Commentiamo quanto uditosi ieri sera presso il teatro Regio di Torino con la voce bellissima di Celestina Boninsegna, interprete di spicco tra i soprani italiani del primo Novecento versati nel repertorio drammatico, per nostra fortuna ottimamente immortalata dal disco. Il suo metodo di canto non è un esempio di immacolata perfezione vocale, né di particolare genialità espressiva, tuttavia la voce si fa molto apprezzare per la qualità del timbro e la robustezza di emissione, soprattutto nello sfolgorante registro acuto, oltre che per la scorrevolezza della resa musicale. Il brano qui proposto mette alla prova innanzitutto la consistenza della voce nelle note più gravi della gamma, e sentiamo che il suono è sempre timbrato, chiaro, proiettato, mai imbolsito in gola. E’ presente però una marcata disomogeneità sul primo passaggio di registro, che a mio giudizio dovrebbe essere leggermente anticipato. La cantante infatti non si preoccupa affatto di alleggerire un po’ quei forti suoni di petto su cui risolve la propria gamma fino al fa centrale (esempi: “stelo divulsA”, “mente convulsA”), nota su cui sarebbe opportuno, anche per evitare accenti musicali impropri, emettere suoni più discreti. Posticipare il primo passaggio inoltre fa sì che le prime note nel medium risultino assai deboli e velate, configurandosi il tal modo il proverbiale “scalino”. In seconda ottava la saldezza di appoggio e la purezza dell’emissione producono suoni di grande intensità e bellezza. Sentire con quale forza e saldezza avviene la salita al si naturale di “m’affisa e terribile sta”, mantenendosi l’emissione sempre raccolta, priva di sguaiataggini e sfilacciamenti. Magistrale poi la gestione del fiato nelle ascendenti frasi finali che conducono prima al la naturale e poi al do, ed impressiona come la voce, ben legata, salendo in acuto riesca a spandersi prodiga di vibrazioni e a sfogarsi tutta, squillantissima, senza segni di cedimento.
G.B. Mancini
la fama della boninsegna è infatti legata alla voce molto fonogenica, a differenza di una mazzoleni e di una russ. quest’ultima il maggior soprano italiano del genere drammatico d’agilità!
Ascolto molto interessante. Peccato per il disordine del solfeggio. Certo, la voce suona proprio divisa in due, ma il registro acuto è limpido e squillante e suona davvero bene nonostante le tecniche di registrazione dell’epoca.
In ogni caso, sicuramente meglio avere una voce un po’ disordinata in basso ma sicura e baldanzosa in alto che non una voce fintamente risonante perché molto chiusa in basso e al limite dell’urlo in alto.
Ciò detto, anzi scritto, quest’aria è un capolavoro sommo; non mi stanco mai di ascoltarla.