Andrea Chenier alla Verdi di Milano: bravo Bignamini !

Secondo la vulgata, riaffermata anche in calce alle nostre riflessioni sull’esecuzione fiorentina di Israele in Egitto,  quelli del Corriere della Grisi devono uscire insoddisfatti da ciascun spettacolo operistico cui assistono, salvo che non si esibiscano quei pochi che costituiscono  i loro “beniamini” che la sempre attenta vulgata va ricercando. Sbagliato come sempre. Esattamente come è sbagliato che quelli del corriere della Grisi pensino, al pari di beceri ed antiquati pubblici solo al canto, senza interesse alcuno per la qualità musicale ed ancor più per la parte visiva degli spettacoli.
Ieri sera tre cosiddetti grisini hanno ascoltato una encomiabile esecuzione di Andrea Chenier per quel che concerne la parte orchestrale e direttoriale. L’hanno, quel che più rileva, ascoltata a Milano. Naturalmente non al teatro alla Scala ed in primo luogo hanno potuto rilevare come gli applausi fossero ben più sonori e scroscianti di quelli che tre o quattro sere prima avevano accompagnato la prima della Manon di Massenet.
Si esibiva l’orchestra Verdi, che in quel di Milano senza sfiorare minimamente le sovvenzioni non solo economiche di cui gode quella scaligera suona tre , quattro sere a settimana il repertorio sinfonico più vario ed esteso e che trae ampio profitto da questa circostanza. Alle prese con una partitura operistica che, come molte coeve coniuga sublime e chic e che, soprattutto, sembra  attentamente richiamare in scena come in orchestra tutti i topoi dei titoli allora più amati e diffusi esibisce una qualità di suono in ogni settore, una sicurezza negli attacchi oggi impensabili nel massimo teatro milanese. Non si sono sentite sbavature o incertezze  nei momenti più truculenti come il finale secondo o l’intera scena del processo, addirittura finezze ed eleganza in tutti i momenti drammatici come l’incipit del secondo atto,  l’ingresso di Maddalena nello studio di Gerard o l’episodio, spesso al limite del ridicolo della vecchia Madelon. Insomma Andrea Chenier reso con quella necessaria irrinunciabile prosopopea populistica  e con quel sentimentalismo che costituiscono le irrinunciabili cifre del capolavoro di Giordano, che pone l’ascoltatore davanti al dilemma “prendere o lasciare”. Aggiungo che quando la cornice orchestrale è centrata come quella di ieri sera il pubblico e non solo i grisini  prendono incondizionatamente. E applaudono.
Il merito per una simile compiuta realizzazione va al direttore d’orchestra e qui l’ approvazione deve crescere quando si considera che il maestro Jader Bignamini è, in primo luogo, il preparatore dell’orchestra ed in tempi brevi ha rimpiazzato il titolare Aldo Ceccato . E come lo abbia fatto deve essere detto con chiarezza di gesto, sicurezza assoluta nel  guidare l’orchestra ed il coro, che non hanno mai avuto sbandate ed incertezza alcuna ed anche momenti veramente entusiasmati come abbiamo segnalato poche righe sopra. Il paragone con gli scivoloni, che patentati e potentati direttori hanno posto in essere durante la stagione corrente e le passate nel massimo teatro in titoli simili per difficoltà e problematiche devono costituire elementi di seria riflessione almeno per il pubblico  che ogni giorno un poco più numeroso sembra non desiderare più i “quattro salti” del teatro scaligero. Vale la pena andare a sentirlo alle repliche.
Arriviamo, poi, alla compagnia di canto che contemplava  la presenza di due cantanti Alberto Gazale e Marcello Giordani di grande carriera nei ruoli di Gerard e del protagonista. Qui siamo nella media diciamo scaligera. Alberto Gazale vorrebbe essere il trucido, sessualmente assatanato  Geradr della più verista tradizione, ma per farlo occorrono in primo luogo lo strumento privilegiato di un Bechi, di un Cappuccilli e di quest’ultimo la saldezza ed il controllo della respirazione. In difetto il risultato è insufficiente e può diventare una parodia perché nell’esecuzione dell’aria più famosa del baritono il cantante sardo a metà dell’aria ossia prima dell’attacco di “io della redentrice figlio” e la stanchezza rende difficile  l’esecuzione dei passi, che cominciano con “io qui t’aspettava” quando arriva l’innamorata, non di lui, Maddalena. Gli acuti suonano sistematicamente spinti e se la frase richiede esecuzione legata  l’intonazione  è, eufemisticamente parlando, peregrina.
Vizio questo condiviso con Marcello Giordani, che della vocalità del sognante ed anche retorico poeta ha soltanto gli acuti. Giordani viene dalle fila dei tenori contraltini da repertorio romantico, da qualche anno frequenta talune parti del repertorio verista e novecentesco come Calaf, che richiedano squilli in alto. Ma lo squillo sul si bem o sul si nat non basta per essere Calaf come non basta per essere Chenier. Giordani suona sordo al centro e vuoto in basso stenta a legare quando la scrittura sia bassa o centrale, circostanza che “riguarda tutti gli assoli del protagonista a partire  dall’improvviso sino “come un bel dì di maggio” ossia alle strofe dell’Ossian giordaniano, con particolare riferimento alla perorazione del “si fui soldato” portata a termine con difficoltà e grazie al sostegno della bacchetta. Si ha l’impressione che gli acuti squillanti non siano “girati” per tecnica, ma per caso tanto è che la voce è rotta in un primo troncone afono e senza colore ed in un secondo voluminoso, ma per nulla duttile e realmente squillante.
Le cose sono andate meglio con la protagonista femminile Natalie Bergeron giovane  e prosperoso soprano, che esibisce un buon timbro di soprano lirico salvo un evidente scarso sostegno della voce che, per dirla gergalmente, “ha l’aria” e che intacca il legato soprattutto e la capacità di flettere e modulare la voce, che presenta anche al centro asperità .
Afona o quasi la Madelon di Susanna Calanna, ma in questa scena, ripeto, era l’orchestra che cantava e commentava l’episodio, meglio la Mulatta Bersi di Valeria Sepe e da voci nuove di Castrocaro la Contessa di Coigny di Lara Rotili,  cavernoso  Matti a Denti nel ruolo di Roucher.
Lo ripeto un trionfo, meritatissimo per direttore ed orchestra.

5 pensieri su “Andrea Chenier alla Verdi di Milano: bravo Bignamini !

  1. Tra i tre “grisini” presenti, c’era pure il sottoscritto (come quasi sempre all’Auditorium, essendo, da tempo, abbonato più che soddisfatto). Condivido, naturalmente, la recensione di Giulia: una bellissima interpretazione del capolavoro di Giordano, da parte di un’ottima orchestra che “non si vergogna” di affrontare – insieme a Mahler, Shostakovich, Schoenberg o Berlioz – una delle creazioni più celebri (e popolari) del verismo italiano…e lo fa credendoci, a dimostrare che la musica (tutta la musica) è brutta e volgare solo quando viene mal eseguita. Già ho parlato – in tante occasioni – della bravura dell’Orchestra Verdi e di quanto sia cresciuta (tanto da essere, ormai, una certezza nel panorama musicale milanese) e quindi non sto a ripetere gli elogi…solo due parole sul Maestro Jader Bignamini: formatosi come clarinettista ha affrontato l’impegno di direttore d’orchestra con eccezionale musicalità, raffinatezza e preparazione. Prima Direttore Assistente nell’Orchestra Verdi (e quindi “preparatore” della compagine per i direttori ospiti – ha curato l’integrale mahleriane della stagione 2010/11) poi Direttore Associato è sempre più presente in cartellone (ha sostituito – in questo Cheier – l’inizialmente previsto Aldo Ceccato e – non me ne vogliano i suoi estimatori – credo sia stato meglio così). Ricordo un episodio che mostra chiaramente la professionalità e la bravura del Maestro Bignamini: l’anno scorso ero in Auditorium per ascoltare la Quinta di Mahler…dopo la prima parte del concerto (il “Rendering” di Berio su temi di Schubert) il Maestro Zhang Xian (direttrice principale dell’Orchestra Verdi), a causa di un piccolo malore ha dovuto lasciare il podio. E’ subentrato Bignamini proprio per la Quinta mahleriana…affrontata con una tale sicurezza e preparazione ( soprattutto empatia con l’orchestra) da lasciare meravigliati. Ecco, questi sono i talenti veri…non certi bambocci sponsorizzati o raccomandati!

    Sulla compagnia di canto nulla da dire, a parte la prova di Gazale, che non ho trovato così negativa, atteso che Gerard non è l’Assur di Semiramide e che, dunque, una certa plateale veemenza e l’indulgere nell’effetto anche brado, non disturbano affatto…insomma si è sentito ben di peggio da parte di baritoni spacciati, oggi, per interpreti irrinunciabili. Giordani, in effetti, possiede solo gli acuti e, se pure la prima aria “passa” senza incidenti, le altre sono molto problematiche (credo, però, ci fosse qualche problema di salute). La Bergeron è stata efficace, pur con i problemi indicati da Giulia. Alla fine una bella serata…ripeto, a Milano il posto peggiore dove ascoltar musica è proprio il Teatro alla Scala.

  2. Ho assistito ieri allo spettacolo ed è stata una piacevole sorpresa. Bignamini bravissimo, meritebbe di dirigere nei teatri più importanti. Sugli interpreti condivido abbastanza. Giordani ha bello squillo in alto ma è in difficoltà sul medio e sul medio-grave (comunque a me personalmente piace). La Bergeron non la trovo molto espressiva e la sua voce non è di eccezionale bellezza. Invece Gazale (mi riferisco ieri sera) è piaciuto: lo avevo ascoltato solo un’altra volta nel Nabucco e la prestazione di ieri, a mio modestissimo parere, è stata migliori. Sui comprimari ci sarebbe qualcosa da ridire…

  3. Dimenticavo: anche se le opere in forma di concerto, prive quindi della componente scenica, mi lasciano sempre un po’ preplesso, devo dire che la serata di ieri è stata nettamente superiore alla Manon scaligera.

  4. “Bignamini bravissimo, meritebbe di dirigere nei teatri più importanti”…d’accordissimo sulla bravura di Bignamini (come ho già scritto), ma, francamente, mi auguro non venga fagocitato da quei “teatri importanti”, perché “importanti” lo sono solo di nome: preferisco vederlo con un’orchestra come la Verdi, affrontare un repertorio vasto, preparare un anno l’intero ciclo mahleriano e l’anno dopo quello di Dvorak o Shostakovich, preferisco sentire l’affiatamento che si costruisce in un percorso lavorativo comune attraverso la costruzione di “un suono” durante tante prove…perché mai ridursi a dirigere i complessi svogliati e poco professionali, che popolano certi teatri d’opera? 😉

    • Per carità, non vovelo pensavo questo. Chiarisco quello che volevo dire: l’Auditorium è un palcoscenico di tutto rilievo per la musica sinfonica (e non solo), che tuttavia non gode della considerazione riservata ad altre istituzioni (es. Scala, Arena di Verona, Auditorium di Santa Cecilia, ecc.). Un direttore valido come Bignamini, tra l’altro giovane, che a una persona che segue queste cose come me era poco più di uno sconosciuto, meriterebbe una “ribalta con più luci”. In un Paese come il nostro in cui si parla sempre del talento dei giovani che non viene mai messo in luce e dove spesso viene sbandierato come genio dell’anno il protégé di turno, Bignamini meriterebbe più attenzione. Vedremo se qualche giornalista, magari di quelli che spesso “gridano al genio”, riporterà il successo dello spettacolo all’Auditorium.

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