La voce di Rosa Raisa tra quelle femminili del primo Novecento è senz’altro una tra le più interessanti, sia in quanto rappresentante della corda di soprano drammatico d’agilità in epoca pre Callas, sia in quanto discendente dalla gloriosa scuola del belcanto italiano, avendo lei studiato a Napoli con il contralto Barbara Marchisio. Voce potente e di timbro purissimo, non è esente da taluni difetti di cui ignoriamo se derivassero proprio dagli insegnamenti della maestra, o se invece si siano sviluppati in seguito. In questa registrazione del Casta diva, sentiamo subito nella prima frase una emissione pura – non a pochi darà fastidio – completamente galleggiante sul fiato, alta, chiara, cristallina. La fonazione è leggerissima, affidata completamente allo scorrere dell’aria sonora, senza aggiustamenti operati mediante contrazioni di gola, e questo consente un legato aereo, purissimo. La voce quasi si rompe sul fa in prima ottava a 00:14, alimentato mediante un alito di fiato leggerissimo, quasi inconsistente: è l’equilibrio delicatissimo del canto sul fiato. Impressionano queste vocali nette, le “i” molto “a punta”, l’attacco sulla A così netto, senza artifici. Si può muovere qualche appunto su certi suoni aperti, la O di “a noi vOlgi” per esempio, nella zona del secondo passaggio, suona un poco abbandonata, dovrebbe essere più coperta, qui somigliando troppo ad una A. Oltretutto è una pratica questa di aprire le O assai rischiosa per l’integrità della voce, e può compromettere la salita agli acuti. L’articolazione delle consonanti, com’era vezzo dei cantanti dell’epoca, è un poco esasperata, ad esempio “inargenti” diventa “inargeneti”, oppure “il bel sembianete”, e questo vezzo produce in zona centro grave uno sgradevole “birignao”. Per inciso molti suoni in basso mi sembrano schiacciati, a bocca stretta, ma non sempre. Notevoli i trilli graniti, e le due puntature all’acuto, al termine dell’aria, dove sentiamo suoni di una sonorità bellissima, delicata, morbida e lucente. Apprezzabile la continenza espressiva e la nobiltà dello stile e dell’accento.
G.B.Mancini
sul finale dopo il trillo( ben fatto) mi sembra un po calante