Verdi Edission: Ernani

Ernani rappresenta una tappa importante nel percorso compositivo di Verdi, sia dal punto di vista della tipologia di dramma, in quanto primo titolo del genere  “cappa e spada”, sia per il modello distributivo delle voci perfezionato, verdiano more (e poi diremo perché), in questa occasione, destinato ad avere larga adozione negli anni successivi.Come sempre nessuna pretesa o presunzione di trattazione da musicologo, che lasciamo appunto a quella categoria, ma solo quella di qualche spunto di riflessione da aggiungere a  quelli già proposti in sede di Ernani a 78 giri, sempre della Verdi Edission, dedicato, appunto, all’aspetto vocale dell’opera.

La fonte letteraria è l’Ernani anzi Hernani di Victor Hugo, archetipo di nuovo dramma teatrale rappresentato nel 1830, che ebbe successo immediato e duraturo al tempo stesso. Un successo legato non soltanto alla qualità intrinseca dell’opera ma alla riforma dei modi del teatro tragico, che, finanziato ed incentivato dallo Stato, si allestiva nel tempio del teatro: la Comédie Française, storicamente dedicata alla rappresentazione della tragedia. La tragedia coturnata, che inscenava il mito (magari in versione cristiana) sopravvissuta sino alla fine della stagione napoleonica, doveva cedere il passo alla storia, ancorchè romanzata. Agli dei si sostituivano gli uomini, ancorchè nobili e sovrani. Era l’inizio della strada, che, in tempi brevissimi, avrebbe portato sulla scena ogni creatura di ogni estrazione sociale sino ai Miserabili. E siccome il teatro scendeva dall’Olimpo, ma per il momento non arrivava alla strada, l’uomo di Hugo era ancora ben lungi da qualsiasi realismo e, men che meno, verismo. Hugo inventò, perché di invenzione si trattava, un dramma di amore ed onore tra nobili e sovrano, con lo sfondo storico della Spagna cinquecentesca. Facile ravvisare l’analogia prima ideologica, che musicale con il nascente Grand-Opéra.Nonostante l’indiscussa solennità ed aulicità di quei personaggi con il dramma di Hugo un altro elemento si aggiungeva sulle macerie delle tre unità aristoteliche del dramma ovvero il succedersi incalzante di azioni, talora irreali ( l’imperatore nascosto in un armadio, analogo a Raoul, che assiste celato dietro i tendaggi alla congiura cattolica ed, infine, si getta dalla finestra!), intenzionali cambi di scena e di luogo, architetture e paesaggi diversi, a cornice di un intreccio amoroso-politico in cui tre uomini agivano attorno ad una sola donna ambita da tutti.  Un’altra piece teatrale sempre di Hugo presenta analogo carico di coup de théâtre, ovvero Lucrezia Borgia. In sintesi il dramma di Hugo si rivela un sontuoso e congruo pretesto per consentire l’espressione (e, poi, il canto) dei sentimenti dei protagonisti, tutti accomunati dal tratto della nobiltà. A conferma della novità e dell’immediato interesse che un tale soggetto, ma in fondo tutto il teatro di Hugo seppe suscitare consideriamo che, già nel 1830, Bellini, alla ricerca di un soggetto per adempiere il contratto che lo legava al Teatro Carcano pensò proprio ad Ernani, testo che conobbe la prima trasposizione musicale nel 1834 ad opera di Gabussi, autore allora piuttosto popolare, oggi ricordato per essere il marito di un famoso soprano: Rita Gabussi, appunto.

Il dramma storico di Hugo, divenuto famosissimo, con la propria azione mozza fiato e l’altissimo tasso tragico conquistò facilmente anche Verdi alle prese con la stesura del libretto poco convincente di Allan Cameron. La proposta sostitutiva della Fenice venne accolta con grande entusiasmo perché Verdi, benchè chiamato a collaborare con un librettista debuttante come  Piave (1810-1876), vedeva nel testo di Hugo un soggetto già pronto che necessitava di una semplice “riduzione”.Basta leggere molta della corrispondenza verdiana con i propri librettisti (schiavi?) per trovare costante la parola SINTESI. Invocata, richiesta ed imposta perché per il maestro era lo strumento essenziale per l’azione sempre tesa e drammatica e per evitare le lungaggini, che la scrittura vocale e l’estetica belcantistica ammettevano ed anzi imponevano. Era vero che, operando sul testo di Hugo, bastava qualche taglio perché la drammaturgia era già tutta contenuta nel testo. Anche se va precisato come il taglio del duo Piave-Verdi incontrasse l’ostracismo proprio dell’autore del dramma, che impose, per la prima agli Italiani (6 gennaio 1846 con Teresina Brambilla, Malvezzi, Ronconi e Deviris) il mutamento del titolo  nell’anonimo “Il proscritto, ossia il Corsaro di Venezia”. Anche Verdi portò la sua dose di novità nella distribuzione dei ruoli, guidando come suo costume il librettista verso i propri obiettivi. La storia della redazione del libretto da parte di Piave, infatti, rivela i riferimenti musicali rispetto ai quali Verdi si mosse nella creazione di Ernani e la sua nota attenzione al dramma, come mai sino ad allora un musicista aveva fatto. Il testo non poteva fungere in alcun modo da pretesto per il canto, ma doveva, al contrario, essere parte integrante della musica con l’obiettivo di fare teatro musicale, ossia dramma in musica.

Sarebbe più esaustivo dire un dramma donizettiano riveduto e corretto da Verdi. L’avventura di Ernani prese l’avvio da un’idea abbastanza convenzionale e già rodata dai suoi predecessori. Al momento della firma del contratto col teatro Verdi accettò di impiegare il contralto Carolina Vietti quale protagonista, idea, che era stata di Bellini che nel 1830 aveva pensato a Giuditta Pasta per il ruolo protagonistico mentre Don Carlo avrebbe dovuto essere un tenore, Elvira un soprano e Silva un baritono. Di lì a pochi mesi, superata l’idea arcaica del contralto en travesti, la direzione del teatro offrì a Verdi la disponibilità di un tenore anche per la parte del protagonista. La presenza di due tenori protagonisti, agli inizi degli anni ’40 richiama una distribuzione dei ruoli ancora concepita sugli stilemi del Rossini napoletano e da tempo estranea alla pratica dei teatri italiani. Le difficoltà ad individuare i cantanti idonei portarono per i quattro protagonisti alla definizione, che oggi conosciamo, con Silva che da basso comprimario divenne un primo cantante, Carlo un baritono, i due tenori ridotti ad uno solo.Tante le difficoltà incontrate: reperire il protagonista idoneo (poi Carlo Guasco), avere un Silva primo cantante, far “digerire” alla primadonna scritturata, Sofia Loewe, che l’opera non si chiudesse con un suo rondò, bensì con un terzetto. Si delineò di fatto un quartetto di voci che sino a quel momento era stato possibile assemblare soltanto a Parigi, al Des Italiens, con i Puritani di Bellini, il Marino Falliero o il Don Pasquale di Donizetti. Al massimo in quegli anni le opere con quartetto protagonistico prevedevano due donne e due uomini, come accade nel Giuramento di Mercadante (1840), nella Padilla (1841) o nella Rohan, versione definitiva (1844) ed anche nell’Oberto (1839). Sono, però,  le pretese di Sofia Loewe, i tre, o almeno due amorosi (perché Carlo V oscilla fra corona e giustacuore), elementi di riflessione sulla presenza di aspetti della tradizione, rivisitati e riproposti da Verdi. E certamente le maggiori dicotomie riguardano proprio Carlo V. Il baritono che non è più solo un sovrano alle prese con dei congiurati, ma anche un antagonista in amore. L’imperatore innamorato è la figura principale, a mio avviso, o comunque quella più forte ed articolata sul piano teatrale e  vocale, che si impone, se il cantante è all’altezza della parte, su certi aspetti convenzionali presenti in Ernani ed Elvira, a maggior ragione nel monolitico Silva. Al di là di certe romantiche assurdità della trama e di certe situazioni poco chiare, che nel libretto derivarono dalla riduzione del testo di Hugo, Don Carlo attraversa l’opera cantando l’amore, l’autorità regale, lo sdegno ed il disprezzo, la sfida, la gelosia, il ricordo della giovinezza scomparsa sotto il peso del dovere, persino la storia dell’impero. Verdi non disponeva dalla sua stella, Giorgio Ronconi (don Carlo a Parigi), ma l’esperienza fatta con lui all’epoca del Nabucco lo spinse a comporre per Superchi una parte molto complessa, di vocalità pienamente baritonale come modernamente siamo soliti intenderla, ossia scrivendo nella zona degli acuti del vecchio “basso cantante”. Ma la definitiva configurazione e consacrazione del baritono non è il solo elemento di novità. Anzi è un accidente della sostanza, che nasce dalla dramma originale. In nessun titolo coevo da Mercadante al tardo Donizetti (di Rohan, Padilla e Poliuto) i personaggi  si scontrano con tanta forza come in Ernani. In Ernani tutti si scontrano con tutti e per tutte le ragioni. Personali o politiche. Gli uomini per la bella Elvira (dona Sol di Hugo con un chiaro riferimento nel nome della protagonista al funzionamento del sistema solare): Ernani e don Carlo all’atto primo, poi don Carlo e Silva, ben due volte Silva contro Ernani ed anche Ernani e Silva contro don Carlo. Non è da meno Elvira  che quanto meno tiene testa agli uomini a partire dall’apostrofe “fiero sangue d’Aragona”, che gela le velleità erotiche del re per finire al “figlia d’un Silva io sono”. E poi lo scontro politico e poi lo scontro ed il conflitto contro se stessi. Si pensi allo slancio autolesionista di Ernani sia nella frase “odio me stesso e il dì” o in quello nei sotterranei di Aquisgrana in cui si rivela duca e, come tale, pretende pronta e violenta morte.  Mai sino ad allora era accaduto. Logica conseguenza che un siffatto testo grondante dramma importasse novità assolute sotto il profilo musicale. I soli amorosi infatti hanno al loro attivo la tradizionale cavatina di sortita. Gli altri personaggi o entrano in scena con infuocati recitativi (Silva) o don Carlo con duetti di apparente amore (perché parla da solo d’amore, vista la risposta di Elvira). Non solo, ma un dialogo fatto di iperboli impedisce anche duetti e terzetti nel senso tradizionale del termine (per intenderci quelli che avevano cantato soprani e tenori di Donizetti e canteranno ancora soprani e tenori o soprani e baritoni del Verdi successivo a partire dai membri della famiglia Foscari). Basta esaminare il “da quel dì che t’ho veduta” che si trasforma da duetto d’amore a duetto di sfida soprano-baritono e subito in terzetto  con l’apostrofe “tu sei Ernani”. Analogo procedimento drammatico e musicale nel secondo atto  dove il terzetto Silva-Elvira-Ernani inizia con l’assolo di Ernani per arrivare al finale terzo (di fatto l’atto di don Carlo) con una struttura che dilata al massimo quella dell’aria con pertichini. Insomma ammiriamo il canto oratorio e solenne della grande tradizione, ma solo quello perché i personaggi sono calati in un vortice drammatico, assolutamente estraneo alla tradizione. Ecco, al di là della felicità di molte pagine, il paradosso ed il fascino di Ernani: un titolo che deve la propria fama e la propria sopravvivenza all’apparente legame con la grande tradizione, ma che, al contrario, esaminato oltre la superficie aveva già perso ogni legame con la tradizione medesima.

 

Gli ascolti

Giuseppe Verdi

Ernani

PreludioMetropolitan Opera Orchestra, dir. Dimitri Mitropoulos (1956)

Atto I

Evviva!…Beviamo!…Mercè diletti amici…Come rugiada al cespiteCarlo Bergonzi, dir. Thomas Schippers (1962)

Surta è la notte…Ernani, Ernani involami Anita Cerquetti, dir. Dimitri Mitropoulos (1957), Martina Arroyo, dir. Thomas Schippers (1970), Ilva Ligabue, dir. Oliviero de Fabritiis (1972)

Fa che a me venga…Da quel dì che t’ho vedutaGiuseppe Taddei & Caterina Mancini, dir. Fernando Previtali (1950), Mario Zanasi & Rita Orlandi-Malaspina, dir. Nino Sanzogno (1967)

Non t’ascolto…Tu se’ Ernani Cornell MacNeil, Leontyne Price & Carlo Bergonzi, dir. Thomas Schippers (1962)

Che mai vegg’io!…Infelice! e tuo credevi…Infin che un brando vindiceCesare Siepi, dir. Fernando Previtali (1958)

Uscite!…Vedi come il buon vegliardo…Io tuo fidoCarlo Bergonzi, Leontyne Price, Cornell MacNeil, Giorgio Tozzi, Robert Nagy, Roald Reitan, Carlotta Ordassy, dir. Thomas Schippers (1962)

Atto II

Esultiamo! Letizia ne inondi Coro del Teatro alla Scala, dir. Riccardo Muti (1984)

Jago, qui tosto…Oro, quant’oro ogn’avido…Ah, morir potessi adesso…No, vendetta più tremendaEzio Flagello, Franco Corelli, Martina Arroyo, dir. Thomas Schippers (1971)

Cugino, a che munito…Lo vedremo veglio audace…Vieni meco, sol di rose…Esci! A te! Leonard Warren, Cesare Siepi, dir. Dimitri Mitropoulos (1956), Mario Sereni, Cesare Siepi, Mario Del Monaco, Costantina Araujo, dir. Fernando Previtali (1958)

Atto III

E’ questo il loco?…Oh, de’ verd’anni miei Cornell MacNeil, Robert Nagy, dir. Thomas Schippers (1962), Mario Zanasi, Vittorio Pandano, dir. Nino Sanzogno (1967)

Ad augusta!…Si ridesti il Leon di Castiglia Mario Del Monaco, Boris Christoff, Aurelian Neagu, Coro del Maggio Musicale Fiorentino, dir. Dimitri Mitropoulos (!957)

Qual rumore!…O sommo CarloGiuseppe Taddei, Gino Penno, Caterina Mancini, Giacomo Vaghi, Vittorio Pandano, Ezio Achilli, Licia Rossini, dir. Fernando Previtali (1950), Leonard Warren, Mario Del Monaco, Zinka Milanov, Cesare Siepi, James McCracken, George Cehanovsky, Helen Vanni, dir. Dimitri Mitropoulos (1956)

Atto IV

Oh, come felici…Cessaro i suoni Carlo Bergonzi & Leontyne Price, dir. Thomas Schippers (!962)

Tutto ora tace…Solingo, errante, misero…Ferma, crudele, estinguereCarlo Bergonzi, Ruggero Raimondi, Martina Arroyo, dir. Thomas Schippers (1971), Franco Corelli, Ruggero Raimondi, Ilva Ligabue, dir. Oliviero de Fabritiis (1972), Carlo Bergonzi, Ruggero Raimondi, Leyla Gencer, dir. Gianandrea Gavazzeni (1972)

2 pensieri su “Verdi Edission: Ernani

  1. Molto bello il modo in cui sono espresse le peculiarità dell’opera, un bel viaggio insieme a Ernani che si conchiude sugli ascolti.
    A mio avviso il Bergonzi, pur con tutti i limiti se lo si viviseziona, su Verdi non ha mai temuto rivali.

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