Durante il mio soggiorno berlinese, oltre all’esecuzione concertante del Tristan, mi sono regalato due serate verdiane alla Deutsche Oper, scelte particolarmente per due cantanti che dovevano esibirsi come protagoniste delle opere rispettive, ossia Krassimira Stoyanova quale Luisa Miller e Lyudmila Monastyrska quale Lady Macbeth.
L’allestimento di Luisa Miller è una ripresa poco riuscita della produzione firmata dal leggendario Götz Friedrich. Almeno, si vorrebbe credere che sia la colpa della ripresa malfatta che né la Personenregie né la scenografia moderna (in sé molto più sensata e meno banale dei soliti villaggi alpini) abbia veramente funzionato, riducendo tutto ad una fila di movimenti ed azioni poco credibili ed a tratti anche ridicoli.
Il 18 marzo l’orchestra è stato solidamente diretta da Paolo Arrivabeni. Pur avendo iniziato non benissimo nel preludio dove gli strumenti hanno impiegato un po’ di tempo a scaldarsi e a trovare sia la compattezza sonora che una vera disciplina ritmica, Arrivabeni si è dimostrato un ottimo accompagnatore per la scelta sempre ad hoc sia dei tempi che del volume orchestrale e della dinamica sostenibile da parte dei singoli cantanti. Ben condotti anche i vari pezzi d’assieme.
Sulla carta le tre uniche recite previste di questa Luisa Miller promettevano ancora poco tempo fa non solo la brava Stoyanova, ma anche due altre stelle del canto verdiano, ossia Marcello Alvarez e Leo Nucci. I due signori avendo dato forfait, sono arrivati a sostituirli il tenore georgiano Zurab Zurabishvili ed il baritono italiano Gabrielle Viviani. I due bassi, Orlin Anastassov quale Conte e Arutjun Kotchinian quale Wurm erano identici a quelli sentiti nella Luisa Miller di quasi due anni fa a Parigi, sempre con la Stoyanova protagonista. Anastassov ha la solita voce da basso sonora, ma ingolata al centro ed indietro e difficilmente udibile in alto. Arutjun Kotchinian sembra una parodia del primo Burchuladze, ma risulta un poco meglio rispetto a due anni fa. Tenore della provincia tedesca, Zurabishvili ha cantato con una voce tutta spinta, mai libera, fraseggio volgare e legato inesistente. Già in difficoltà nel veemente recitativo alla sua aria, ha cantato mezzo naufragato per il resto della serata. Gabrielle Viviani quale papà Miller, presentato da Friedrich come un veterano inchiodato su una sedia a rotelle (idea di per sé abbastanza interessante), fa mostra di una voce eccessivamente metallica, anch’essa in difficoltà in alto. Molto meglio nel terzo atto in compagnia della Stoyanova che nell’aria energica del primo atto. Federica è stata incarnata dal nuovo “acquisto” nella sezione “giovani talenti” della Deutsche Oper, la francese Clémentine Margaine che sarebbe anche un mezzo autentico ed avrebbe una voce dal volume o colore notevole, se il modo di emetterla e condurla non fosse privo di qualsiasi coerenza. Nell’intera serata abbiamo nel complesso sentito solo due o tre note buone al centro. Il resto è presupposizione ottimistica.
Krassimira Stoyanova. Temevo di non essere deluso dopo la bellissima Luisa che mi aveva regalata a Parigi, ma la solida professionista e brava musicista che è, ha ancora una volta dimostrato di essere la migliore Luisa oggi come oggi. L’abisso che c’è tra gli altri membri del cast e lei come professionista ed artista è apparso con tutta evidenza nel quartetto del secondo atto tra Luisa, Federica, Wurm ed il Conte che sarebbe finito in un disastro se non ci fosse stata la Stoyanova a guidare con matematica precisione e facilità i tre colleghi ingolati, spoggiati e dall’intonazione poco affidabile.
Durante la serata si sono però ripetuti anche gli aspetti meno piacevoli della sua prestazione – prima aria parcamente picchettata ed a tratti un po’ cigolata e mancanza di resistenza vocale per i passaggi vigorosi dell’aria del secondo atto. Quest’ultimo problema fondamentale della sua natura vocale – difetto proprio di natura e non di tecnica, perché negli estremi acuti l’assenza di forza non è sembra per niente essere dovuto ad un difetto di sostegno – rende discutibilissima la sua decisione di affrontare nei prossimi tempi ruoli come Elisabetta nel Don Carlo o l’Amelia del Ballo. La nostra Kurz ci ha già riferito come sia stata in difficoltà nei passaggi drammatici pure in un ruolo come Desdemona a Vienna pochi mesi fà. E’ il sistema operistico di oggi che vuole che ogni categoria vocale sia promossa uno o due passi più “in alto” e siccome le voci “pesanti” che sarebbero per natura soprani da Ballo o da Don Carlo sono per tecnica e resistenza incapaci di eseguirle, l’ingrato compito spetta ad una Stoyanova, soprano appena “lirico pieno”, ma con una bellissima proiezione ed una certa facilità e limpidezza al centro. Il problema del soprano bulgaro è anche di non essere particolarmente versata nell’agilità ed altre armi acrobatiche, il che avrebbe aumentato il valore delle sue interpretazioni di ruoli belcantistici (Anna Bolena, Maria di Rohan, Maria Stuarda) e le avrebbe permesso di affermarsi con più assiduità in questo repertorio onde ad evitare le scritture troppo tese in acuto di un Verdi o degli altri compositori postbelcantisti. E’ questo suo limite tecnico-stilistico che l’obbliga in un certo senso a rifugiarsi in ruoli verdiani, dalla scrittura più “semplificata” ed abbordabili per soprani lirici o lirico-leggeri capaci. Per queste ragioni nella Luisa Miller berlinese, come già a Parigi, il “suo” atto è stato il terzo dove fornisce una prova trascendentale per credibilità artistica e compostezza musicale. Perfettamente eseguita “La tomba è un letto” (con picchettati precisissimi, morbidi e piani, il che rende incomprensibile la sua omissione dei picchettati nel “Lo vidi”); commovente fino alle lacrime nella preghiera e nel terzetto finale dove ha avuto modo di dimostrare il meglio di se – il suo legato e la morbidezza ed espansione delle sue mezze-voci. Alla fine, grandi ovazioni per lei. Prima dello spettacolo: davanti alla biglietteria una coda lunga come non la si vede spesso alla Deutsche Oper.
Il 25 marzo sono tornato nella medesima sala per la ripresa del Macbeth allestito da Robert Carsen e già visto (e recensito) dalla vostra umil serva un anno fa con l’improponibile Anna Smirnova nei panni della Lady. Siccome sia lo stomacale Ante Jerkunica quale Banco (che sembra abbia sempre più gravi problemi in alto) che il discreto, ma poco continuo Anton Keremidtchiev quale Macbeth sono già stati recensiti, noto separatamente solo la pessima concertazione di Ivan Repusic, grezza, noiosa, imprecisa, ed il Macduff del giovane Thomas Blondelle, tenore lirico dalla voce sonora e bella, ma emessa con rigidità e perennemente sul fortissimo.
Era la prima volta che sentivo Lyudmila Monastyrska dal vivo dopo la complessiva positiva impressione che fece nella ripresa radiofonica del Macbeth londinese. E’ una cantante molto discussa, professionista dotata di una resistenza che la rende indispensabile per certi ruoli, ma artista poco convincente sia per le capacità interpretative che per i parecchi aspetti eterodossi della sua pur solida vocalità – un problema che la rende già un’Aida poco simpatica. La voce è quella di un lirico-spinto capace di grande vigore nella zona acuta dove la sua Lady risulta talvolta quasi assordante nella sala della Deutsche Oper. L’ottava inferiore metà tubata metà opaca che si sentiva alla radio prometteva una voce poco udibile in quella zona. Invece, grazie ad una natura molto generosa, dal vivo la Monastyrska risulta sonora anche in quella sezione problematica. Contrariamente a questo, l’aspetto che la registrazione pare abbia avvantaggiato, sono i picchettati disseminati sia nel “Or tutti sorgete” che nel duetto dell’uccisione di Duncano e nel brindisi, dal vivo addirittura inudibili nella seconda galleria. La dote e il corretto sostegno nella zona superiore della voce le concedono di fare un personaggio dominante e risoluto. Malgrado una qualità sistematicamente velata nel cantare piano, dimostra una solidità e coerenza metodica che alla fine fa funzionare il personaggio anche in una scena come quella del sonnambulismo, chiuso, inoltre, con una bella salita al Re bemolle e la ridiscesa al La. Alla fine rimane l’impressione di avere sentito una cantante dignitosa (soprattutto per i tempi odierni ed il repertorio in questione), ma che limita i propri mezzi notevolissimi per un banale errore di impostazione. Fa molto piacere sentire una cantante che produce in alto un suono enorme con una voce libera e non spinta, ma occorre anche altro per dare voglia al vociomane di tornare a risentirla.
E con questoìa, sembra che concordi con il mio “le voci ci sono, mancano gli insegnanti di tecnica e di stile”. Non avendo, poi, una base tecnica, le voci dopo una decina di anni se ne vanno. Di stile… non esiste più. Nessuno “studia” lo spartito come si deve. Ma questo discorso è lungo…
Certo che le voci ci sono. Le corde vocali con tutto il suo potenziale fanno ancora parte della costituzione anatomica umana…
Anyway, concordo in tutto.