venuti dopo avessero sbagliato mestiere.
    Non esente – e qui mi attirerò le Vs. ire funeste – Cesare Siepi. O forse nel suo caso il disco fa effetto contrario.

    • Ci sono voci più chiare e voci più scure, non è che tutti debbano essere come De Reszke. Certo, l’emissione corretta, aerea, leggera, alta, sul fiato, produrrà un suono puro, pulito, cristallino, con tendenza al chiaro. Nei trattati non si parla d’altro che di trovare la chiarezza di voce. Se la voce è fuori, libera, è anche chiara, mentre se la teniamo tutta dentro, gonfia, bolsa, ingolfata, allora diventa più scura e rumorosa, grossa, ma incapace di spandersi nell’ambiente e di dire le parole con naturalezza.
      Venendo ai bassi… ma certo che i bassi degli anni del secondo Dopoguerra gonfiavano, lo facevano tutti! Io di quelli non posso ascoltarne NESSUNO… Per me il canto in corda di basso finisce con Pinza ad esser generosi (e nemmeno lui era sempre irreprensibile)… Poi io ho una mia teoria, ritengo che la decadenza abbia intaccato le voci gravi maschili prima delle altre, in quanto sono le voci che più facilmente possono cantare anche senza bisogno di studiare, dato che l’estensione è quasi tutta sul petto… Ma il discorso del disco e della fonogenia vale per il basso come per tutte le altre tipologie vocali. Il disco ha creato degli stereotipi a cui tutti hanno dovuto adeguarsi. Oggi un basso come De Reszke con quella voce chiara, non importa se molto sonora (nessuno bada più a quanto la voce riesca a riempire la sala), non sarebbe facilmente accettato.

    • Caso a parte Ramey, ma direi per un fatto per lo più stilistico… rispetto ai bassi d’anteguerra è pure lui piatto e monocromatico, soprattutto nell’accento, ma comunque cantava bene. Anche lui però un po’ “fa” la voce, e non aveva l’ampiezza dei grandi bassi del passato. Forse più basso-baritono che basso vero e proprio.

  9. Molti degli ascolti proposti da mancini sono “difficili”. Lo sono perché catturano le voci di cantanti ancora di scuola pienamente ottocentesca, cantanti in cui si sentono ancora perfettamente i centri chiari, leggeri, la voce proiettata e mai artificiosamente intubata per fare il “basso” o per fare il “baritono, e così via; tutta roba che un orecchio nato dopo il 1940 non è più abituato a sentire. Cantanti in cui i registri della voce erano tra loro resi omogenei da studio e tecnica ma non era necessario avere un colore unico per due ottave come il gusto moderno impone. Giustamente si sono citati la Patti, ma manche la Raisa di qualche settimana fa (ultimo avanzo d’una stirpe felicissima…), la Toti, de Segurola ma potrebbero seguire Bonci, Guerrina Fabbri, Giuseppe Kaschmann o cantanti meno rifiniti come Govanni Gravina. C’è coerenza negli ascolti di Mancini. Caruso e Ruffo furono il conclamarsi di un cambiamento del gusto e gli imitatori che scatenarono dopo di loro, né furono il consolidamento. Sono d’accordissimo con la teoria che il disco abbia di fatto influito notevolmente nel modificare l’orecchio dell’ascoltatore e che il solo fatore timbrico sia, di conseguenza, diventato l’unico metro vero per valutare una voce. Mancini dice che “nessuno bada più a quanto la voce riesca a riempire la sala” e ti credo caro Mancini, viviamo in un epoca in cui è ammessa e tacitamente accettata la microfonazione (arena di Verona docet), perchè nel 2012 si dovrebbero preoccupare di proiettare un suono?

  10. Mancini sugli acuti a parte qualche fissita,e durezza,ma sono anche un tantino stonati,poi mi sento sempre di prendere con le molle queste registrazioni preistoriche,anche se tu dici che sono anche per l’età del cantante una finestra sul canto nell’ottocento.
    in teatro negli ultimi decenni una voce cosi non la fanno cantare,il pubblico non sopporta una voce lagnosa del genere.,mi spiace ma io la penso cosi,poi questa rubrica la stai indirizzando ai puristi del canto,purtroppo il pubblico non sono dei puristi,e da quando signore ha inciso questo disco nel bene e nel male i tempi sono cambiati,aprendosi ad altre strade buone o male che siano.
    non si può pretendere che ai nostri giorni nei teatri si canti come questo signore,anche se posso essere d’accordo con te sulla correttezza di questa voce…dei suoi tempi

    preferisco il colore della voce di Boris Christoff da piu interpretazione al personaggio ,che poi per te è meno cooretto non vuol dir niente,è molto piu piacevole e vicino ai gusti della gente,averlo ancora un basso come questo http://www.youtube.com/watch?v=qGDs4voclTg&feature=related

    • Però Pasquale, attenzione: la voce di DeReszke proviene dall’anteguerre e non ci restituisce a pieno come effettivamente fosse in teatro. C’è poi da distinguere tra un fraseggio, un’agogica e scelte dinamiche lontani dal nostro sentire dalla “sostanza” che fa una voce: alta, sul fiato e ben posizionata fuori.
      Guarda: amo anch’io Christoff, amo anche tanti altri “orchi” come qui vengon chiamati. Ciò non di meno l’amore per questi cantanti mi deve lasciare libero di riconoscere alcuni tratti di cui si può discutere. Per questo non amo espressioni come “scuola del muggito” il cui autore magari si sarà rammaricato in limine a miglior vita di non averne più oggi. Per questo non condivido, ma rispetto, il giudizio di Mancini sull’universo mondo delle corde gravi maschili del secondo dopoguerra né condivido che si dia del mugghiante a FD. Almeno trattavasi di gente che cantava. Allora forse avevamo bovini di prima scelta; oggi abbiamo solo vacche magre. In taluni casi anoressiche.

      • Anche io trovo De Rezke difficile. trovo che l’incisione renda una voce nasale ( lo era davvero?…boh), mentre mi piace lo stile. E’ un gusto passato, ma certamente assai più suggestivo, ottocentesco e dal sapore verdiano rispetto ai vocianti bassi di ogg
        Il problema dei bassi e dei baritoni di oggi è prima ancora stilistico che tecnico: c’é una CONCEZIONE del canto delle corde gravi che no contempla ilprgere le frasi, l’eleganza, la dinamica ma sempre e solo la truculenza e la grevità. IL basso ed il baritono sono sempre dei vecchiacci, dei corteggiatori laidi, dei personaggi di rango ma senza nobiltà alcuna, che paiono occupar eil loro stato come barbari usurpatori. Io di questi beceri non ne posso più….senti sempre lo stesso cantante e lo stesso personaggio. Quando poi al gusto si somma l’insipienza tecnica ( non uno che giri gli acuti…! sempre a salire di strozza spingendo..) e l’intento che la voce grave maschile debba essere scusa, peciosa, ingolata e ruttata…ecco, siamo all’apoteosi dell’orrore. Ho pregato MAncini di non compiacersi nei suoi gusti “old hard” ma…Forse un giorno ci parlerà di comuni dei del canto come Pertile, o Kipnis, o la Muzio….ma per ora questi artisti rientrano ancora nel novero dei luoghi comuni cui son avvezzi melomani comuni come la sottoscritta. Chissà, forse forse il cielo un giorno sentirà pietà di me….hahaha

          • Non la sento passare per il naso. Forse può sembrare piatta e schiacciata, metallica, ma non percepisco affatto un appoggio nasale. Christoff sì che è nasale! Senti che orrore quelle i, annerite nella gola ed emesse per il naso, bleah… Dopo l’attacco “Infelice” ho dovuto spegnere, non ce la faccio proprio a sentire una roba del genere.

        • Giulia, provo a dirti la mia opinione su quei suoni che percepisci nasali. Effettivamente DeReszke apre un po’ le vocali nelle prime battute: probabilmente per o come effetto del lasciare la laringe perfettamente sciolta e anche per cercare la posizione più alta possibile. Magarai sono suoni un pelo indietro: d’altra parte per come erano costretti a incidere… Ma per il resto, non v’è traccia di naso.
          Anzi riascoltando più volte la registrazione mi stupisce il perfetto dominio del passaggo: si sentono fiati perfettamente girati e con morbidezza senza guasto per il colore e la posizione.

    • @Pasquale Ma cosa vorrebbe dire che “il colore della voce di Christoff dà più interpretazione al personaggio”? Dov’è che la senti questa “interpretazione”? Lo vedi che l’assuefazione al vocione bolso vi ha storditi tutti? Quale sarebbe il valore musicale e teatrale che passa attraverso il colore della voce? E’ il colore che conta o è l’accento, la parola, la musica? Cosa vuol dire “più piacevole”? C’è pieno di gente che trova piacevole ubriacarsi con bevande disgustose e ingolfarsi di porcherie da fast food, e con ciò? Lo scopo del teatro per te è solo la piacevolezza dei sensi? Voce lagnosa? Ma il testo dell’aria l’hai letto? Cosa sta facendo Silva qui se non lagnarsi? I tempi sono cambiati? Certo che sono cambiati, proprio per questo la mia rubrica si intitola impariamo ad ascoltare.

      • Mah, guarda: tutto si può dire della voce di Christoff – che facesse la voce, che la dizione fosse dura come suggerisce Mozart – fuor che cantasse nel naso. E definirne la voce bolsa mi sembra francamente eccessivo.
        Idem valga per Caruso: dubito che potesse fare il furore che fece 100 anni fa con una voce tendenzialmente indietro.

        • Caruso non era solo un tenore verista ma cantava regolarmente Raoul, Jean de Leyda, il Duca e Nemorino. Potrei ricordare che Jean de Reszke dopo averlo ascoltato come Don Ottavio al Covent Garden disse “Questo giovane sarà il mio successore” e che le stesse cose disse De Lucia dopo averlo ascoltato a Salerno nel 1897.

        • Bah, tendenzialmente indietro nel senso che non era certo avanti come Tamagno o come De Lucia… Pare quasi una eresia qui dentro dire che un cantante di gran fama canta un po’ indietro. Cosa credete che sia un suono indietro? Guardate che i cantanti con la voce perfettamente impostata si possono contare sulle dita di una mano, e tutti i i difetti sono sempre da ricondurre a suoni non perfettamente posizionati, ad un grado più o meno accentuato di ingolamento… donc, vi prego basta con questa solfa… la Sutherland non è mai indietro, non sia mai che Caruso è un po’ indietro… ma che significa?!

          E pure il naso… la nasalità non è mica solo quella di Florez… Di nasalità in Christoff ce ne sono parecchie. Le “i” (vocale che lui non riesce a pronunciare, non gli riesce proprio di trovare il giusto focus) spesso gli finiscono nel naso, sono incavernate, tutte ingrossate in bocca ed in gola, il fiato non riesce ad essere proiettato tutto fuori per la bocca, e quindi deve giocoforza uscire per il naso. E’ un canto pieno di artifici timbrici e disomogeneità… Ma senti l’attacco, le due I di infelice, specialmente la seconda, quello è naso. Le mezzevoci sono spoggiate, è tutto un biascicare nel retrobocca, la voce gli si tappa e diventa puro naso (sì bel giglio IMMACOLATO – bleah). Taccio poi della pronuncia orrenda e della rozzezza di tutto questo modo di cantare… Fatemi la gentilezza di risparmiarmi altri post simili in futuro… e torniamo per favore a parlare di De Reszke, grazie.

          • Mancini, perdonami, ma con questo tuo atteggiamento passa proprio la voglia di aggiungerli altri commenti. Perché talvolta dai l’idea, con uscite come questa, che la tua rubrica debba essere il Verbo e che in calce non siano ammesse se non manifestazioni di consenso.
            Ora, visto che secondo te non abbiamo la più pallida idea di cosa sia un suono messo nel naso, prego: diccelo tu cos’è.
            Per me un suono nel naso è quello di chi scambia le fosse nasali per la maschera. Per te era nasale un Dermota salvo poi ricrederti.
            Però sono aperto a smentite perché so che prima di capire ogni cosa della voce cantata, ne deve passare di acqua sotto i ponti. E non acqua fatta di soli trattati e 78giri.

            E, in chiusa, ancora una cosa. Io ti apprezzo, sinceramente, come apprezzo i tuoi interventi perché spesso mi sembra di leggere qualcuno con cui ho comunanza di linguaggio. Ma ti prego anch’io di risparmiarci infelici sortite come questa e quella a commento dell’intervento di Pasquale: la tua opinione la puoi difendere anche rispettando la posizione, persino l’errore, altrui.
            Guarda te lo dico proprio serenamente e senza voler alimentare nessuna polemica e con simpatia: la verità in tasca non ce l’hai tu come non ce l’ha nessuno.
            Quanto a DeReszke ed agli altri ascolti da te proposti: io li considero uno spunto per parlare di tecnica e per fare confronti. Non un recinto al di fuori del quale si vada inesorabilmente fuori tema.
            Se ho male inteso, chiedo venia e mi limiterò d’ora in poi a leggere soltanto.
            Buona serata.

          • Un suono nel naso è un suono carente di appoggio, per cui il fiato non ha la forza di sollevare il velo palatino e va ad ammollirsi fuoriuscendo tutto o in parte per le narici. Vecchio trucco è proprio quello di tapparsi le narici per scongiurare il rischio che anche una minima misura d’aria possa passare per di lì. Christoff non è tutto impostato nel naso, questo no, ma talvolta ci casca, e per me è una cosa fastidiosa. Con l’età poi il difetto si è molto accentuato. A parte questo, è un rappresentante di un certo modo di intendere la voce di basso che io aborro.

            Detto ciò, non era mia intenzione mancarti di rispetto. Ci tengo a chiarirti che apprezzo sempre molto i tuoi interventi e ti ringrazio dell’attenzione con cui segui ciò che scrivo, purtroppo il mezzo della scrittura impedisce di far passare le sfumature emotive con cui ci si scambiano le opinioni, e capisco pertanto che i miei interventi possano risultare un po’ antipatici ed inquisitori.

          • Ancora una volta siamo d’accordo sul punto tecnico, meno nel giudizio sui singoli cantanti. Ma va bene così.
            Caro Giambattista è appunto perché la forma scritta è così limitante che bisogna stare attenti e non farsi prendere da troppa animosità 😉

      • ma impariamo ad ascoltare cosa Mancini ?questi reperti archeologi che dopo 110 anni non stanno ne in cielo e ne i terra ,la tua rubrica deve essere aperta anche all’evoluzione della tecnica e linea musicale,se vuoi rivolgerti e a imparare ad ascoltare a gente si appassionata ma normale,non di certo ai melomani puristi,questo sito si rivolge(penso) anche a una platea piu vasta,fatta anche di gente che bisogna educare all’ascolto,ma non con questi reperti che nessun teatro al mondo li recepisce,a meno che te e Semolino apriate un teatro personale,ribdisco che la voce di Christof ha un bel colore linea musicale coerente col personaggio,e anche gli accenti,una voce che ne hanno fatto un grande artista,e anche severo e burbero.
        La voce di DeReszke a parte che è leggermente nasale e dò ragione a Donna Grisi,e anche stonatina sugli acuti,è lagnosa perche non ha colore è montona,io non metto in dubbio la correttenza del cantante,e la sua impostazione tecnica ,ma una voce del genere attualmente farebbe scappare il pubblico con il latte alle ginocchia,dai Mancini,perche poi a cominciare da Caruso il canto si è evoluto per altre strade,come è anche logico,perche il canto non è statico
        poi Mancini per dire ed essere sicuro della voce avanti fai ipotesi perche De Rezke dovevi ascoltarlo in teatro per esserne sicuro,queste registrazioni sono troppe primitive,e nessuno mi garantisce che in questi 110 anno non abbia subito ritocchi.

  11. comunque penso che Mancini ha un idea sull’evoluzione del canto come un involuzione del canto, ma questo caro Mancini è una tua tesi ma non una verità o un verbo,quindi in questa rubrica come un bravo insegnante non puoi partire da questo pregiudizio perche sennò pretendi che gli altri imparino i tuoi gusti,non ad essere imparziali,e liberi nell’ascolto

    • solo per allargare il mio discorso ed evitare malintesi il GdG è un sito -per me- che parte dal pressuposto dichiarato di educare,istruire fare conoscere l’opera e le voci dei grandi del passato in modo che si possa giudicare quando l’opera era nel suo fulgore con grandi cantanti che adesso si rmpiangono(non tutti,non è che erano poi tutti bravi)
      però si tiene conto anche del tempo che passa i gusti anche se non condivisibili,quindi la critica sui reperti archeologici e non vorrei essere frainteso la faccio quando vengono presentati come se fosserò voci che vengono dal cielo,questi ascolti antichi vanno presi per quello che sono una testimonianza di un tempo che fu non un verbo o verità

      • No, caro Pasquale, proprio perché – come tu stesso dici – queste testimonianze risalgono a un periodo di fulgore dell’opera, non le puoi liquidare come qualcosa “del tempo che fu”. Poi tu pensi solo alla bellezza della voce, mentre molto più importante è il modo in cui la si usa, se non ho frainteso il punto di vista di Mancini e il presupposto della sua rubrica…

        • Nicola io a questi ascolti do molta importanza,sia per il semplice ascolto di cosa si canta sia per il modo di come si cantava,poi per il periodo di fulgore dell’opera,certamente l’800 e inizio 900 c’è stata una grande forza propulsiva di composizione di questo genere ma a livello veramente popolare non lo sò,perche non penso che i contandini o gli operai o
          lavoratori in genere insomma il popolino dopo essersi spaccata la schiena nei campi o nelle officine avessero tempo e voglia,e denaro per andare al teatro,per me il massimo fulgore veramente popolare,è iniziato con l’avvento della radio e poi della televisione,oltre ai dischi che ha permesso a tantissima gente a rapportarsi facilmente,e conoscere meglio questo genere,e gli anni d’oro qui in Italia è stato negli anni 50 e 60 quando la televione ne ha trasmesse
          tante,coivolgendo tanta gente.Poi i cantanti dei tempi che furono sono questi reperti agli albori del secolo 900 perche per fare un esempio se ascolto la Olivero,o la Callas o la Tebaldi la Simionato Del Monaco la Archipova o adirittura la Ponselle non associo ai tempi che furono per me sono ancora attuali,e sono convinto che tanti cantanti di adesso specie a inizio carriera o ancora in fase di studio si rapportano con questi cantanti.Poi ti dirò che tutti gli ascolti proposti dal CdG in formato mp3 li ho quasi tutti scaricati e catalogati e archiviati in discoteca,questo per dirti come li
          considero importanti.ma l’importante che siano considerati per quello che sono materia di studio per gli adetti,per i melomani,e un piacere per chi piace semplicemente ascoltare arie d’opera senza farsi venire il mal di testa,ti dirò ancora che qualche anno fa di notte ho postato nella chat molti ascolti di cantanti anteguerra specie soprani.Poi quando mai ho scritto che per me conta solo la bellezza della voce?La prima cosa che guardo è la respirazione,che è la base le fondamenta dove si poggia la costruzione del canto,la bellezza della voce certo che è un punto a favore ma di certo non è tutto basta solo l’esempio risaputo e abbastanza noto del timbro angelico della Tebaldi al confronto del timbro “sporco” della Callas.
          Riguardo a Mancini non ne discuto la compentenza e le sue proposte solo che deve abbandonare il concetto di involuzione del canto in senso assoluto perche sennò non può essere obbiettivo con cantanti magari bravi,e capaci,ma bocciati perche non soddisfano i suo gusto personale,quindi che proponga anche dei cantanti che hanno cercato anche di aprire nuove
          strade senza pregiudizio.

  12. Ad un primo ascolto l’aria postata da Mancini mi ha sinceramente lasciato un po’ perplesso, mentre un secondo, terzo, quarto, etc. ascolto mi hanno fatto capire almeno in parte tutti i pregi dell’esecuzione, che può sembrare fredda o routinaria, ma non lo è affatto. Che l’incisione sia rudimentale è un conto, ma non credo sia stata ritoccata (eventualmente, avrebbero reso la voce più simile al gusto odierno per alimentare il mito…). Che poi un teatro attuale non faccia esibire un cantante con questa voce, non mi sembra, francamente, un grande argomento, visto che definire cantante o professionista l’ultimo basso da me udito in un teatro (la Fenice di Venezia), mi sembrerebbe un insulto nei confronti di De Reszke…

      • Ma l’evoluzione del gusto dovrebbe essere indipendente dalla tecnica di canto, che se non sbaglio è una. Tu hai chiamato in causa il timbro, il colore della voce, altra cosa indipendente dalla tecnica (o sbaglio?). Poi l’interesse di questi ascolti sta anche nel fatto che essi risalgono a un’epoca non lontana da quella di Verdi, quindi ci dicono qualcosa sulle modalità interpretative immaginate dal compositore, le quali dovrebbero essere prese in considerazione anche oggi, ovviamente lette attraverso la lente di un gusto che è cambiato…

      • magari non canterebbe oggi nè come questi nè come nel suo tempo. Certo che quando uno sa fare, fa poi quello che vuole. Nel passato sentiamo cantanti tanto educati da poter fare ciò che volevano. Oggi sono cosi scarsi che fanno solo cio che possono….

      • magari non canterebbe oggi nè come questi nè come nel suo tempo. Certo che quando uno sa fare, fa poi quello che vuole. Nel passato sentiamo cantanti tanto educati da poter fare ciò che volevano. Oggi sono cosi scarsi che fanno solo cio che possono….

        • Il brano postato rivela un artista in avanzato declino vocale: Fiati cortissimi, acuti fissi, pronuncia cattiva, centri poco fermi, espressione piagnucolosa, linea frammentata. Del grande basso ammirato da Verdi stesso nel 1880 rimane l’imposto. E che alcune note leggermente nasaleggianti, siano o non siano dovute al
          tubo sinceramente… La voce e’ chiara, e va benissimo, e l’emissione e’ ancora piu’ che corretta, e quella, se ce l’hai, non te la toglie nessuno neppure a novant’anni . Ognuno ascolta volentieri cio’ che preferisce, certo. Pero’ questo Silva e’ pieno di difetti. In quanto al colore, ogni artista ha il suo, e Reszke’ ha il pregio di non camuffare il proprio, e non e’ pregio da poco.

      • Pasquale, de Reszke è morto 95 anni fa! ti credo che è fuori del tempo! ma cosa vuol dire? che dobbiamo subire la “modernità” e metterci l’animo in pace? Lo stile, il gusto di de reszke è morto, è fuori dal tempo; ciò non toglie che QUELLA tecnica permetta ad un cantante di fraseggiare in modo compiuto, di rispettare le dinamiche e i segni d’espressione voluti dall’autore e non le voci morchiose, incatramate, monocrome e sorde che spesso si sentono ai giorni nostri. Anche Christoff è fuori dal tempo! Oggi nessuno accetterebbe la sua pronuncia bulgaro-italiota. Quando si ascoltano registrazioni della preistoria del disco le dobbiamo prendere per quello che sono, archeologia. Testimonianze del passato. Quando si ascoltano cantanti come de Reszke è sensato parlare di tecnica, solo di tecnica. Sono passati più di 100 anni, lasciamo perdere lo stile, il gusto, la filologia, le libertà agogiche…, quelli non li potremo né condividere, né far rivivere, sarebbe ridicolo tanto quanto mettersi le ghette gialle in una giornata piovosa a Milano del 2012. Hai ragione, il canto si è evoluto o involuto per altre strade, ma vogliamo capire da dove siamo partiti? Certo non sapremo come cantava Tamburini o la Pasta, ma abbiamo un anno 0; la creazione del disco, partiamo da li. Cerchiamo di capire come si cantava all’epoca. Quelle registrazioni sono di cattiva a volte pessima qualità; bisogna abituarsi ai fruscii, all’intonazione altalenante, magari informarsi su come venivano fatte e riascoltarle non 1 ma più volte per permettere al digitalizzato e asettico orecchio contemporaneo di andare oltre le tre dita di polvere che le rendono di difficile fruizione. Ciò nonostante quelle registrazioni ci dicono che con quella tecnica (come scrive madame Grisi) potevano fare ciò che volevano, oggi quei cantanti con quella tecnica probabilmente la userebbero in modo diverso. Oggi QUESTI cantanti con una tecnica molto più peregrina fanno ciò che possono…
        Caro Nicola, lo sai, anch’io ho sentito il basso che dici alla Fenice, beh! consolati, negli ultimi 2 mesi ho sentito 3 opere dal vivo, con 4 bassi diversi; ti posso assicurare che su 4, solo 1 (pur con tutti i suoi limiti) era degno di essere definito un cantante; sto cercando di dimenticare gli altri 3.

  13. Atffermare che il COLORE di una voce non aiuti a creare un personaggio non mi trova d’accordo. A voi piacerebbe un Sarastro con il COLORE di de Reszke? O una Dalila SENZA il colore di una Ebe Stignani? Questo senza nulla togliere alla splendida tecnica e all’indubbia eleganza del basso scelto da Mancini…

    • a me dà più problemi uno ingolato o/e che arta la propria voce per sembrare ciò che non è. Se poi c’è in natura un colore adatto ad un ruolo, meglio. Ma anche nei bassi veri, come certi ruoli verdiani, preferisco un basso che sa poco di basso ma canta bene, ad ogni ciclopico ruttone ghiurovesco. Tra l’altro la questione del colore nasce ad un certo punto….non ricordo che si parli del colore per il belcanto anche alla fine ad ex….

    • ecco hai nominato la stignani nel sansone…….due ascolti infila del s’apre per me…..il paradiso terrestre nela voce. Dopo sei in pace col mondo……e la tv sta per passare quella cenerentola tv che……Gesu’…
      %osa darei per una sera dal vivo con la stignani……

  14. Caro Mancini,
    qualche breve considerazione critica, sul cantante e sulla tua Introduzione.
    Arrivo subito al punto: presentare questa incisione come un modello per lo studente di canto è una operazione da respingere totalmente; altrimenti si compie (in buona o cattiva fede) un tentativo di decontestualizzazione, che altro non è se non falsificazione storica.
    Non penso possa esistere persona al mondo che, ascoltando questo disco, sia in grado di pronunciarne un giudizio positivo. Naturalmente (e purtroppo) non conosco tutto ciò che è stato scritto su EdR (cantante che peraltro apprezzo, ma in una prospettiva ben diversa da quella di Mancini e da quelli che, sulla sua criticabilissima scia, hanno intensificato l’esaltazione per questo eccellente esempio di Buon Canto); partiamo allora da un classico: M. Scott, The Record of Singing, vol. 1, p. 86: «Edouard de Reszké’s three records made for the Columbia company in 1903 are, perhaps, the most disappointing ever made by a famous singer. Even allowing for the frailty of Columbia’s recording system his voice sounds in very poor shape. At the time he was forty-nine, not a great age for a bass; Chaliapin at fifty was at the height of his career. That the records are a fairly accurate impression of his voice, we may assume from the fact that this was his last season in America; though he was re-engaged for the Manhattan company three years later, when Hammerstein heard him he was so shocked at the state of his voice he at once tore up the contract. Unlike his brother Jean, Edouard sang naturally and had never much concerned himself with a technique or worried about keeping his voice».
    Sotto il profilo tecnico, direi che basta ascoltare come viene cantato, cioè gridato, l’acuto di: “Piomba invece”, per pronunciare un giudizio non lusinghiero. Ora, proprio non capisco perché se questa stessa nota fosse stata emessa, ad esempio, dal vostro amatissimo Kaufmann, egli sarebbe stato certamente sbeffeggiato; se invece si tratta di EdR, allora lo si è disposti a giustificare: e infatti Mancini, incredibilmente, parla di qualche giustificabile (?!) durezza e fissità nell’acuto.
    Le mie orecchie mi segnalano che in questo disco il carissimo (e dico sul serio) EdR canta pessimamente, e proprio perché non canta sul fiato: una prova, che certo vale quel che vale: EdR è imitabilissimo anche dal dilettante, segno che non è affatto in regola, tecnicamente.
    Insomma, nella sua Introduzione all’ascolto Mancini compie il capolavoro di portare l’esempio di un cantante privo di tecnica in un sito che si compiace di voler fare rivivere il buon tempo (vocale) antico, che naturalmente era quello in cui la tecnica la conoscevano benissimo tutti. (Segnalo incidentalmente il purtroppo inconsapevole infortunio di aver esaltato, tempo fa, una pessima Casta diva della criticabilissima, almeno in disco, Raisa: anche qui, senza la minima prospettiva critica; e senza riflettere sul fatto che chi si è occupato professionalmente di storia della voce e dello stile qualche riserva sulla Raisa l’aveva espressa).
    Il mio stupore aumenta: Mancini cita la voce di Caruso come tendenzialmente indietro: questo è un clamoroso falso, e va detto con forza. E la citazione del tutto a sproposito di Caruso, prova a mio avviso un’altra cosa: che Mancini nella sua analisi è mosso da ideologismo, che è altra cosa dalla benemerita ideologia. Mi spiego: mi sta benissimo il fatto che l’ideologia di Mancini sia quella che spera nella restaurazione, dico per dire, lo stile di canto degli anni 1880-1900; è una battaglia culturale, che come tale va rispettata; e fin qui siamo nel campo dell’ideologia; se però Mancini falsifica dati di fatto o spaccia per dato di fatto ciò che dato di fatto non è, allora qui siamo nell’ideologismo, che impone una reazione. E avere richiamato in negativo Caruso ha proprio questo scopo: il bello che sentite nei dischi di Caruso rigettatelo come pessimo; Mancini non è certo il primo a preferire lo stile vocale pre-carusiano; e naturalmente in ogni tesi c’è una parte di verità; ma non è accettabile che in un sito nato con intenti cultural-pedagogici si ammetta che il partito preso soppianti l’analisi. Ora, che per esaltare ancor di più EdR si debba criticare Caruso supera ogni limite.
    Aggiungo anche questa osservazione, che spero possa spiegare meglio la mia prospettiva: io non amo affatto Di Stefano, che spesso grida e non canta; ma è un dato di fatto perfettamente comprensibile anche a me la ragione per cui Di Stefano è idolatrato; e se io negassi l’aspetto della immensa fascinosità della sua voce (anche in quella Fedora con la Olivero: dove il suo essere in uno stato vocale tragico produce un effetto sublime: e io quando ascolto quel brano sono portato al contempo a inveire contro DS e ad ammirarlo ). Ciò per dire che la tesi a senso unico di Mancini è debole prima di tutto perché non si rassegna a fare i conti con i suoni che il disco ha trasmesso e con l’effetto artistico complessivo che quei suoni producono.
    Certo, è vero che in questo sito si ha poco rispetto e molto fastidio per la storicizzazione e per la contestualizzazione (con la notevolissima eccezione di Duprez, al quale si debbono certamente le analisi più interessanti, perché fondate su una prospettiva critica ben consapevole e su una molto evidente onestà intellettuale); ma questo è un grave difetto; e non si educano in questo modo i giovani studenti di canto e i giovani appassionati: facendo così li si educa al partito preso, all’ideologismo, al fanatismo: tutti aspetti, non lo negherete, spesso presenti su queste vostre pagine.
    Andiamo avanti. La tesi di Mancini è che EdR canta bene perché canta come parla: certo, non solo Schipa, anche l’immenso Battistini (cantante immenso, con non lievi difetti, peraltro) alludeva al fatto che è indispensabile cantare con la stessa mancanza di sforzo, naturalezza, che caratterizza il parlare. Ma il senso è appunto questo: il grande cantante fa apparire tutto semplice; appunto come Battistini, Schipa, McCormack (incredibilmente richiamato da Mancini, in un post successivo, come altro esempio, accanto a EdR!, di Buon Canto: mi chiedo: ma una persona che ama l’opera e che vuole conoscere meglio voci, stili, tecniche, che legga il post su EdR e poi quello su JMC non rimarrà giustamente disorientata? Quali criterî di giudizio offre Mancini? A me sembra che si tratti di criterî molto contraddittorî: esaltazione di EdR e al contempo di JMC, che invece stanno su piani opposti; affossamento di Caruso). Non si può ribaltare il senso dell’idea, come se dicesse: chi canta “come gli viene” canta bene; eppure è questo l’approdo cui giunge Mancini. Siamo dunque tornati al classicissimo natura contro cultura?

    • mi piace però, caro Grondona, la critica che fai ai modi della critica di questo sito, come tu vivessi in un mondo dove la critica musicale si produce in analisi oneste, sostenute da rigore metodologico, preparazione seria e profonda in fatto di canto, gusto e tecnica vocale. io vedo solo deliri di checche, amici e compagni di merende, recensioni che sono veline da ufficio stampa o pubblicità per centri benesse, e te vieni qua a fare sta tiritela….
      se De Rezke ti posso dare in parte ragione, ma poi la sparata su Kaufmann già stoppa il tuo ragionamento: Kaufmann sino a venti anni fa avrebbe lavorato in agricoltura, non sui palcoscenici, a zappare.
      scatenati pure su mancini, ma….di meglio oggi caro mio, non si legge da nessuna parte. che le persone che si avvicinano all’opera restino poi disorientate, caro il mio grondona, per la lettura di mancini lo dici tu, perchè lui è chiaro e fin troppo coerente: perchè non ti rivolgi a quelli che a distanza di due settimane sanno parlare da grandi pulpiti prima benissimo e poi malissimo della stessa prestazione dello stesso cantante nella stessa opera, oppure incensare un cane identico ad un altro, no amico, che raglia allo steso modo??
      caro il mio grondona, il punto è che noi vi offriamo troppo, di troppo alta qualità…

    • Caro Mauro, questa esecuzione non è stata presentata come “bella” in valore assoluto.
      Si tratta di riconoscere, dietro i segni della decadenza vocale, le linee tecniche, di stile, di gusto, che guidavano questo cantante.
      In particolare si è osservata la posizione davvero alta del suono sulla colonna di fiato, agganciata a un’articolazione schietta.
      Questo si sente, accanto al fiato corto, agli acuti tirati, al timbro senile; eppure sono poche le voci di basso, documentate da incisioni, ad avere un suono così “galleggiante” sul fiato.
      (Peraltro queste caratteristiche sono incompatibili con una definizione di canto dilettantesco: questa è una voce ben impostata ma in rovina, non più gestibile.)

      Sarei curioso di conoscere le circostanze di questa produzione
      Lo scopo era commerciale, perché de Rezke era ancora un nome che vendeva?
      Oppure c’era interesse a lasciare testimonianza di un grande nome prossimo al ritiro?
      Questa incisione non è certo un esempio di piacevolezza all’udito, e chi dirigeva la produzione conosceva sicuramente lo stato del cantante. Chissà come ragionavano, i primi discografici.

  15. Ma cara Giulia Grisi, la tua risposta mi sembra un po’ sfocata. Come si può sostenere che ciò che voi scrivete qui va apprezzato perché comunque meglio di ciò che si scrive altrove? Ti sembra un discorso criticamente sensato? Ti sembra un discorso che possa avere un minimo di persuasività storiografica? A me no. Se ho risposto a Mancini e indirettamente a voi l’ho fatto proprio perché l’attenzione che giustamente riservate ai cantanti antichi impone un maggior rigore; o no? Il rischio di questo sito è quello di essere prigioniero di una logica difensiva: si difende il canto del passato, a qualunque costo; e il costo talvolta è altissimo, come a me sembra sia avvenuto nel caso di questo post. La storia, tutta la storia, è sempre complessa; e chi pretende di ridurla a semplicità (con approcci del tipo: de Reszke è formidabile; ascoltate i suoi dischi e inchinatevi; chi lo nega è un cialtrone, ecc. ecc.) sbaglia; semplicemente sbaglia. E chi è interessato prima di tutto a conoscere e a capire il passato non può non reagire a questo approccio. Per una fortunata coincidenza, basta seguire, proprio in questi mesi, i dibattiti su Gramsci, che, grazie alla forza della ricerca storica, prima o poi riuscirà ad essere liberato dall’oppressione e dalla falsificazione di un certo contesto politico-culturale (oppressione e falsificazione perfettamente comprensibili e forse anche giustificabili, ma rispetto ai quali la ricerca storica deve essere evidentemente insensibile). L’obiettivo di voi animatori di questo sito non può che essere storico-critico, e non certo agiografico, o no?
    Ciao

  16. E aggiungo, cara GG, un’osservazione: io rivolgo qui, a voi, queste critiche come del resto altrove (Operaclick e La Barcaccia) ho criticato un fanatismo uguale e contrario: la sistematica distruzione di tecnica e stile di canto del passato. Esempio di inaccettabile dilettantismo, e nel senso peggiore perché del tutto inconsapevole delle questioni sottostanti, molte delle quali destinate a rimanere aperte e rispetto alle quali si potrà procedere soltanto per congetture diagnostiche (il che, comunque, rappresenta pur sempre un progresso).
    Ciò che io desidero leggere, almeno qui, sperabilmente qui, sono analisi critiche: e critiche non nel senso di asettiche, al contrario: prediligo le analisi volte a sostenere o a difendere una tesi, qualunque sia, purché le cose si prendano e si facciano sul serio; invece non desidero leggere parole troppo in libertà, senza rigore e senza consapevolezza; indipendentemente dal fatto che chi le scrive sia sulla mia stessa lunghezza d’onda o no. Questo è tendenzialmente irrilevante, se si è mossi da un desiderio di conoscenza.

  17. Mauro scusami ma credo che ti sfugga, comunque, il senso per cui noi apprezziamo quelle registrazioni.
    Dire che DeReszke nella registrazione qui sopra fosse in condizioni di declino vocale mi sta bene, ma quello che non può sfuggire è l’impostazione correttissima della voce.
    In quell’impostazione vocale DeReszke va preso ad esempio. Non forse nel gusto che, quello sì, può cambiare. Ma non la tecnica.
    Che era la medesima di McCormack di Lauri Volpi e pure di Merli, ultimo vero tenore drammatico italiano, che tu definisti tempo fa corto nonostante fosse in grado di sostenere acuti squillanti fino al do se non fino al do# nell’aria di Arnoldo che trovi tranquillamente online. In tutte queste cose è meglio ascoltare DeReszke svociato che non un qualsiasi basso d’oggi con la voce in caverna come Furlanetto o Lloyd.
    Quanto al brocardo attribuito a Schipa del “si canta come si parla”, ma che è patrimonio diffuso della vecchia scuola, credo che anche qui tu cada vittima di fraintendimenti.
    Certo, avulsa dal suo contesto può lasciare indurre che voglia dire quello che tu ricordi: “mancanza di sforzo, naturalezza, che caratterizza il parlare”. Sicuramente è anche questo, nel senso però che il bravo cantante è quello che non ti fa arrivare la fatica dell’impegno che ci sta mettendo; ma quando Schipa e altri dicono che si canta come si parla, intendono fare un discorso prettamente tecnico sulla posizione alta e avanti del suono. Quell’affermazione si capisce meglio se la si legge, come andrebbe fatto, con quell’atra delle famose cose piccole.
    Tutto il contrario di quello che fa Kauffman, il quale si rapporta al canto come l’Anticristo al Vangelo.

  18. Caro ET, concordo certamente su buona parte di quello che tu scrivi.
    Il mio riferimento a Schipa era esattamente nel senso tuo e voleva richiamare il paradosso cui ha condotto la prospettiva di Mancini: sostenere che in quel disco EdR applica il principio di Schipa (e di moltissimi altri!) a me pare sbagliato; credo si possa tranquillamente affermare che, in quel disco, EdR canta da dilettante (può essere l’effetto del declino e al limite della cocaina, di cui il nostro era forte consumatore: c’è un bell’articolo in The Opera Quarterly di qualche anno fa); e tutti converremo che il cantare da dilettante è ciò che è più lontano rispetto al principio di Schipa.
    Io, poi, penso di apprezzare le incisioni antiche esattamente nel senso in cui le apprezzi tu e le apprezzate voi: sotto il profilo estetico, in senso lato, e sotto il profilo tecnico. Ma con qualche differenza, rispetto a te e a voi, evidentemente: intanto io non penso che se il cantante in un disco non brilla, allora è colpa del disco: in questo senso ho una certa fiducia nelle registrazioni d’epoca, soprattutto se suonate su di un fonografo; e dato che io ascolto quasi soltanto vecchie registrazioni (e mi spingo raramente oltre gli anni ’30) non direi di essere sospettabile di intelligenza con i nemici del passato. A certe condizioni, però: purchè non si pensi e non si divulghi l’idea, che è una fola, che il passato (ad es. l’arco di tempo 1880-1910) fosse un tutt’uno e un tutt’uno dorato; non è corretto, io penso, per comodità di argomentazione, racchiudere il passato (anzi, uno spicchio del passato) in una bustina liofilizzata; se si fa questo si è antistorici, perchè si semplifica e si appiattisce laddove ci sarebbe da analizzare la complessità e da penetrare nei numerosi rivoli e sentieri. Un esempio: basta rileggere il meraviglioso libretto di Hahn sul canto per avere una deliziosa prospettiva della complessità cui alludo.
    Quanto alla tua affermazione, caro Tamberlick, per cui la tecnica di EdR è la stessa di LV o di Merli, io sono in forte dissenso. Innanzitutto perchè è questo ciò che mi trasmettono le mie orecchie; ma penso pure che LV si sentirebbe offeso ad essere paragonato, come metodo di canto, a EdR; ricorderai certamente, nelle sue Voci parallele, il disprezzo che emerge nei confronti di certi approcci e di certi stili (ad esempio Rubini).
    Io sono tutto meno che esperto di tecnica; dalla mia ho solo molti anni di ascolti e di riascolti e di letture e di riletture; e di qualche prova su di me, tanto per capire forse meglio, empiricamente, gli effetti differenti delle differenti tecniche. E, al momento (ma sono tra quelli disposti a cambiare idea), non credo che la tecnica sia una: cioè non credo che il mezzo fisiologico che porti alla emissione di un certo suono sia uno soltanto. Credo certamente che esistano i suoni corretti e non corretti (ogni suono che denota sforzo è scorretto, tanto per esemplificare); ma non penso che la strada per produrre un suono corretto sia una soltanto; molto, moltissimo è rimesso alla responsabilità del cantante, più che all’abilità del maestro. E poichè, da quando sono documentati dibattiti sul canto lirico, esistono polemiche sulla tecnica, la mia posizione, almeno in parte, trova qualche fondamento.
    Ancora qualche parola su EdR: intendiamoci: non avrei affatto apprezzato un post aprioristicamente orientato al suo sbeffeggiamento; ma non posso nemmeno accettare un post che non si sforza minimamente di mettere in luce il molto che proprio non va in questa voce; e allora la via secondo me più corretta sarebbe stata quella di analizzare l’ascolto alla luce delle cronache e delle critiche dell’epoca (non si può ignorare questa base documentaria). Lo ribadisco: un ragazzo o una ragazza che non conosca EdR ma che ad esempio conosca GLV e che ascolti “Infelice” e che legga l’Introduzione di Mancini, e che poi legga il tuo commento (LV=EdR, quanto alla tecnica) quale insegnamento ne può trarre, udendo suoni e produzioni sonore oggettivamente diversissime?
    Ciao

    • Diversissime Mauro? Ti ricordo che ci sono almeno 20 di innovazione tecnologica tra EDR e GLV e non sono pochi: torniamo a McCormack, senti le prime registrazioni dove la voce suona appannatissima rispetto a quelle degli anni ’30. Questo prova che il mezzo di registrazione non è tutto, ma la sua parte ce l’ha: è una delle variabili da tenere decisamente in conto e no, credimi, non siamo così cretini come ci vorresti, da dare sempre e solo la colpa al disco, cosa che trovo al limite dell’offensivo.
      Definire dilettante De Reszke, poi, trovo che sia asserzione peregrina se fatta ad uno dei bassi preferiti da Verdi. Poi dici giusto: questo signore era fin troppo balordo nelle abitudini per poter preservare l’organo vocale intatto. E questo mi va bene. Ma viene meno la qualità dello smalto, difficilmente viene meno l’imposto se l’hai bene acquisito – e per la famiglia da cui proveniva beh, penso fosse di buona scuola! Vedi Maria Callas nel concerto di addio. Ammesso poi che quella di DeReszke se ne fosse andata del tutto, visto che dei gravi così alti (perdonerai l’ossimoro) e perfettametne appoggiati, come fa notare papageno qui sotto, oggi non si sentono. Che poi il suo fiato fosse corto, va bene; ma dire che non ci cantasse sopra mi sembra anche questa onestamente cosa non corretta.

      Qanto alla tecnica. Purtroppo per ragioni anagrafiche non ho fatto intempo a mettere le mani sui libri di Lauri Volpi prima che andassero fuori catalogo. Non voglio metterlo in dubbio – io il libro non l’ho letto – ma è curioso che il tenore di Lanuvio criticasse lo stile di Rubini: a) senza averlo mai sentito (dacché Rubini morì nel 1854 mentre Giacomo nacque nel 1892) e b) avendo Lauri Volpi debuttato col nome di Giacomo Rubini in onore a quello.
      Comunque sia dici ne criticasse lo stile. Ma lo stile è una cosa che muta nel tempo e che ha un carattere storico. Non è invece essere antistorici dire che la base della tecnica di canto sia una ed unica e che tale debba rimanere, pena lo schifo cui vorrebbero farci abituare critici e sovrintendenti “de noantri”. Questa tecnica è fondamentalmente respirazione ed emissione del suono ricercando la corretta posizione e un suono alto, leggero e fermo (i suoni di DeReszke non sono fissi, sono fermi e si sente bene nonostante dovesse cantare chinato in un imbuto). Basta, e non è poco. Dire il contrario significa dare credito, tra i tanti, a quegli spacciatori di favole che propagandano la c.d. tecnica di affondo, piuttosto di quelli ci he spronano gli studenti a vibrare. Per tacer di quelli che sostengono ancora che occorra strizzar le natiche per fare gli acuti (scusatemi, ma questa cosa la ritengo demenziale, anche se so che qualcuno qui ne difese una certa utilità) o spingere verso il basso: cose utilissime per l’azione del mantice diaframmatico.
      Quindi non so che cosa abbia provato tu su te stesso, ma ti posso garantire che un suono scorretto dipende da tutte queste tecniche che insegnano l’artificio del suono piuttosto che la sua altezza e corretta emissione (mai sentito dire di “far la punta al suono”?), tecniche diversissime da quell’unica che se per difenderal mi si da dell’antistorico, beh, ne vado fiero.
      Penultima chiosa. Un suono scorretto suona sforzato. Non vale il viceversa: un suono sforzato può essere pacificamente corretto se per esempio siamo sull’acuto limite del cantante.
      Ultima chiosa. Il buon risultato dipenderebbe più dal cantante che dal maestro? Non sono d’accordo. Dipende da entrambi. Perché se lo studente non ha nessuno che gli insegna dove mettere la voce e soprattutto qualcuno che gli dica che quel suono è sbagliato, quello non impara a cantare. E non ci si improvvisa maestri.
      Oggi un giovane basso ceh ascoltasse DeReszke forse imaprerebbe che coprire eccessivamente il suono forse forse non va bene. Se non arriva da solo a capire perché i suoi acuti sono sfibrati.

  19. Ho trovato anche io molto interessante la critica di Grondona sulla critica di Mancini.
    Evidentemente anche io sono nella schiera di inudenti, visto che ho scritto di EdR “voce di basso vero, proiettata benissimo […], appoggiata sul fiato, omogenea in emissione e colore, acuti pulitissimi.”
    Ebbene, ribadisco tutto quello che ho scritto per un motivo: ho ascoltato da un punto di vista espressamente tecnico tutto il brano e non mi sono curato dell’espressione (che comunque derivano da qualche problema tecnico come alcuni finali all’inizio non sostenuti, i glissandi menzionati, le messe di voce maldestre, qualche suono aspro e fisso) ben conscio che si tratta di un cantante a fine corsa. Se vogliamo essere precisi, pur nelle sue pecche, io continuo a sentire la voce di basso vero, proiettata benissimo e appoggiata sul fiato, omogenea in emissione e colore con acuti facilissimi: infatti i si appresta a questi ascolti ben consci di “andare a vedere un Partenone”, ossia di vedere delle rovine e di provare ad immaginare cosa potesse essere. Sono ascolti per specialisti, mi duole dirlo.
    Preso evidentemente dall’emozione, Grondona asserisce “EdR è imitabilissimo anche dal dilettante, segno che non è affatto in regola, tecnicamente”, commento che è più simile ad una eresia che ad un commento serio per chiunque mastichi un po’ di tecnica vocale e ne abbia pratica, perché leggere che EdR non si curasse molto della tecnica – alla luce di una facilità simile di emissione – e dedurne che tutti possano imitarlo, è semplicemente una sciocchezza: ce l’evessero D’Arcangelo, Schrott, Furlanetto una proiezione simile ed una facilità nel grave come EdR ha a fine carriera – Kaufmann se la sogna proprio visto che ha la voce nei piedi, come si suole dire in ambito didattico senza offendere! Così come è una sciocchezza poter dedurre che un dilettante possa imitare gli errori di un cantante fuori corsa, che pur avrà le pecche ma decenni di palcoscenico ci sono!
    Mi spiace dirlo, ma questo è proprio un ascolto per specialisti e se porto ad ad orecchie poco avezze ad ascoltare e a far polemica invece, è un ottimo pretesto per far nascere zizzania di fronte ad oggettive carenze del canto stesso.

  20. Caro Tamberlick,
    con, spero, altrettanto garbo, qualche breve considerazione in replica.
    Il riferimento a GLV è semplicemente questo: in un punto del libro, p. 110, parla di emissione falsa, cioè mista, riferita a Garcia, Rubini, Nourrit. L’ho citato non certo per impostare un parallelo tecnico LV-EdR, ma solo per dire che, in disco, il LV del 1928-1933 suona ben diversamente da EdR; e non è questione di splendore dell’uno e declino dell’altro; si tratta di emissioni non paragonabili; come del resto non è paragonabile a LV la tecnica di un Jean de Reszke (il cui acuto nell’Africana è, alle mie orecchie, il più bell’esempio a noi pervenuto di nota c.d. di testa).
    Quello che tu dici su EdR mi trova in parte d’accordo: io non nego affatto che sia stato un grande cantante; nego che dall’ascolto di questo disco possano trarsi le conseguenze che ne ha tratto Mancini.
    Scrivere, come tu fai, che occorre andare alla ricerca di un suono alto, leggero, fermo, mi trova d’accordissimo; ma a te onestamente pare che, in disco, il lascito di Plancon sia paragonabile a quello di EdR?
    Sono anche d’accordo che la cosa migliore, nel disco di EdR, siano i suoni bassi (così alti, come dici giustamente tu), ma presentare questa esecuzione come un esempio di tecnica compiuta mi pare non possa essere condiviso. Ma allora vedi che anche tu stai procedendo per distinzioni: qui bene, qui no: è questo è esattamente fare analisi critica, fruibilissima e istruttiva per chiunque abbia sufficiente interesse e passione.
    Un’ultima parola sull’attendibilità tecnica: la mia opinione è che certi cilindri risultano più affidabili di certi dischi elettrici; alcuni cilindri Bettini (io ho in mente Voci di primavera cantato dalla Sembrich è fenomenale per lucentezza del suono) sono eccellenti; al contrario, tanto per stare al nostro carissimo GLV, i dischi del 1934 sono assai modesti, e di certo anche perchè lui era in evidente declino.
    Ma sarai d’accordo con me che il LV Fonotipia è molto diverso dal LV Victor; colpa del disco? ma non direi proprio: che lo dicesse LV è del tutto irrilevante, tenuto conto che, nella difesa a oltranza di se stesso, andava oltre ogni limite, ed in questo era il perfetto prototipo del tenore (nel male, ovviamente) nonostante quello che scrisse a proposito della nota teoria di Montale.
    Il LV del 1922 è tutt’altro dal LV 1925 ss. (sono tra quelli che collocano il discrimen nell’incisione Brunswick del brindisi della Cavalleria); sono voci diverse, che il disco, non perfetto nè nella prima nè nella seconda occasione ha comunque recepito e ci ha reso con una certa attendibilità.
    Il mio riferimento al “dare sempre la colpa al disco” non ha nulla di offensivo; ma non vedo molte alternative: prendiamo l’acuto di “piomba invece”: delle due l’una: o è un buon suono o è un cattivo suono; io non ho dubbi: è un pessimo suono. Se concordi, bisogna anche giustificare questo pessimo suono nel contesto di un pezzo che tu esalti quale fulgido esempio di tecnica; e allora dirai: è il disco che schiaccia la voce; é la posizione del povero Edoardo (alto, mi pare, più di 1.90) costretto a piegarsi per avvicinarsi e allontanarsi dall’imbuto a seconda che ci fosse da cantare o no un acuto; ecc. ecc. A me questa strada sembra debole, tutto qui, perchè mi trasmette un senso di paternalistica protezione per Edoardo, di cui credo non abbia proprio bisogno.
    Ho timore di quegli appassionati che arrivano al punto di difendere il proprio beniamino dalla critica; l’appassionato dovrebbe essere il primo critico; basta pensare ai danni che questo malinteso senso di protezione ha prodotto nei confronti di LV, che avrebbe meritato ben altro, in sede di analisi critica.
    Ciao

  21. Ciao Mauro, scusa se rispondo solo ora ma sono piuttosto indaffarato in questi giorni.
    Allora, cominciamo dal fondo. Il famoso acuto di DeReszke.
    Io parto da una semplice premessa: ci sono suoni brutti e ci sono suoni belli, ci sono suoni giusti e ci sono suoni sbagliati. Kaufmann – non per prendere sempre lui, come Kalimero, ma lo recupero in questo caso perché avevo notato l’esempio che segue – pare essere uno dei pochi tenori che rispetta il SIb in pp del fiore della Carmen. Eppure quel suono oltre che essere brutto è anche radicalmente sbagliato. Ed è brutto, perché è sbagliato. Nulla da dire sulla sua gestione del fiato in quel preciso instante. Però piuttosto che sentire un’aria tra le più belle mai scritte per tenore berciata da un orco siffatto, preferisco sentirmi Thill che canta il vocalizzo finale a piena voce regalandomi ogni volta un Don José di fine cesello, di voce chiara (non parlo della pasta timbrica) e via dicendo. Insomma: si sente che ha studiato con De Lucia.
    Quando ascoltiamo questa registrazione di De Reszke, io potrò sentire anche un suono cigolante, ammesso che si senta di più del po’ di fatica che percepisco io in “piomba invece il disonor”.
    Tuttavia io sento un suono che può magari essere imperfetto, ma lo sento cionondimeno appoggiato sul fiato magari per il rotto della cuffia, però si intende che il cantante sa che cosa deve fare o che cosa avrebbe dovuto fare. Capita di sbagliare, ma per un suono brutto, dietro al quale si può comunque intendere la tecnica, non si buttano bambino e acqua sporca; non si butta la valutazione complessiva del brano. Nelle registrazioni recenziori, Bergonzi calava di brutto: eppure io non mi sento di non indicare pure quell come “fulgido” esempio di canto aereo. Chi più di Bergonzi negli anni più recenti della storia del teatro lirico (adesso la sua storia pare essere finita…) aveva capito che cosa significasse cantare sul vituperato “zumpappà” di Verdi?
    Per concludere, credo che si possa dire che l’emissione del suono sia da manuale e non dilettantistica. Poi ci sono fiati corti, c’è della fatica un acuto e c’è un sospetto di fissità, che però è qui che credo la registrazione incida particolarmente. Ma le basi della tecnica, io le sento.
    Non ho mai potuto mettere le mani sui libri di GLV, ma credo che almeno in parte sfuggisse alla teoria di Montale. Sicuramente più di altri.
    La voce mista come falsa… beh ricordati che parla uno che riusciva a emettere un Re naturale tenendolo ad libitum, a piena voce e con voce maschia e che per lui era quasi una nota centrale…. Questa è una tara che bisogna sempre considerare qualdo si parla di Giacomino.

    Circa la diversa qualità dei cilindri invece passo la mano. Non ne so nulla: mi limito a comprendere che c’è una diversità di suono nei dischi credo elettrici degli anni ’30, dove se uno aveva la voce fissa si sentiva e non era frutto dei dischi dei primi del secolo che cedo ovattassero molto in fatto di armonici.

    Un’ultima. Ma come fai a giudicare l’acuto dell’Africaine nella registrazione di Jean De Reszke??

  22. Scusate se mi intrometto. Thill avrà pure studiato con De Lucia, ma i suoi acuti estremi erano spesso al limite del grido. Certo aveva una bella voce, ma la sua celeberrima incisone del Werther mi ha sempre gettato nello sconforto per mancanza di sfumature e “morbosità” romantica (che il personaggio, a mio avviso, esige) Già, ma come ho lamentato altre volte, su questo Corriere (sempre a mio avviso) non si dà abbastanza importanza all’INTERPRETAZIONE.
    http://www.youtube.com/watch?v=UJqY_0_QGAE

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